Cima di Nèdro (2622m): noi siamo più duri
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Al rifugio ci fermiamo un momento: da lì la nostra meta è assolutamente ben visibile, e non possiamo mancare di chiederci come sia possibile raggiungerla da quel versante: il Brenna descrive la salita classificandola con PD+... a noi, pare qualcosina di più! In ogni caso, prima di partire ringraziamo il simpatico capannaro che, partito dal rifugio, lascia, per il primo arrivato, una bottiglia di Merlot verzaschese contenente giusto quel che basterebbe per un brindisi di vetta: sul foglietto da lui usato, non possiamo che riportare i nostri ringraziamenti, e la bottiglia sparisce in uno dei nostri zaini.
Da questo punto saliamo ancora un po', e all'altezza di Laghetto imbocchiamo il bellissimo sentiero - rinnovato e pulito - che attraversa tutto l'anfiteatro della Val d'Efra, e conduce fino all'omonima capanna. Si tratta di un percorso assolutamente piacevole, praticamente pianeggiante, e ben segnalato. In poco più d'un'oretta ci troveremo - passato il bivio a Furnà - all'imbocco del canalone tra la cresta (se così si può chiamare) S della Cima di Nèdro e il Crestone. Qui ci facciamo un po' di coraggio, poiché stimiamo che quello che ci attende sarà un lungo strappo di quattrocento metri di dislivello, da percorrere senza traccia su un pendio che a pieno titolo può portare questo nome.
(Nel frattempo, il cielo ha cominciato ad annuvolarsi, e le cime più alte attorno a noi non si vedo già più. Anche la nostra meta si trova già nella nebbia!)
La nostra idea è di arrivare sulla cresta che porta dal Basal alla Cima di Nèdro, di percorrere la cresta, e di giungere in vetta. In un'ora e mezzo circa eccoci a pochi passi dal Basal. La nebbia è ormai cosa certa, e la nostra meta non si scorge nemmeno più.


Sono le 11.00, e, in pochi minuti, seguendo la cresta, siamo alla depressione 2482m. Decidiamo di cambiare completamente approccio, rispetto all'anno scorso, e anziché ostinarci a voler restare sulla cresta - come descritto dal Brenna - ci guardiamo bene attorno. Scorgiamo, sulla sinistra della cresta, alcune tracce di pecore, e il pendio erboso è ben più incoraggiante che non a destra. La abbandoniamo, quindi e più o meno agevolmente guadagniamo metri di salita. Ci accorgiamo che il trucco è proprio questo: alla depressione 2482m, bisogna lasciare la cresta e cercare di aggirare i diversi gradini e muri, ma senza aver paura di allontanarvisi un po'. In tutta questa operazione, siamo solo messi in difficoltà dalla nebbia, ma non dalle caratteristiche ambientali. Solo ogni tanto bisogna affrontare passaggi un po' particolari, usando mani e forza di braccia, ma li si supera abbastanza bene.
È più o meno mezzogiorno, quando finalmente incontriamo, davanti a noi, l'uomo di vetta! Le nuvole e la nebbia c'impediscono di scorgere alcunché, e solo la Val Nèdro e qualcosa della valle Leventina si lasciano guardare. Per noi però il premio è l'essere riusciti a chiudere un'incompiuta, e di aver... spezzato l'osso.
Non ci fermiamo molto, e procediamo alla discesa. Il nostro intento è quello di ripercorrere i nostri passi, ma la nebbia c'impedisce ciò, e non possiamo che rimanere su un bel sentiero di pecore, che ci conduce, almeno, nella direzione che vorremmo: la cresta, che dovrebbe essere a pochi metri da noi, non è visibile! Il sentiero ci porta - sorprendentemente - al punto in cui si sbuca dal canalone sopradescritto e si taglia a sinistra quando si sale sulla cresta Basal - Cima di Nèdro... abbastanza stremati, affamati e assetati risaliamo, quindi, e ci incontriamo di nuovo con

Il tempo sta evidentemente peggiorando, e decidiamo di scendere. Giunti di nuovo ai piedi del canalone, scegliamo di ripercorrere esattamente lo stesso percorso dell'andata, poiché pare più breve. Sono le 16.20 quando lasceremo il Rifugio Costa e le 17.40 quando saremo all'auto, a Frasco. Non siamo stati abbastanza veloci, però, per evitare il classico "lavandone", ma non importa: sappiamo che la tempistica della giornata è stata praticamente perfetta, e quella pioggia, presa proprio negli ultimi venti minuti, non ci lava di sicuro via la sensazione di vittoria!
Il racconto di Jules è perfetto, completo e non richiede integrazioni. Mi permetto solo di aggiungere qui quelle che secondo me sono state le idee risolutive che ci hanno permesso di raggiungere, differentemente dall’anno scorso, la vetta.
1) L’aver pensato di effettuare il deposito zaini sulla cresta tra il Basal e la Cima di Nèdro; la leggerezza successiva ci ha giovato.
2) Un passaggio in discesa sulla predetta cresta da me tentato faccia alla montagna e giudicato infattibile (troppo alto per poter appoggiare in sicurezza la gamba) viene invece passato da Jules, e poi anche da me, con faccia verso valle, o meglio verso il baratro sottostante; una visuale a senso unico non è sempre foriera di risultati come invece lo è il fertile confronto di opinioni!
3) L’aver deciso di aggirare totalmente il “torrione verticale” del Brenna (procedendo per un breve tratto “in piano” prima di ricominciare a salire) senza farsi ingolosire dalla salita diretta sulla ESE della Cima di Nèdro: questa è stata probabilmente l’idea chiave. Dato che un’immagine vale più di mille parole, tutto ciò è riassumibile con una “L” al disotto del punto rosso di questa foto dell’anno scorso.
4) La traccia di animali che abbiamo seguito al ritorno (tra la vetta della “Nèdro” e la cresta che porta al Basal) e che rimane sotto quest’ultima è senz’altro la via meno difficile da seguire (si evita la cresta, che presenta qualche passaggio da ben ponderare): se siamo riusciti a farla con visibilità zero, significa che con condizioni ottimali è davvero più che fattibile (ma sempre con grande attenzione!).
Infine vorrei ringraziare Jules e
SaBo per aver condiviso questa grande emozione su tra le vette che amiamo. Alla prossima!
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