Il (Gran) Paradiso ce lo siamo proprio guadagnato
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La sveglia suona all'una di notte, un orario indecente per andare al...Paradiso. Tutto merito della nostra idea pazza di andare in Paradiso e tornarci in giornata. Alle due raccatto una sveglissima Simona a Busto e mettiamo la prua verso la Val d'Aosta.
A Pont tutto dorme, solo il torrente rompe il silenzio con il suo canto. Lassù due lucine si muovono sulla montagna, qualcuno è già partito prima di noi. Alla luce delle frontali ci avviamo sulla mulattiera di caccia di re Vittorio, dopo un momento dalle montagne fa' capolino la luna e aggiunge un tocco di poesia a questo momento magico che precede l'alba.Pian piano il cielo si schiarisce, le montagne emergono dallombra e prendono forma, lassù il pendio che conduce al rifugio. Appena sotto il Ciarafon si accede di un rosa intenso ad annunciare la giornata che nasce.
Al Vittorio Emanuele tutto è calmo in quel momento di tranquillità che segue la partenza delle cordate per la vetta e precede l'arrivo dalla valle dei turisti. Una breve sosta per rifocillarci e via, la salita è ancora lunga. Seguiamo gli ometti lunga la morena per affacciarsi dove una volta si trovava il ghiacciaio, ora solo alcune lingue ne rimangono che si sciolgono nella calura estiva. Di buon passo proseguiamo su di una buona traccia, godendoci la solitudine della salita.
Attorno ai 3200 metri calziamo i ramponi e ci incordiamo; per la verità di crepacci non se ne vedono, ma siamo ancora ligi alle buone regole dell'alpinismo. Il fiato si fa' più corto, siamo ben sopra i 3000 metri, una serie di ripidi pendi ci conduce ai piedi del ghiacciaio vero e proprio. Presto incrociamo alcuni runner che hanno fatto la cima in prima mattinata profittando delle condizioni perfette, neve portante, ottima traccia e crepacci ancora tutti coperti.
Attacchiamo il ripido pendio che porta alla schiena d'Asino, il paesaggio si fa' più severo, sopra il primo risalto sbuchiamo alla luce abbagliante del sole; un passo dopo l'altro, piano piano risaliamo il grande pendio, abbiamo oltre 1500 metri nelle gambe e la cima è ancora lontana. Sotto il Moncorvé superiamo alcune cordate molto lente: sopra di noi il grande traverso che conduce al colle e la cresta finale affollata di gente. Speriamo di non aspettare troppo.
Il terminale è in ottime condizioni, ancora ben chiuso e innevato; appena sopra siamo al colle dove comincia il breve tratto di roccia che porta in vetta. E appena più su la tanto sperata Madonnina. La cresta finale è una babele di lingue e di colori, gente che si incrocia, corde che si intrecciano, serve un po' di pazienza. Aspettiamo quasi mezz'ora prima del passaggio sotto la cima perché un gruppo sta scendendo, poi finalmente alle 11 siamo in vetta!
Nonostante tutta la gente la cima è molto bella e panoramica, esposta a picco sul versante nord. Siamo entrambi felicissimi, siamo saliti molto bene, regolari, perfettamente nei tempi. La discesa è più semplice perché c'è un po' meno di gente, la prendiamo abbastanza con calma. man mano che scendiamo la temperatura sale e il Gran Paradiso si trasforma in una specie di Rimini, con gente ovunque che si ferma a prendere il sole sulle rocce.
Noi invece tiriamo diritti fino al rifugio per conquistare l'altra meta di giornata, uno piatto di polenta con fontina e un bello strudel.In rifugio c'è anche Amedeo che è salito con il CAI di Germignaga. Ci sta anche un micro-pisolino prima di rotolare a valle per anticipare i turisti sulle strade del rientro.
Alla fine ci siamo divertiti, è stato un modo diverso di salire una cima che altrimenti è proprio affollatissima. E partendo un po' più tardi alla fine abbiamo fatto meno fila nella parte finale. Questo Gran Paradiso è proprio lo specchio della montagna di oggi, almeno nei posti più conosciuti. Una babele di lingue e una commistione di modi di vivere la montagna. Dalle cordate CAI ancora attrezzate in modo tradizionale ai runner che salgono con scarpetta e ramponcini alle famigliole con bimbi al seguito; gente che corre, gente che prende il sole, gente che sale con fatica per cui la cima è una grande conquista.
In fondo, anche se noi amiamo piuttosto la solitudine, è bello vedere questa diversa, allegra e vociante umanità visitare posti che un secolo fa' erano patrimonio privato di una sola famiglia.
A Pont tutto dorme, solo il torrente rompe il silenzio con il suo canto. Lassù due lucine si muovono sulla montagna, qualcuno è già partito prima di noi. Alla luce delle frontali ci avviamo sulla mulattiera di caccia di re Vittorio, dopo un momento dalle montagne fa' capolino la luna e aggiunge un tocco di poesia a questo momento magico che precede l'alba.Pian piano il cielo si schiarisce, le montagne emergono dallombra e prendono forma, lassù il pendio che conduce al rifugio. Appena sotto il Ciarafon si accede di un rosa intenso ad annunciare la giornata che nasce.
Al Vittorio Emanuele tutto è calmo in quel momento di tranquillità che segue la partenza delle cordate per la vetta e precede l'arrivo dalla valle dei turisti. Una breve sosta per rifocillarci e via, la salita è ancora lunga. Seguiamo gli ometti lunga la morena per affacciarsi dove una volta si trovava il ghiacciaio, ora solo alcune lingue ne rimangono che si sciolgono nella calura estiva. Di buon passo proseguiamo su di una buona traccia, godendoci la solitudine della salita.
Attorno ai 3200 metri calziamo i ramponi e ci incordiamo; per la verità di crepacci non se ne vedono, ma siamo ancora ligi alle buone regole dell'alpinismo. Il fiato si fa' più corto, siamo ben sopra i 3000 metri, una serie di ripidi pendi ci conduce ai piedi del ghiacciaio vero e proprio. Presto incrociamo alcuni runner che hanno fatto la cima in prima mattinata profittando delle condizioni perfette, neve portante, ottima traccia e crepacci ancora tutti coperti.
Attacchiamo il ripido pendio che porta alla schiena d'Asino, il paesaggio si fa' più severo, sopra il primo risalto sbuchiamo alla luce abbagliante del sole; un passo dopo l'altro, piano piano risaliamo il grande pendio, abbiamo oltre 1500 metri nelle gambe e la cima è ancora lontana. Sotto il Moncorvé superiamo alcune cordate molto lente: sopra di noi il grande traverso che conduce al colle e la cresta finale affollata di gente. Speriamo di non aspettare troppo.
Il terminale è in ottime condizioni, ancora ben chiuso e innevato; appena sopra siamo al colle dove comincia il breve tratto di roccia che porta in vetta. E appena più su la tanto sperata Madonnina. La cresta finale è una babele di lingue e di colori, gente che si incrocia, corde che si intrecciano, serve un po' di pazienza. Aspettiamo quasi mezz'ora prima del passaggio sotto la cima perché un gruppo sta scendendo, poi finalmente alle 11 siamo in vetta!
Nonostante tutta la gente la cima è molto bella e panoramica, esposta a picco sul versante nord. Siamo entrambi felicissimi, siamo saliti molto bene, regolari, perfettamente nei tempi. La discesa è più semplice perché c'è un po' meno di gente, la prendiamo abbastanza con calma. man mano che scendiamo la temperatura sale e il Gran Paradiso si trasforma in una specie di Rimini, con gente ovunque che si ferma a prendere il sole sulle rocce.
Noi invece tiriamo diritti fino al rifugio per conquistare l'altra meta di giornata, uno piatto di polenta con fontina e un bello strudel.In rifugio c'è anche Amedeo che è salito con il CAI di Germignaga. Ci sta anche un micro-pisolino prima di rotolare a valle per anticipare i turisti sulle strade del rientro.
Alla fine ci siamo divertiti, è stato un modo diverso di salire una cima che altrimenti è proprio affollatissima. E partendo un po' più tardi alla fine abbiamo fatto meno fila nella parte finale. Questo Gran Paradiso è proprio lo specchio della montagna di oggi, almeno nei posti più conosciuti. Una babele di lingue e una commistione di modi di vivere la montagna. Dalle cordate CAI ancora attrezzate in modo tradizionale ai runner che salgono con scarpetta e ramponcini alle famigliole con bimbi al seguito; gente che corre, gente che prende il sole, gente che sale con fatica per cui la cima è una grande conquista.
In fondo, anche se noi amiamo piuttosto la solitudine, è bello vedere questa diversa, allegra e vociante umanità visitare posti che un secolo fa' erano patrimonio privato di una sola famiglia.
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