Pizzo Campanile (m.2458)
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Parto da Cama (m.352) alle 7,45, incamminandomi sul bellissimo sentiero che s'innalza sino a circa 800 metri di quota, per poi incanalarsi in falsopiano o salita lieve nel lungo solco della Valle di Cama, all'ombra di fitte faggete e quindi abetaie. In meno di due ore sono così al centro del mirabile anfiteatro, dominato dalla scura mole del Piz Martel, ancora lontano, e impreziosito dalle placide acque del Lago (m.1265). Giungere qui è già di per sè stupendo.
Ora però viene il "bello".
Abbandono la segnaletica CAS, anche se un cartello indica la Bocchetta del Notar in oltre 3 ore... sarà anche così, ma di bollatura neanche l'ombra. Seguo un agile sentierino erboso che prosegue a S del Lago finchè questo inizia a perdersi nell'erba alta. L'infinita distesa morenica dell'Alp Lumegn impone il balzare di sasso in sasso, anche se talvolta qualche traccia di sentiero erboso facilita la percorrenza. Davanti a me l'impressionante e infinito canalone che si eleva alla cosiddetta Bocchetta della Cengia, tra il Pizzo Campanile e il Sasso Bodengo. Lungo questo tratto ho tenuto erroneamente la sinistra per usufruire di più comodi prati, ma conviene stare al centro della morena per evitare inutili discese e risalite. Giunto ai piedi del Valon, toponimo elvetico della Bocchetta della Cengia, inizio l'erta e faticosa salita, che si rivelerà la parte più dura dell'escursione.
Se inizialmente si procede su prati ripidi, gradualmente il terreno - che non dà mai tregua - diventa un misto d'erba, rocce, placche e detrito finissimo, bagnato dalle acque dei nevai che ancora ricoprono la parte alta del vallone. Benchè ci sia nel complesso libertà di procedere spesso il terreno impone passaggi obbligati, tra cui due bellissime placche, di cui la seconda impegnativa (II°) all'uscita. Quando verso l'alto il canale si stringe si procede sul bagnato, che non è propriamente simpatico visti alcuni tratti decisamente erosi e poco affidabili, e un paio di passaggini tra erba e placche fradice richiedono molta cautela. Fuori da questo faticosissimo imbuto ritrovo più amichevoli ganne, al cospetto di intimidatorie pareti che precipitano da ogni lato, ma la vista sulla Val Cama vale da sola la fatica. Si punta infine alla strettoia terminale della Bocchetta della Cengia N (m.2370), percorrendo e gradinando una trentina di metri del nevaio superiore giungendo alla meta.
Ci si affaccia ora sul lato italiano e su due valli, la Val Darengo e la Valle del Dosso, percorrendo da nord a sud in lieve discesa e risalita la fatidica Cengia; qui scendo ancora qualche metro alla Bocchetta di Lavreno (m.2324), dove è giocoforza rifocillarsi visto il notevole dispendio d'energie fisiche e mentali fin qui affrontati. Ricaricato non mi resta che risalire alla Bocchetta della Cengia S ed individuare il canale d'accesso alla vetta del Pizzo Campanile, non evidentissimo, ma unico suo punto debole su questo versante. Un ometto dà chiaramente a intendere la via da intraprendere e non resta che risalire 60 faticosi metri su terreno misto e flebili tracce di passaggio, fino a un primo intaglio affacciato sull'apparentemente più disteso lato della Valle del Dosso, cui fanno riferimento le due ascese (2012 e 2013) di
pm1996. Traversati pochi metri orizzontali in direzione W su erba con vista sullo spettacolare intaglio (m.2412) sotto il Fil del Martel, si cambia direzione iniziando a salire zigzagando su cengette alla cresta W. Non c'è una via logica da seguire e, nel mio caso, ho trovato un'invitante placca che conduce a un ultimissimo intaglio della cresta W, prima di arrampicare gli ultimi facili blocchi che rappresentano la vetta dello stupendo Pizzo Campanile (m.2458), purtroppo velato da nubi che impediscono la vista sul lato italiano, mentre quello di provenienza è sempre rimasto visibile.
La salita si è rivelata, specie nella parte mediana, più dura del previsto e - comprendendo le pause - sono occorse 7 ore e mezza.
Firmato rapidamente il libro di vetta torno sui miei passi, evitando la placca di salita per scomode cenge, e infilandomi nel canale (a metà vi è un secondo ometto che ho rinforzato), più evidente e semplice in discesa. Tornare dalla via dell'andata è fuori discussione, per cui punto la Val Darengo, dove non sono ancora stato, che è proprio lì sotto ma assolutamente inaccessibile, a meno di calarsi dal "camino di Lavreno", che però ha difficoltà di III° e non mi sento d'affrontare in discesa. Si prosegue pertanto su sentierini di capre aggiranti il lato W della Cresta della Gratella, spesso pochi metri sotto essa, finchè gradualmente ci s'abbassa sull'Alta via del Lario, ormai in vista del Passo dell'Orso, con la sua liscia placca verticale facilitata da maniglie d'acciaio e tacche nella roccia, in passato via di contrabbandieri.
Superato il passaggio attrezzato, in un bellissimo ambiente d'alta montagna, si scende su sentiero finalmente evidente e marcato allo splendido circo che ospita il Lago Darengo e la Capanna Como, mentre lontani tuoni iniziano a brontolare. Giungo in Capanna - aperta e con ospiti - alle 17,45, non più di 3-5 minuti prima dell'acquazzone, che dura comunque non più di 15 minuti. Tanto però da impedirmi una tranquilla (e lunga) discesa a Dangri, Livo e Gravedona... pertanto mi tocca fermarmi - senza averlo programmato - per la notte.
E l'idea, ammetto, non mi spiace affatto. ;)
NB. Cama-Lago di Cama T2, Lago di Cama-attacco al Valon T3, Valon-Bocchetta della Cengia N da T4 a T6-, Pizzo Campanile T5, Bocchetta di Lavreno-Bocchetta dell'Orso T4, Capanna Como T2-T3.
Ora però viene il "bello".
Abbandono la segnaletica CAS, anche se un cartello indica la Bocchetta del Notar in oltre 3 ore... sarà anche così, ma di bollatura neanche l'ombra. Seguo un agile sentierino erboso che prosegue a S del Lago finchè questo inizia a perdersi nell'erba alta. L'infinita distesa morenica dell'Alp Lumegn impone il balzare di sasso in sasso, anche se talvolta qualche traccia di sentiero erboso facilita la percorrenza. Davanti a me l'impressionante e infinito canalone che si eleva alla cosiddetta Bocchetta della Cengia, tra il Pizzo Campanile e il Sasso Bodengo. Lungo questo tratto ho tenuto erroneamente la sinistra per usufruire di più comodi prati, ma conviene stare al centro della morena per evitare inutili discese e risalite. Giunto ai piedi del Valon, toponimo elvetico della Bocchetta della Cengia, inizio l'erta e faticosa salita, che si rivelerà la parte più dura dell'escursione.
Se inizialmente si procede su prati ripidi, gradualmente il terreno - che non dà mai tregua - diventa un misto d'erba, rocce, placche e detrito finissimo, bagnato dalle acque dei nevai che ancora ricoprono la parte alta del vallone. Benchè ci sia nel complesso libertà di procedere spesso il terreno impone passaggi obbligati, tra cui due bellissime placche, di cui la seconda impegnativa (II°) all'uscita. Quando verso l'alto il canale si stringe si procede sul bagnato, che non è propriamente simpatico visti alcuni tratti decisamente erosi e poco affidabili, e un paio di passaggini tra erba e placche fradice richiedono molta cautela. Fuori da questo faticosissimo imbuto ritrovo più amichevoli ganne, al cospetto di intimidatorie pareti che precipitano da ogni lato, ma la vista sulla Val Cama vale da sola la fatica. Si punta infine alla strettoia terminale della Bocchetta della Cengia N (m.2370), percorrendo e gradinando una trentina di metri del nevaio superiore giungendo alla meta.
Ci si affaccia ora sul lato italiano e su due valli, la Val Darengo e la Valle del Dosso, percorrendo da nord a sud in lieve discesa e risalita la fatidica Cengia; qui scendo ancora qualche metro alla Bocchetta di Lavreno (m.2324), dove è giocoforza rifocillarsi visto il notevole dispendio d'energie fisiche e mentali fin qui affrontati. Ricaricato non mi resta che risalire alla Bocchetta della Cengia S ed individuare il canale d'accesso alla vetta del Pizzo Campanile, non evidentissimo, ma unico suo punto debole su questo versante. Un ometto dà chiaramente a intendere la via da intraprendere e non resta che risalire 60 faticosi metri su terreno misto e flebili tracce di passaggio, fino a un primo intaglio affacciato sull'apparentemente più disteso lato della Valle del Dosso, cui fanno riferimento le due ascese (2012 e 2013) di

La salita si è rivelata, specie nella parte mediana, più dura del previsto e - comprendendo le pause - sono occorse 7 ore e mezza.
Firmato rapidamente il libro di vetta torno sui miei passi, evitando la placca di salita per scomode cenge, e infilandomi nel canale (a metà vi è un secondo ometto che ho rinforzato), più evidente e semplice in discesa. Tornare dalla via dell'andata è fuori discussione, per cui punto la Val Darengo, dove non sono ancora stato, che è proprio lì sotto ma assolutamente inaccessibile, a meno di calarsi dal "camino di Lavreno", che però ha difficoltà di III° e non mi sento d'affrontare in discesa. Si prosegue pertanto su sentierini di capre aggiranti il lato W della Cresta della Gratella, spesso pochi metri sotto essa, finchè gradualmente ci s'abbassa sull'Alta via del Lario, ormai in vista del Passo dell'Orso, con la sua liscia placca verticale facilitata da maniglie d'acciaio e tacche nella roccia, in passato via di contrabbandieri.
Superato il passaggio attrezzato, in un bellissimo ambiente d'alta montagna, si scende su sentiero finalmente evidente e marcato allo splendido circo che ospita il Lago Darengo e la Capanna Como, mentre lontani tuoni iniziano a brontolare. Giungo in Capanna - aperta e con ospiti - alle 17,45, non più di 3-5 minuti prima dell'acquazzone, che dura comunque non più di 15 minuti. Tanto però da impedirmi una tranquilla (e lunga) discesa a Dangri, Livo e Gravedona... pertanto mi tocca fermarmi - senza averlo programmato - per la notte.
E l'idea, ammetto, non mi spiace affatto. ;)
NB. Cama-Lago di Cama T2, Lago di Cama-attacco al Valon T3, Valon-Bocchetta della Cengia N da T4 a T6-, Pizzo Campanile T5, Bocchetta di Lavreno-Bocchetta dell'Orso T4, Capanna Como T2-T3.
Tourengänger:
Poncione

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