Hohsandhorn - Punta del Sabbione 3182 m
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Di questa gita e del suo unico protagonista, oggi, lasciatemelo dire, sono orgoglioso.
E non tanto per aver messo in campo particolari doti tecniche (sono e sarò sempre un imbranato), nonostante la Punta dei Sabbioni sia una bellissima cima che presenta un itinerario alpinistico per raggiungerla, piuttosto perchè, dopo un periodo di torpore dove sceglievo itinerari senza possibilità di insuccesso, oggi, dicevo, ho riscoperto l'ancestrale voglia di provarci e di mettermi in gioco.
Che poi ci sia andato da solo ed abbia marciato per tutto il giorno facendo pochissimi incontri, solo con i miei pensieri talvolta oscurati da nuvolacci passeggeri tanto minacciosi quanto innocui, questo è un accrescitivo del mio orgoglio e della mia gioia.
I miei ottimi compagni di avventura mi conoscono e capiranno.
Dal parcheggio sotto la diga di Morasco, salgo al lago e percorro su sterrato la sua riva destra. In fondo, mi lascio guidare dall'ottima segnaletica e comincio a risalire un costone piuttosto erto che poi si infila in un canale e sbuca sopra il baitello Zum Stock, dove c'è il bivio per la direttissima al rifugio Città di Busto.
Evito il vecchio sentiero espostissimo e franoso, anche per i numerosi cartelli di divieto.
Mi sposto ora sulla sinistra della valle e risalgo tra macereti e prati sino a sbucare al Rigugio Mores, posto sopra la diga del lago del Sabbione. Qui lo spettacolo è fantastico. Il lago fa da specchio, là a Nord, alla Punta d'Arbola e alla Punta del Sabbione, posta alla sua destra.
Senza indugio allora scendo alla diga perdendo cinquanta metri di dislivello, la percorro e comincio a camminare sulla riva dstra del lago. Ad un bivio, il sentiero basso (Via dell'Arbola) prosegue in piano, mentre il sentiero alto che inforco mi fa guadagnare velocemente quota sino a giungere al Rifugio Claudio e Bruno. Più in alto è visibile il Rifugio 3A e la via che lo raggiunge.
Passo dietro al rifugio e cammino su una morena talvolta esposta sul ghiacciaio. Un sentierino si abbassa rapido sini a farmi mettere piede sul Hohsandgletscher.
Lo attraverso con pendenze moderate su labili tracce (un gruppo era comunque appena sceso) e punto il pendio sull'altro lato che adduce ad una sella, diverse centinaia di metri più in alto.
Arrivato al pendio, tiro un lungo respiro e comincio a salire una diagonale verso Nord, un po' esposta ma su ghiaccio sicuro (non ho messo i ramponi). Dopo molto salire, il pendio si addolcisce ma continua ad andar su sino al Mittelbargpass.
Sul ghiacciao ho notato un paio di crepacci terminali, oggi ben chiusi e sicuri.
Giro a sinistra e attacco la larghissima cresta che si lascia salire ora su terreno detritico ma stabile, ora su roccie, ora su nevai.
Superato l'ultimo dosso, ecco la croce di vetta e come un belluino tiro un urlaccio a sancire la mia vittoria che, ben inteso, non è la sconfitta o la presa della cima, ma la vittoria su me stesso e sulle mie paure.
Qualche minuto di godimento da vetta e via in discesa sino all'erto pendio risalito all'andata (direi 45°).
Qui metto i ramponi e con tutte le precauzioni e goffaggini del mondo, arrivo alla base.
Riattreverso il ghiacciaio ma l'idea di risalire i cento metri che mi separano dal Claudio e Bruno mi alletta poco, pertanto scendo su ghiaccio e sulla fangosissima morena terminale sino a lambire il lago ed intercettare la Via dell'Arbola che percorro a ritroso su terreno antipatico (qui T3, altrimenti la parte escursionistica tutta T2) per rientrare alla diga del Sabbione, non prima di essermi esibito in inascoltabili turpiloqui in occasione dell'attraversamentio di una cascata dove mi sono completamente lavato (ma forse ce n'era bisogno).
Con le residue forze, decido ora per un attraversamento verso il piano dei Camosci. Il sentiero prima scende attraversando facili nevai, quindi si fa autostrada e risale decisissimo veros il suddetto pianoro che è un posto di rara bellezza e fascino. Attraveso il piano (in piano), giungo al rifugio Città di Busto e scendo su ottima traccia sino all'alpe Battelmat, altro posto stupendo, tappezzato di fiorellini gialli.
Unico neo, l'assenza delle vacche responsabili della produzione del famoso formaggio, forse non ancora caricate all'alpe.
Ancora una mezzora abbondante di discesa mi conduce finalmente al lago di Morasco e quindi all'auto che mi attende da dieci ore, cinque a salire e cinque a scendere, poche pause incluse.
Il dislivello tiene conto di parecchi saliscendi.
Sviluppo: 24 km circa; SE: 40.5 km circa.
E non tanto per aver messo in campo particolari doti tecniche (sono e sarò sempre un imbranato), nonostante la Punta dei Sabbioni sia una bellissima cima che presenta un itinerario alpinistico per raggiungerla, piuttosto perchè, dopo un periodo di torpore dove sceglievo itinerari senza possibilità di insuccesso, oggi, dicevo, ho riscoperto l'ancestrale voglia di provarci e di mettermi in gioco.
Che poi ci sia andato da solo ed abbia marciato per tutto il giorno facendo pochissimi incontri, solo con i miei pensieri talvolta oscurati da nuvolacci passeggeri tanto minacciosi quanto innocui, questo è un accrescitivo del mio orgoglio e della mia gioia.
I miei ottimi compagni di avventura mi conoscono e capiranno.
Dal parcheggio sotto la diga di Morasco, salgo al lago e percorro su sterrato la sua riva destra. In fondo, mi lascio guidare dall'ottima segnaletica e comincio a risalire un costone piuttosto erto che poi si infila in un canale e sbuca sopra il baitello Zum Stock, dove c'è il bivio per la direttissima al rifugio Città di Busto.
Evito il vecchio sentiero espostissimo e franoso, anche per i numerosi cartelli di divieto.
Mi sposto ora sulla sinistra della valle e risalgo tra macereti e prati sino a sbucare al Rigugio Mores, posto sopra la diga del lago del Sabbione. Qui lo spettacolo è fantastico. Il lago fa da specchio, là a Nord, alla Punta d'Arbola e alla Punta del Sabbione, posta alla sua destra.
Senza indugio allora scendo alla diga perdendo cinquanta metri di dislivello, la percorro e comincio a camminare sulla riva dstra del lago. Ad un bivio, il sentiero basso (Via dell'Arbola) prosegue in piano, mentre il sentiero alto che inforco mi fa guadagnare velocemente quota sino a giungere al Rifugio Claudio e Bruno. Più in alto è visibile il Rifugio 3A e la via che lo raggiunge.
Passo dietro al rifugio e cammino su una morena talvolta esposta sul ghiacciaio. Un sentierino si abbassa rapido sini a farmi mettere piede sul Hohsandgletscher.
Lo attraverso con pendenze moderate su labili tracce (un gruppo era comunque appena sceso) e punto il pendio sull'altro lato che adduce ad una sella, diverse centinaia di metri più in alto.
Arrivato al pendio, tiro un lungo respiro e comincio a salire una diagonale verso Nord, un po' esposta ma su ghiaccio sicuro (non ho messo i ramponi). Dopo molto salire, il pendio si addolcisce ma continua ad andar su sino al Mittelbargpass.
Sul ghiacciao ho notato un paio di crepacci terminali, oggi ben chiusi e sicuri.
Giro a sinistra e attacco la larghissima cresta che si lascia salire ora su terreno detritico ma stabile, ora su roccie, ora su nevai.
Superato l'ultimo dosso, ecco la croce di vetta e come un belluino tiro un urlaccio a sancire la mia vittoria che, ben inteso, non è la sconfitta o la presa della cima, ma la vittoria su me stesso e sulle mie paure.
Qualche minuto di godimento da vetta e via in discesa sino all'erto pendio risalito all'andata (direi 45°).
Qui metto i ramponi e con tutte le precauzioni e goffaggini del mondo, arrivo alla base.
Riattreverso il ghiacciaio ma l'idea di risalire i cento metri che mi separano dal Claudio e Bruno mi alletta poco, pertanto scendo su ghiaccio e sulla fangosissima morena terminale sino a lambire il lago ed intercettare la Via dell'Arbola che percorro a ritroso su terreno antipatico (qui T3, altrimenti la parte escursionistica tutta T2) per rientrare alla diga del Sabbione, non prima di essermi esibito in inascoltabili turpiloqui in occasione dell'attraversamentio di una cascata dove mi sono completamente lavato (ma forse ce n'era bisogno).
Con le residue forze, decido ora per un attraversamento verso il piano dei Camosci. Il sentiero prima scende attraversando facili nevai, quindi si fa autostrada e risale decisissimo veros il suddetto pianoro che è un posto di rara bellezza e fascino. Attraveso il piano (in piano), giungo al rifugio Città di Busto e scendo su ottima traccia sino all'alpe Battelmat, altro posto stupendo, tappezzato di fiorellini gialli.
Unico neo, l'assenza delle vacche responsabili della produzione del famoso formaggio, forse non ancora caricate all'alpe.
Ancora una mezzora abbondante di discesa mi conduce finalmente al lago di Morasco e quindi all'auto che mi attende da dieci ore, cinque a salire e cinque a scendere, poche pause incluse.
Il dislivello tiene conto di parecchi saliscendi.
Sviluppo: 24 km circa; SE: 40.5 km circa.
Tourengänger:
rochi

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