Denti della Vecchia: Sasso Grande, Sassi Palazzi, Mataron, pale solinghe, e canali ventosi
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La prima uscita del 2015 mi porta finalmente a contatto con un mondo finora a me sconosciuto, quello dei Denti della Vecchia. La giornata è prevista ventosa (e si confermerà tale…), quindi inutile andare a cercar rogne a quote più elevate, e tantomeno a voler calzare gli sci in presenza di condizioni totalmente avverse per questa attività. I Denti sono perfetti per la circostanza.
Raccolgo qualche informazione sul web (particolarmente utile la relazione di Varoza), e, con in testa unicamente un’idea che riguarda la via di discesa, per il resto lascio tutto all’improvvisazione ed al gusto del momento.
Parto dalla Cappella della Madonna d’Arla (828 m) ed in breve raggiungo Petrolzo (928 m). Da qui procedo in direzione Capanna Pairolo via Usin: i cartelli parlano di sentiero panoramico, ma la realtà è che il percorso si snoda nel bosco e solo all’ultimo momento, dopo aver superato le località di Usin e Alpaccio, sbuca sulla dorsale del Mataron con, qui sì, una bella vista fino al Mottarone (quello di Stresa), e oltre.
In ogni caso il Mataron (1412 m), con grossa croce in cemento, è la prima cima raggiunta oggi. L’elevazione alla mia destra si chiama Màtor dei Falchetti, ed infatti ho la fortuna di assistere al volo di due falchi che, nonostante il forte vento, restano padroni dell’aria. Davvero emozionante…
Senza scendere alla Capanna, raggiungo il cippo di confine 7H al Passo Pairolo (1406 m): da qui in avanti tutta la cavalcata di cresta sarà sempre con un passo in Svizzera e l’altro in Italia, a seconda delle occasioni.
Pur essendo fuori sia dai Denti della Vecchia propriamente detti che dai Sassi Palazzi, i primi due denti che raggiungo (la Cima 1478 m e quella, di qualche metro superiore, a NE di quella quotata) sono senz’altro molto significativi, sia per l’impegno che richiedono (alcuni passi di II), sia per le folate di vento che ricevo, che mi costringono ad abbrancarmi alla roccia per non volare via. Per comodità, visto che sono separati solo da una piccola sella, li catalogo entrambi come un’unica cima.
Dopo aver superato i cippi 7K e 7L raggiungo la terza elevazione di giornata, la Cima 1472 m, dotata di punto trigonometrico: questa cima è considerata la prima dei Sassi Palazzi, ed in hikr porta questo nome; senza nessuna difficoltà sono sopra.
I saliscendi si susseguono e così pure le cime. Ne tocco una non quotata (nota localmente come Sass dal Gatt, 1463 m circa) e successivamente quella centrale dei Sassi Palazzi, di quota 1464 m.
Da qui scendo alla Bassa d’Ogé (1440 m) da dove, toccando anche un'ulteriore elevazione, la Paretina dei Chiodi (1484 m), risalgo fino al più maestoso dei Sassi Palazzi, il Sasso Palazzo (1484 m) per eccellenza, punto trigonometrico. Panorama stupendo sul Sasso Grande e visuale fino agli Appennini. Il vento continua a non dar tregua.
Il successivo punto di minima raggiunto è il Passo Streccione (1399 m), erroneamente indicato sul cartello ufficiale del CAS come “Denti della Vecchia – Sasso Grande 1395 m”.
Resta il fatto che per raggiungere effettivamente il Sasso Grande bisogna percorre un centinaio di metri di dislivello e capisco subito che sarà richiesto un certo impegno. Raggiungo una sella con ottima visuale sul “Cammello” (più di nome che di fatto), un monolite svettante sopra un dente che precede il Sasso Grande e qui, senza che mi vengano in mente altre alternative (che poi appariranno al ritorno), mi infilo in un canalino-diedro che, scoprirò poi, è quotato dal Brenna PD e III-.
L’abbraccio del canale, a mio personale giudizio, farebbe pensare a qualcosa in meno come difficoltà tecnica, anche perché gli appigli sono sempre ben presenti e, soprattutto, saldi. Comunque, come sempre, ubi major, minor cessat.
In ogni caso, raggiunto l’apice del canale, per un momento mi viene il dubbio che da qui la cima sia irraggiungibile, visto che la punta a destra – che vado subito a toccare – non è visibilmente il punto di massima. Da questo sperone capisco però che una specie di traccia aggira il Sasso Grande da destra verso sinistra, e da qualche parte porterà. Disarrampico allora i pochi metri della cupola sommitale del presente sperone e seguo la traccia in direzione della vetta effettiva. L’aggiramento mi scodella proprio davanti all’uomo di vetta del Sasso Grande (1491 m), dalla parte opposta rispetto al libro di vetta.
Il vento continua a soffiare impetuoso ma, posizionandomi alla base del cassetto che contiene il libro di vetta, riesco a fare una pausa degna di questo nome. Durante la salita del couloir avevo notato una persona appartata nella porzione sinistra del Sasso Grande: deduco quindi che ci sia un’altra via di discesa. Bolli blu molto scoloriti confermano questa supposizione. Non che la discesa da questa via alternativa sia molto più facile dell’altra: minori difficoltà tecniche, questo sì, vengono compensate da una maggiore esposizione, per cui siamo lì… o quasi.
Raggiunta la sella tra il Sasso Grande e “il dente del Cammello” noto un bel canalino che scende sul versante nord. Provo a percorrerlo. Trovo una catena e continuo la discesa. Mi imbatto poi in uno spit che visibilmente non sarebbe dovuto essere lì, attaccato ad una pietra e non ad una parete: sarà venuto giù da uno di questi torrioni, auspicabilmente di sua spontanea volontà, cioè senza cedere sotto lo sforzo di una cordata (spero). Il canale si fa ancora più angusto e questo auspicio (lo spit equivoco) mi convince a tornare su e a cercare un passaggio alternativo.
Raggiungo il Passo Streccione e qui mi accorgo che la via di discesa che avevo intravisto precedentemente passa in realtà da lì, confortato anche da una traccia inequivocabile, ancorché non segnata da bolli. Il canalone, molto ampio all’inizio, si va via via restringendo e presenta nel suo mezzo delle lingue di ghiaccio vivo, evitabili - per un po’ - rimanendo sulla sinistra. Più sotto devo affrontarle, ma grazie a due provvidenziali pietroni che emergono dal fiume di ghiaccio, supero il punto più problematico. Il ghiaccio permane, ma può essere evitato con un opportuno aggiramento.
Raggiunto il bosco, senza difficoltà pervengo infine a Cioascio (1048 m) e da qui, superando il ponticello sul riale della Val d’Usin, mi riporto a Petrolzo e poi ad Arla. Qui mi accorgo - distratto dalle tante torri toccate, dai vari canali e dalle plurime vie di discesa - di essermi dimenticato della Cima di Castello. Poco male, sarà motivo di un’ulteriore visita futura. Bellissimo ambiente, quello dei Denti. Vale senz’altro la pena di ritornarci.

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