Corni di Nibbio, settore centrale: Pizzo delle Tre Croci (1638 m)
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I Corni di Nibbio: un mio vecchio sogno, sempre rimasto nel cassetto… Forse l’ambiente troppo severo, forse le indubbie difficoltà di percorso, forse la stessa pericolosità della zona: tutti buoni motivi per rinviare sempre una visita. Ma prima o poi anche i sogni sopiti tornano a galla con potente prorompenza. E così finalmente il momento è arrivato…
Preventivamente una questione geografica. Cito Teresio Valsesia: “Sotto il nome di Corni di Nibbio viene comunemente compresa la catena che va da Mergozzo a Nibbio, ossia dal Faié alla Bocchetta di Valfredda, antiporta del Proman. È una successione di una quindicina di punte frastagliate e multiformi, che dalle livellate gibbosità meridionali culminano nell’elegante e slanciato profilo del Lesìno. In senso stretto i Corni di Nibbio comprendono invece solo una piccola parte della catena, ossia le cime incluse tra la Bocchetta di Lavattel e il Lesìno”. Un’interpretazione ancora più restrittiva viene data dai cartografi (CNS e Cartine Zanetti, ma forse anche altri), basata sulla convinzione, a mio parere errata, che solo ciò che incombe sulla verticale (NNE) del paese di Nibbio possa assumere tale qualifica. Secondo questa interpretazione meriterebbero l’appellativo “Corni di Nibbio” solo ed esclusivamente le punte senza nome comprese tra La Teia (esclusa) ed il Pizzo del Lesìno (escluso): come detto questa interpretazione è contraria alla letteratura e alla tradizione, nonché palesemente insensata.
Come difficoltà indico T4+. Il motivo è presto detto: leggermente meno impegnativa della gita ad Orfalecchio, valutata T5- (anche se la cruda potenza del versante ossolano impressiona magari più dei “docili” boschi valgrandini), ma ben più ostica della “semplice” salita alla Cima Corte Lorenzo (T3+). Poi sul + o sul – si può discutere, ma direi che globalmente il tipo di difficoltà è questo.
Descrizione itinerario: da Bettola, in prossimità del ponte ferroviario, corre un sentierino che costeggia sia la ferrovia che un fondo privato (all’imbocco c’è un cartello bianco-rosso che indica “Linea Cadorna-Ometto 1 h 10” più un cartello in lamiera gialla che, tra le altre destinazioni, indica addirittura Orfalecchio). Prendo questo sentiero e, dopo aver superato un lavatoio già imboscato salgo sulla traccia che ben presto si palesa come mulattiera militare (Linea Cadorna). Nella parte bassa rimango comodamente all’interno dei muraglioni, più in alto sono costretto a passare sul bordo, visto che le sterpaglie e i rovi invadono il centro della carreggiata. Evito un passaggio ostico salendo nel bosco a destra (cioè dove il torrente si è portato via alcuni metri di mulattiera). Più avanti c’è anche un tratto scavato direttamente nella roccia, ma niente di difficile.
All’ultimo tornante (prima che i muri scompaiano nel bosco) un ometto sulla sinistra, con segni di vernice gialli e verdi, indica la via da seguire. Sono nei pressi dell’Alpe Corte, inghiottita dal bosco e resa rudere dal passare del tempo. Il traverso continua verso sinistra quasi in piano, taglia tutto il pendio ed arriva al canale che scende dalla Bocchetta del Tranquillo. Salgo tra le pietre ed il torrentello, ed in breve raggiungo l’Ör Piciocch, dove su un grosso masso c’è una scritta ridondante (“Acqua”) ma simpatica (il gorgoglìo del torrente è ineludibile…). Qui salgo a sinistra in direzione del canalone di Bettola. Proseguo, e più avanti perdo una quindicina di metri di dislivello, forse più (presenti anche alcune corde metalliche ed un cordino, utili in particolare per la discesa) per entrare nel Vallone. Il sentiero è sempre ben segnalato con punti di vernice gialla e la conferma della direzione giusta viene avvalorata anche da ometti e alberelli tagliati ad hoc.
Certo, il Vallone di Bettola ha un che di impressionante (come la parete che la sovrasta, del resto: anzi, le pareti!, perché sono più di una), comunque, prestando attenzione, non ci si può sbagliare. Dopo molti tornantini nel bosco sulla destra del canale, raggiungo la pietraia, che percorro per una ventina di metri. Poi un piccolo cartello in latta a sinistra della pietraia mi comunica che è ora di lasciare il Vallone e salire a sinistra. Supero alcuni tratti esposti (alcuni dei quali “rassicurati” da corde metalliche e non) e salgo nella faggeta. In breve vengo raggiunto dal sole (prima coperto dalla parete della Corte Lorenzo) e così guadagno l’angusto colletto panoramico degli Asaa (impressionante visione sulla piana ossolana). Un triplice cartello in latta indica Bettola (da dove provengo), Bocchetta di Lavattel (destinazione irraggiungibile al momento a causa di una frana presente sul sentiero) (e senza sentiero qui non si inventa nulla…) e Alpe Sautì (la mia destinazione intermedia).
Vado a sinistra e quasi subito mi ritrovo al Funtanin (“l’unica sorgente della regione dei Corni” secondo Valsesia), uno scintillante torrente con acqua limpida e fresca. Salgo ancora verso sinistra e la visione degli orridi dirupi e delle pareti irraggiungibili lascia spazio alla verde soavità dei Prati di Sautì.
Dopo tutto quello che precede, uno non si aspetta di trovare un luogo così ameno (siamo pur sempre sui Corni di Nibbio…).
In breve raggiungo la baita diroccata dell’Alpe Sautì, preceduta da un solitario larice - qui, dopo castagni, noccioli e faggi, è il regno della betulla - sovrastata dalla sua Balma, con ancora i segni evidenti del passato (bottiglie, piatti, etc, sopravvissuti all’abbandono).
I prati di Sautì e l’idillio continuano ancora un po’, finché il sentiero “torna indietro” (come direzione), continuando a salire, ma piegando verso E ed entrando in un ambiente un po’ più dirupato, anche se nulla in confronto alla parte bassa del giro. Aggiro alcune vallette ed alcuni picchi secondari e poi con salita sempre segnalata da ometti e vernice gialla guadagno finalmente il Passo di Sautì.
Qui ho la Valgrande ai miei piedi. Di fronte a me il Pedum e la Cima Sasso, più a destra la Zeda, alle mie spalle la piana ossolana. E sia alla mia destra e che alla mia sinistra, i Corni di Nibbio. Tra la Cima senza nome (P.1677 m), a sinistra, ed il Pizzo delle Tre Croci (1638 m), a destra, scelgo quest’ultimo, anche perché la voglia di vedere lo sviluppo della cresta tra la Cima Corte Lorenzo ed il suddetto Pizzo è tanta. Per la cresta che va verso Nord se ne riparlerà in futuro.
La via corretta da seguire è: scendere sul versante valgrandino, perdendo almeno 20-30 metri di dislivello, aggirare la roccia e poi riguadagnare la cresta (io inizialmente sono sceso di meno, ho poi risalito una placca, appigliata sì, ma non priva di rischi, per poi ritrovarmi davanti ad un salto di roccia e quindi dover tornare indietro in cresta ed aggirare l’ostacolo). Senza errori la vetta del Pizzo delle Tre Croci viene raggiunta in 10-15’ dal Passo.
Arrivo così sulla vetta più a E (credo, la carta non è chiara…) che è anche la più alta. Il Pizzo delle Tre Croci consta di altre due vette minori (la centrale, inferiore di soli due-tre metri alla principale; e la prima, provenendo dal passo, più bassa, che reca ancora una vecchia croce malandata). La vetta principale invece ha solo due pietre avvicinate ad arte, nient’altro, come si conviene a queste cime solitarie ed essenziali.
Dalla vetta è impossibile avere una visuale precisa sulla Bocchetta di Lavattel, per cui percorro in parte la cresta E in modo da dare un’occhiata anche alla parete opposta a quella che ho percorso in salita e finalmente, almeno con lo sguardo, identificare anche quest’altro valico storico della Valgrande.
Dopo aver esplorato le tre vette ed essermi rifocillato al Passo di Sautì, ripercorro il sentiero dell’andata, trovando anche una conferma alle parole di Teresio Valsesia, quando afferma che la mulattiera iniziale “è il dominio dei rettili”. Un’unica vipera è pur sempre una conferma, no?
Gita stupenda (per me la realizzazione di un sogno…) adatta agli amanti della wilderness più spinta. I Corni di Nibbio non sono da prendere sotto gamba (come tutta la montagna del resto… ma qui ancora più che in altri luoghi), però regalano emozioni indescrivibili (e anche qualche zecca...).
Per una panoramica completa sulla zona dei Corni di Nibbio segnalo l’ottimo sito www.in-valgrande.it oltre alla già citata opera di Teresio Valsesia “Val Grande ultimo paradiso”.
Tempi:
Bettola – Pizzo delle Tre Croci. Andata 5 ore; ritorno 3 ore

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