Orfalecchio - Valle del Rio Val Grande
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Vento a 80 km/h con possibilità di raffiche anche più forti, e temperature ampiamente sopra i 20° a causa del favonio (in pianura ne sono stati misurati fino a 24°) inducono - non solo me, a quanto pare - ad una pausa scialpinistica e a cercare un tragitto boschivo il più possibile riparato dai nefasti turbinii di Eolo. L’incassata gola del Rio Valgrande è perfetta allo scopo, e garantisce anche un po’ di avventura, il che non guasta.
Una piccola nota di geografia, visto che di Val Grande si parla spesso a sproposito. Il Parco Nazionale Val Grande e anche la ex-comunità montana Val Grande sono tutte entità che vanno ben oltre i confini stretti della Val Grande, che è invece definita unicamente dal bacino del Rio Valgrande. In questa accezione stretta si parla dunque di Val Grande per i territori compresi tra il Ponte Casletto (a Sud) e le cime del Tignolino, Togano e Nona (a Nord).
Parto dunque da Bignugno (547 m), piccolo agglomerato di cascine posizionato sulla strada che da Rovegro porta a Cicogna, “la piccola capitale della Val Grande”, con un abbigliamento leggero. Per tutta la giornata non aggiungerò niente, semmai toglierò.
Il sentiero sale in direzione N verso Pezza Blena (593 m) e raggiunge la Cappella di Ör Vergügn (652 m), “l’orlo da cui si guarda la valle”. Qui cambia l’orientamento: infatti mi dirigo verso ENE e raggiungo prima il nucleo di Curt Pirela (728 m), e successivamente, lasciando sulla sinistra il sentiero ufficiale che sale ancora verso l’Alpe Scellina superiore, pervengo all’Alpe Scellina inferiore (805 m), dove vengo accolto da due gattini.
La cosa mi fa pensare che ci sia anche una presenza umana: infatti poco dopo mi accorgo di un camino fumante in una cascina. In giro però non si vede nessuno: alla fine concludo che se qualcuno ha scelto di vivere qui, forse preferirà non essere disturbato (oppure si potrebbe anche pensare che magari una visita avrebbe fatto piacere, ma non lo sapremo mai…).
Ad ogni modo, dall’ultima cascina scendo nel bosco (senza sentiero) per un’ottantina di metri di dislivello, sapendo che così facendo dovrei incrociare il sentiero ufficiale che porta al Ponte di Velina. Nel bosco sono evidenti i segni della presenza del cinghiale. Raggiunto il sentiero ufficiale proseguo sopra le forre del Rio Valgrande e, nei pressi del Ponte di Velina (470 m) lo abbandono (senza passare sull’altro versante) per seguire il “sentiero molto pericoloso” che porta ad Orfalecchio.
La via rimane di un certo impegno (in linea generale attorno al T4), ma recenti opere di posa di nuove catene aumentano il senso di sicurezza. C’è almeno un passaggio, “la calata del canapone” su roccia viscida, che arriva a sfiorare il T5, per il resto l’attenzione maggiore va sempre alle zone rese scivolose dall’acqua. Ghiaccio, fortunatamente, ne ho trovato solo in piccolissima parte.
Il sentiero arriva a lambire, dalla riva opposta, la Riserva Integrale del Pedum, ed in alcuni punti si ha accesso alle acque del Rio Valgrande, in un ambiente selvaggio di incomparabile bellezza.
Sopra di me, nello spazio aereo della riserva integrale, vedo volteggiare due rapaci: potrebbero anche essere aquile, ma, date le dimensioni e la distanza, preferisco pensare che sia il volo di coppia del nibbio.
Supero in sequenza la Val Buè, la Valle delle Scale (di fronte alla quale scende la cresta del confine S della riserva integrale), la Camaiasca, la Val Foiera ed il Rio d’Ancino: improvvisamente mi trovo davanti il bivacco di Orfalecchio (550 m), nei pressi del quale una piccola placca metallica recita:
I sentieri della fatica dei nostri vecchi.
…per una gerla d’erba,
…per portare le carrucole,
per vivere…
Visito il bivacco, è in ordine, anche se siamo molto lontani dalle capanne ticinesi, ed un ghiro deve essere in giro all’interno, vedendo come sono stati rosicchiati alcuni scatoloni…
Per la pausa pranzo mi posiziono all’esterno, sul “tetto” della ex “villa” dei direttori dell’impresa di disboscamento attiva in Val Grande tra il 1918 ed il 1930. Orfalecchio era, all’epoca, assieme a Pogallo, il centro più importante della Val Grande per la produzione e lo smistamento del legname. Nel 1920 fu toccata la punta massima di 1500 quintali giornalieri. Poi, il silenzio, prima di essere di nuovo interrotto dal suono delle mitragliatrici… E poi, finalmente, la presa di possesso del territorio da parte della Natura.
Mi crogiolo al sole senza maglietta e dopo essermi rifocillato riprendo il cammino e mi dirigo, dopo una breve ripetizione all’indietro, sul sentiero che sale nel bosco in direzione di Corte Buè (che non raggiungerò mai…). Bolli gialli e arancioni confermano la traccia. Dopo essere salito parecchio, trovo un costone libero da vegetazione con un rudere della vecchia teleferica per il legname e, desideroso di scattare qualche foto verso il Pedum senza interferenze di rami e rametti, salgo di lì (credo, ma la cosa è da confermare, che sia il costone che separa la Valle delle Scale dalla Camaiasca) . La traccia è ora segnata solo in giallo (evidentemente quella arancione portava a Buè); più in alto alcuni passaggi sono assicurati da catene. Passo vicino alla vena di marmo dei Corni di Nibbio (e che sull’altro versante affiora sopra Candoglia). Da qui comincia ad aprirsi anche la visuale sulla testata Nord della Val Grande e appaiono in sequenza Pizzo Nona, Togano, Tignolino e Testa di Menta.
Sbuco sopra Corte Buè (raggiungibile in 25 minuti di discesa), più o meno alla quota di 1040 m, a E della cima del Carbunisc, la prima delle guglie che precedono la Cima Corte Lorenzo. Sono sul sentiero ufficiale che dalla predetta C.C.Lorenzo porta ad Ompio. Percorro l’interminabile sentiero che aggira tutti i valloncelli che scendono dalla cresta Faiè-Corte Lorenzo e, attraverso l’Alpe Caseracce (1247 m) arrivo al Rifugio Fantoli di Ompio (1000 m) con l’oscurità incipiente. Sono dotato di frontale, quindi non mi faccio impressionare.
Qui prendo a sinistra il sentiero ufficiale che in 1 ora e 45’ porterebbe a Bignugno, però decido di tagliare un po’ per accorciare i tempi. Raggiunta la cresta (boschiva) scendo a Curt Pentì (887 m). Qui ci dovrebbe essere una traccia diretta per Bignugno, ma l’oscurità ed il fatto di non averla mai percorsa mi fanno propendere per tenere la cresta boschiva e scendere in direzione della Cappella di Ör Vergügn, pur senza sentiero.
Arrivato proprio sopra la cappelletta, ritrovo il sentiero ufficiale del mattino che in breve, attraverso Pezza Blena, completamente immerso nell’oscurità (la frontale può attendere…) mi riporta a Bignugno e all’auto.
Una giornata passata al riparo dal vento, dalle valanghe e nella wilderness più totale!
Tempi di percorrenza: 8 ore. Dettaglio:
Bignugno – Ponte di Velina: 2 ore
Ponte di Velina – Orfalecchio: 2 ore
Orfalecchio – Ompio (via A. Caseracce): 2 ore e 45’
Ompio – Bignugno (via Curt Pentì e Ör Vergügn): 1 ora e 15’

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