Pizzo Lesino 1990 & friends - da Orfalecchio a Bettola con ritorno in stile Anabasi
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Oggi tocca a quella che è forse la montagna più difficile da raggiungere di tutto il Parco Nazionale della Valgrande : il Pizzo Lesino. Purtroppo il monsone primaverile ha portato troppo in là la stagione, e la vegetazione nella parte bassa, soprattutto al ritorno è diventata decisamente fastidiosa.
La salita da Orfalecchio è stata forse la carta vincente, per noi che non siamo troppo veloci, il rientro a Bettola sull'altro versante è stato davvero in stile Anabasi o ritirata di Russia per alcuni inconvenienti che si potrebbe classificare come : la maledizione dei Corni di Nibbio sulla protesi di Samuele :-)
Partiti dal Bivacco Orfalecchio già di mattino presto. Il sentiero è stato inizialmente, "pesantemente" e forse troppo marcato. Almeno i primi 200 metri di dislivello. E' segnato come strada delle vacche. Ma forse erano incrociate con i camosci quelle vacche, visto la ripidità dei luoghi. Più sopra la marcatura ( non ufficiale ) è più discreta, e traversa infine verso sinistra e dopo aver attraversato un ruscelletto ( ultima acqua ) arriva ai ruderi dell'Alpe Rodugno 1324 m.
Ora si sale ancora un pò verso il Passo Sautì, ma più o meno sui 1450 m di quota si decide di abbandonare il sentiero, quando questo piega decisamente a sud ( il Lesino è invece verso nord ). Qui si riesce a riconoscere il resto di un antico sentiero che va verso nord quasi in piano. Dopo qualche centinaio di metri esso sembra scomparire, qui iniziamo a salire puntando verso il costone, che raggiungiamo. Questo costone ha un andamento in salita verso Ovest-Sud-Ovest, e quasi completamente invaso di rododendri e ginepri.
Gli sprazzi panorami sul vicino Lesino sono belli e l'euforia cresce, senza sapere che l'avventura è solo agli inizi e i 500 metri +, sono solo teorici.
Arriviamo a fatica sul crinale spartiacque principale con l'Ossola, all'Anticima nord della Teisa. Con notevole risparmio di saliscendi, rispetto al passaggio dalla Bocchetta di Sautì.
Ora scendiamo lungo il crinale verso Nord-Ovest a una sella e in breve saliamo alla Cima Innominata di quota 1663 m. Qui iniziano le vere difficoltà. Il Passo del Tita è là quasi 80 metri sotto, e alcuni salti impediscono una discesa diretta.
Scendiamo un saltino dopo l'altro, spesso stando verso destra, un gradino si presenta particolarmente ostico da scendere e preoccuperà Sam al ritorno.
Ma più sotto un altro salto sembra invalicabile, probabilmente la discesa diretta del salto non è più attuabile per via di qualche pianta che non esiste più, infatti sotto si vede una freccia rossa. Ma alla fine vediamo in un ripido canale a destra che scende verso la Valgrande come l'unica soluzione per proseguire. Lo discendiamo, e poi piegando a sinistra risaliamo fino alla base del salto, dove c'è la freccia e 2 vecchi bolli ( gli unici ). Ora senza più problemi scendiamo alla massima depressione del Passo del Tita 1590 m.
Abbiamo ancora 400 m+ da salire.
Una prima spalla boscata viene superata, al culmine alcune roccette. Poi si entra nel rientra nelò regno dei rododendri. Si sale a un altra cimetta, e dopo una breve discesa si riprende a salire. Nessuna traccia si sale in un mare di cespugli fioriti. Da un anticima lì davanti, sento una specie di carro armato che scende frantumando i rododendri : è un grosso cinghiale che pensa di essere uno stambecco, in un paio di minuti divora tutto il pendio in discesa.
Cerchiamo di tenere il più possibile il filo del costone seguendolo senza fare traversi, che con questa vegetazione sono davvero penosi. In un punto si ritrova anche una breve traccia di animali. L'ultimo piccolo tratto è finalmente nell'erba, restiamo appena sotto costa a destra e arriviamo direttamente all'ometto di vetta del Lesino 1990 m.
Sono passate un casino di ore, e già si capisce che nonostante le lunghe giornate, sarà un rientro al buio.
Ripercorriamo tutta la via fino al Passo del Tita, poi si risale la parte più delicata, fino alla Cima Innominata 1663. Discesa alla sella successiva e salita all'Anticima della Teisa.
Ma il percorso così lungo nei cespugli ha messo a dura prova Sam e la sua protesi, tanto che comincia a fargli male il moncone. Sarà lungo il rientro, bisogna fare un infinità di soste per non peggiorare la situazione.
Ora almeno sono in terreno già noto per precedenti esplorazioni. Su alla Teisa 1688 m, si scende alla Porta 1600, e risalita al Pizzo Sautì 1677 m. Si scende a sinistra al passaggio chiave in una fessura terrosa vicino a un albero morto. Poi si scavalca la cimetta rocciosa del Turinell, da cui in breve siamo al passo Sautì 1610 m.
Qui inizia il sentiero bianco-rosso per Bettola, ma non si creda che sia banale, soprattutto a fine giugno e al crepuscolo. Infatti subito notiamo che l'erba è molto alta e si fà fatica a vedere i segnavia, si intuisce che quasi nessuno percorre questo sentiero.
Arriviamo ai ruderi dell'Alpe Sautì 1466 m e con qualche difficoltà di orientamento anche al sottostante Funtanin 1330 m( un ruscello dove c'è acqua ). Riusciamo finalmente a integrare le riserve di acqua e bere a sazietà.
Dopo la sosta a questa "oasi", siamo ormai al buio pesto. E abbiamo ancora almeno 1100 metri di dislivello da scendere.
Scendiamo al ripiano roccioso di Asaa 1297 m, dove c'è il bivio per Lavattell.
Da qui una giungla di felci rende difficile seguire il percorso notturno. Finalmente rientriamo nel bosco e dopo una lunga discesa arriviamo all'orrido canalone attrezzato.
Sull'altro lato si passa dal Balm dul Giuvann e finalmente arriviamo all'Or Piciocch 760. Dove facciamo ancora provvista di acqua.
Per via delle nostre lampade frontali, siamo letteralmente assaliti da ogni genere di insetti, ma per lo più moscerini, falene e zanzare.
Ora affrontiamo con cautela il traverso su sentierino esposto, fino ad arrivare all'Alpe Corte 675 m. Dove un grande e piatto masso fà da tetto a un balmo. La sosta sarà proprio su questo duro giaciglio, ma i testimoni mi hanno sentito russare, tanto era il sonno.
Arrivati sulla stradina della "Linea Cadorna", non possiamo che constatare di essere arrivati in una vera giungla amazzonica. In alcuni tratti è davvero difficile districarsi e spesso oltre alle felci ci sono numerosi cespugli spinosi. E' ormai l'alba quando arriviamo nel boschetto finale alle porte di Bettola. Ma un ultimo ostacolo ci separa dall'auto, il sentiero marcato a fianco della ferrovia è letteralmente invaso da una giungla di "Phytolacca" alte 2 metri, non si passa. A fianco, recintato blandamente, un praticello ben rasato, invasione di proprietà inevitabile e uscita sulla strada al parcheggio.
PS
La fatica passa la soddisfazione è eterna
Dopo sole 24 ore la gamba protesizzata di Samuele non fà più male, è stato solo il terreno cespuglioso senza un fondo definito a provocare questa situazione.
Ho fatto un calcolo, su quale sarebbe il dislivello andata e ritorno da Bettola. Infatti basta tenere conto della sola discesa e sommare i dislivelli positivi e negativi, risultato : 2118+340= 2458 metri di dislivello tra andata e ritorno, con 34 km.
Orfalecchio-Pizzo Lesino invece sono 1539+ con 158- e 10,47 km
La salita da Orfalecchio è stata forse la carta vincente, per noi che non siamo troppo veloci, il rientro a Bettola sull'altro versante è stato davvero in stile Anabasi o ritirata di Russia per alcuni inconvenienti che si potrebbe classificare come : la maledizione dei Corni di Nibbio sulla protesi di Samuele :-)
Partiti dal Bivacco Orfalecchio già di mattino presto. Il sentiero è stato inizialmente, "pesantemente" e forse troppo marcato. Almeno i primi 200 metri di dislivello. E' segnato come strada delle vacche. Ma forse erano incrociate con i camosci quelle vacche, visto la ripidità dei luoghi. Più sopra la marcatura ( non ufficiale ) è più discreta, e traversa infine verso sinistra e dopo aver attraversato un ruscelletto ( ultima acqua ) arriva ai ruderi dell'Alpe Rodugno 1324 m.
Ora si sale ancora un pò verso il Passo Sautì, ma più o meno sui 1450 m di quota si decide di abbandonare il sentiero, quando questo piega decisamente a sud ( il Lesino è invece verso nord ). Qui si riesce a riconoscere il resto di un antico sentiero che va verso nord quasi in piano. Dopo qualche centinaio di metri esso sembra scomparire, qui iniziamo a salire puntando verso il costone, che raggiungiamo. Questo costone ha un andamento in salita verso Ovest-Sud-Ovest, e quasi completamente invaso di rododendri e ginepri.
Gli sprazzi panorami sul vicino Lesino sono belli e l'euforia cresce, senza sapere che l'avventura è solo agli inizi e i 500 metri +, sono solo teorici.
Arriviamo a fatica sul crinale spartiacque principale con l'Ossola, all'Anticima nord della Teisa. Con notevole risparmio di saliscendi, rispetto al passaggio dalla Bocchetta di Sautì.
Ora scendiamo lungo il crinale verso Nord-Ovest a una sella e in breve saliamo alla Cima Innominata di quota 1663 m. Qui iniziano le vere difficoltà. Il Passo del Tita è là quasi 80 metri sotto, e alcuni salti impediscono una discesa diretta.
Scendiamo un saltino dopo l'altro, spesso stando verso destra, un gradino si presenta particolarmente ostico da scendere e preoccuperà Sam al ritorno.
Ma più sotto un altro salto sembra invalicabile, probabilmente la discesa diretta del salto non è più attuabile per via di qualche pianta che non esiste più, infatti sotto si vede una freccia rossa. Ma alla fine vediamo in un ripido canale a destra che scende verso la Valgrande come l'unica soluzione per proseguire. Lo discendiamo, e poi piegando a sinistra risaliamo fino alla base del salto, dove c'è la freccia e 2 vecchi bolli ( gli unici ). Ora senza più problemi scendiamo alla massima depressione del Passo del Tita 1590 m.
Abbiamo ancora 400 m+ da salire.
Una prima spalla boscata viene superata, al culmine alcune roccette. Poi si entra nel rientra nelò regno dei rododendri. Si sale a un altra cimetta, e dopo una breve discesa si riprende a salire. Nessuna traccia si sale in un mare di cespugli fioriti. Da un anticima lì davanti, sento una specie di carro armato che scende frantumando i rododendri : è un grosso cinghiale che pensa di essere uno stambecco, in un paio di minuti divora tutto il pendio in discesa.
Cerchiamo di tenere il più possibile il filo del costone seguendolo senza fare traversi, che con questa vegetazione sono davvero penosi. In un punto si ritrova anche una breve traccia di animali. L'ultimo piccolo tratto è finalmente nell'erba, restiamo appena sotto costa a destra e arriviamo direttamente all'ometto di vetta del Lesino 1990 m.
Sono passate un casino di ore, e già si capisce che nonostante le lunghe giornate, sarà un rientro al buio.
Ripercorriamo tutta la via fino al Passo del Tita, poi si risale la parte più delicata, fino alla Cima Innominata 1663. Discesa alla sella successiva e salita all'Anticima della Teisa.
Ma il percorso così lungo nei cespugli ha messo a dura prova Sam e la sua protesi, tanto che comincia a fargli male il moncone. Sarà lungo il rientro, bisogna fare un infinità di soste per non peggiorare la situazione.
Ora almeno sono in terreno già noto per precedenti esplorazioni. Su alla Teisa 1688 m, si scende alla Porta 1600, e risalita al Pizzo Sautì 1677 m. Si scende a sinistra al passaggio chiave in una fessura terrosa vicino a un albero morto. Poi si scavalca la cimetta rocciosa del Turinell, da cui in breve siamo al passo Sautì 1610 m.
Qui inizia il sentiero bianco-rosso per Bettola, ma non si creda che sia banale, soprattutto a fine giugno e al crepuscolo. Infatti subito notiamo che l'erba è molto alta e si fà fatica a vedere i segnavia, si intuisce che quasi nessuno percorre questo sentiero.
Arriviamo ai ruderi dell'Alpe Sautì 1466 m e con qualche difficoltà di orientamento anche al sottostante Funtanin 1330 m( un ruscello dove c'è acqua ). Riusciamo finalmente a integrare le riserve di acqua e bere a sazietà.
Dopo la sosta a questa "oasi", siamo ormai al buio pesto. E abbiamo ancora almeno 1100 metri di dislivello da scendere.
Scendiamo al ripiano roccioso di Asaa 1297 m, dove c'è il bivio per Lavattell.
Da qui una giungla di felci rende difficile seguire il percorso notturno. Finalmente rientriamo nel bosco e dopo una lunga discesa arriviamo all'orrido canalone attrezzato.
Sull'altro lato si passa dal Balm dul Giuvann e finalmente arriviamo all'Or Piciocch 760. Dove facciamo ancora provvista di acqua.
Per via delle nostre lampade frontali, siamo letteralmente assaliti da ogni genere di insetti, ma per lo più moscerini, falene e zanzare.
Ora affrontiamo con cautela il traverso su sentierino esposto, fino ad arrivare all'Alpe Corte 675 m. Dove un grande e piatto masso fà da tetto a un balmo. La sosta sarà proprio su questo duro giaciglio, ma i testimoni mi hanno sentito russare, tanto era il sonno.
Arrivati sulla stradina della "Linea Cadorna", non possiamo che constatare di essere arrivati in una vera giungla amazzonica. In alcuni tratti è davvero difficile districarsi e spesso oltre alle felci ci sono numerosi cespugli spinosi. E' ormai l'alba quando arriviamo nel boschetto finale alle porte di Bettola. Ma un ultimo ostacolo ci separa dall'auto, il sentiero marcato a fianco della ferrovia è letteralmente invaso da una giungla di "Phytolacca" alte 2 metri, non si passa. A fianco, recintato blandamente, un praticello ben rasato, invasione di proprietà inevitabile e uscita sulla strada al parcheggio.
PS
La fatica passa la soddisfazione è eterna
Dopo sole 24 ore la gamba protesizzata di Samuele non fà più male, è stato solo il terreno cespuglioso senza un fondo definito a provocare questa situazione.
Ho fatto un calcolo, su quale sarebbe il dislivello andata e ritorno da Bettola. Infatti basta tenere conto della sola discesa e sommare i dislivelli positivi e negativi, risultato : 2118+340= 2458 metri di dislivello tra andata e ritorno, con 34 km.
Orfalecchio-Pizzo Lesino invece sono 1539+ con 158- e 10,47 km
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Antonio59 !
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