Triangolino (2591msm)
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L'idea iniziale era quella di risalire la splendida Corona di Redòrta, ma siccome era da molto (troppo) che non calzavamo i nostri scarponi, abbiamo deciso di suonare alla porta del suo vicino di casa, Signor Triangolino, via Redòrta, Val Verzasca, che è un po' più basso.
Partiamo alle 07.00 e già lì ci convinciamo che sarà una bellissima giornata: il sole comincia a farsi vedere, illuminando le vette più alte attorno a noi. Da dove ci troviamo, non vediamo ancora il Triangolino, ma i suoi protettori, più imponenti, sono ormai baciati dai primi raggi.
Poco o nulla da dire sul noiosissimo tratto asfaltato fino all'inizio del sentiero: ci consoliamo sapendo che esso ci servirà a scaldare le gambe, e nulla di più. La salita fino a Püscen Negro (cf. le innumerevoli relazioni) è agevole e spedita, così come il séguito fino alla Q1714, dove trovasi l'alloggio-base dell'alpigiano. Da lì, abbiamo un'ottima visuale del Triangolino, e ci domandiamo come sia possibile salirvi, ma siamo fiduciosi, e proseguiamo. Venti minuti dopo, ci troviamo a un importante bivio (alla Q1871): svoltando a destra, si sale al Passo di Redòrta, mentre che andando dritti si giunge a Fornaa: noi si va dritti.
Fino a Fornaa è ancora visibile una buona traccia di sentiero, e deboli segnali bianco-rosso-bianco. Fornaa è una cascina un po' lasciata andare, con sporcizia qua e là, ma la sua posizione è pregiatissima, e fa in modo che quell'incuria non dia troppo fastidio. Da questo punto, l'unico obiettivo è salire alla depressione ben visibile sopra di noi: si tratta della Q2541, che però, pur non avendo nome sulla CN, si considera la Bocchetta del Monte Zucchero. Ci separano più di cinquecento metri di pietraia, ripidissima e estremamente instabile: è una ghiaia un po' infima: il piede spesso si trova a scivolare, in giù, rallentando la salita.
Giungiamo infine alla Bocchetta del Monte Zucchero, e quello che scorgiamo dall'altra parte ci fa dimenticare la fatica fatta finora: la giornata è delle più pulite e terse, e lo sguardo si spinge fin dove non pensavamo posse possibile! Ci mancano quaranta metri di dislivello, e non tardiamo a ripartire. Il filo vero e proprio della cresta non c'ispira per nulla, e quindi decidiamo di tenerci sulla destra dello stesso, dove si trova un'interessante e allettante lingua erbosa, che sembra salire fino in cima.
Dalla cima abbiamo una panoramica a dir poco assurda, e scattiamo decine di foto, prima di concederci il nostro pranzetto, alla fine del quale non mancherà il nostro solito caffè corretto. Tira un forte vento, e la temperatura non è proprio altissima; il forte sole ci viene però in aiuto, e ce ne stiamo buoni buoni ancora un po': tutto è superlativo, e non c'è fretta di scendere. Abbiamo impiegato, pause comprese, quattro ore e mezzo a salire, e stimiamo di mettercene poco più di tre a scendere. È la una: tutto il tempo per tornare a Sonogno!
Riprendiamo quindi i nostri passi, e a un certo punto, sotto la Q2541, notiamo ciò che avremmo gradito trovare salendo: dei lievi segnali bianco-rosso-bianco! Decidiamo di seguirli, e abbiamo la sorpresa: essi ci fanno seguire la cresta proprio ai suoi piedi, facendoci camminare su comode lingue erbose. La discesa fino a Furnaa, quindi, è ben più agevole che non l'andata, e non manchiamo di ricordarci, per la prossima volta, che dalla cascina sarà sufficiente salire alle sue spalle e andare a prendere quelle lingue erbose, anziché penare su quella lunghissima pietraia!
Il rientro avviene per lo stesso percorso dell'andata, e alle 16.15 siamo di nuovo al parcheggione di Sonogno.
L'escursione non è complicata, ma relativamente dura. La salita si fa sentire dal primo all'ultimo passo, e non dà un momento di tregua. L'ascesa al cocuzzolo non è difficile, sebbene vi siano alcuni punti in cui è utile (forse doveroso) servirsi delle mani. Acqua ce n'è fino alla Q1714, e se ne trova ben poca in seguito. Non c'è praticamente possibilità di perdersi, poiché la prima parte del percorso è estremamente ben segnalata, mentre che nella seconda, sebbene i segnali e le tracce non siano evidentissimi, non c'è problema: basta puntare alla depressione ben visibile sotto il Monte Zucchero, e seguire le lingue d'erba sopra descritte.
Partiamo alle 07.00 e già lì ci convinciamo che sarà una bellissima giornata: il sole comincia a farsi vedere, illuminando le vette più alte attorno a noi. Da dove ci troviamo, non vediamo ancora il Triangolino, ma i suoi protettori, più imponenti, sono ormai baciati dai primi raggi.
Poco o nulla da dire sul noiosissimo tratto asfaltato fino all'inizio del sentiero: ci consoliamo sapendo che esso ci servirà a scaldare le gambe, e nulla di più. La salita fino a Püscen Negro (cf. le innumerevoli relazioni) è agevole e spedita, così come il séguito fino alla Q1714, dove trovasi l'alloggio-base dell'alpigiano. Da lì, abbiamo un'ottima visuale del Triangolino, e ci domandiamo come sia possibile salirvi, ma siamo fiduciosi, e proseguiamo. Venti minuti dopo, ci troviamo a un importante bivio (alla Q1871): svoltando a destra, si sale al Passo di Redòrta, mentre che andando dritti si giunge a Fornaa: noi si va dritti.
Fino a Fornaa è ancora visibile una buona traccia di sentiero, e deboli segnali bianco-rosso-bianco. Fornaa è una cascina un po' lasciata andare, con sporcizia qua e là, ma la sua posizione è pregiatissima, e fa in modo che quell'incuria non dia troppo fastidio. Da questo punto, l'unico obiettivo è salire alla depressione ben visibile sopra di noi: si tratta della Q2541, che però, pur non avendo nome sulla CN, si considera la Bocchetta del Monte Zucchero. Ci separano più di cinquecento metri di pietraia, ripidissima e estremamente instabile: è una ghiaia un po' infima: il piede spesso si trova a scivolare, in giù, rallentando la salita.
Giungiamo infine alla Bocchetta del Monte Zucchero, e quello che scorgiamo dall'altra parte ci fa dimenticare la fatica fatta finora: la giornata è delle più pulite e terse, e lo sguardo si spinge fin dove non pensavamo posse possibile! Ci mancano quaranta metri di dislivello, e non tardiamo a ripartire. Il filo vero e proprio della cresta non c'ispira per nulla, e quindi decidiamo di tenerci sulla destra dello stesso, dove si trova un'interessante e allettante lingua erbosa, che sembra salire fino in cima.
Dalla cima abbiamo una panoramica a dir poco assurda, e scattiamo decine di foto, prima di concederci il nostro pranzetto, alla fine del quale non mancherà il nostro solito caffè corretto. Tira un forte vento, e la temperatura non è proprio altissima; il forte sole ci viene però in aiuto, e ce ne stiamo buoni buoni ancora un po': tutto è superlativo, e non c'è fretta di scendere. Abbiamo impiegato, pause comprese, quattro ore e mezzo a salire, e stimiamo di mettercene poco più di tre a scendere. È la una: tutto il tempo per tornare a Sonogno!
Riprendiamo quindi i nostri passi, e a un certo punto, sotto la Q2541, notiamo ciò che avremmo gradito trovare salendo: dei lievi segnali bianco-rosso-bianco! Decidiamo di seguirli, e abbiamo la sorpresa: essi ci fanno seguire la cresta proprio ai suoi piedi, facendoci camminare su comode lingue erbose. La discesa fino a Furnaa, quindi, è ben più agevole che non l'andata, e non manchiamo di ricordarci, per la prossima volta, che dalla cascina sarà sufficiente salire alle sue spalle e andare a prendere quelle lingue erbose, anziché penare su quella lunghissima pietraia!
Il rientro avviene per lo stesso percorso dell'andata, e alle 16.15 siamo di nuovo al parcheggione di Sonogno.
L'escursione non è complicata, ma relativamente dura. La salita si fa sentire dal primo all'ultimo passo, e non dà un momento di tregua. L'ascesa al cocuzzolo non è difficile, sebbene vi siano alcuni punti in cui è utile (forse doveroso) servirsi delle mani. Acqua ce n'è fino alla Q1714, e se ne trova ben poca in seguito. Non c'è praticamente possibilità di perdersi, poiché la prima parte del percorso è estremamente ben segnalata, mentre che nella seconda, sebbene i segnali e le tracce non siano evidentissimi, non c'è problema: basta puntare alla depressione ben visibile sotto il Monte Zucchero, e seguire le lingue d'erba sopra descritte.
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