Pietraforata - Valle Antrona
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Osservando il Pizzo Ciapé dalle cime della Bassa Ossola qualche mese fa, la mia attenzione era stata attirata da una sorta di cengia disegnata dalla neve. Mi era sembrato un percorso logico, almeno per gli animali...
Non avevo ancora notato che sulla carta IGM un sentiero attraversa il versante Sud-Est della montagna e un altro (puntinato...) prosegue fino a raggiungere l'Alpe Lagorotto, alla testata del vallone di Pena. Non rimaneva che andare a vedere di persona.
Ne è uscita una traversata molto panoramica ma la sorpresa più grande è stata la Pietraforata, in dialetto Preia Furà, che non è una cima (non a caso sulla carta IGM il nome è a destra della linea di cresta, ed è quotata 2091 m) ma un masso con una grande quantità di incisioni, con nomi e date sparsi in meraviglioso disordine, come se - chi ha voluto lasciare un segno del proprio transito - avesse avuto l'urgenza di incidere qualcosa proprio su quella pietra, insieme e in mezzo a tutti gli altri autori di questo graffito a più mani.
Viene spontaneo pensare che queste incisioni siano legate alle miniere di ferro di Ogaggia, la cui storia si perde nel tempo (il primo documento risale al 1217) e che sono all'origine dello sviluppo industriale di Villadossola nel secolo XIX. In realtà le miniere sono cadute in disuso dopo l'unità d'Italia e sulla roccia molte scritte sono decisamente troppo recenti per essere associate al transito dei minatori.
Nel libro "Oltre l'ignoto - viaggio nella Valle Antrona Preistorica", di Pier Franco Midali, si ipotizza che la Preia Furà fosse il luogo sacro dove convergevano gli antichi cammini penitenziali della Valle Antrona, gli Autani, praticati anche ai giorni nostri in una versione "semplificata", dove la parte più impervia del cammino, quella che arrivava alla Preia Furà, è sostituita da una sosta in luoghi più comodi (l'Alpe Ogaggia nel caso dell'Autani di Set Frei).
Annotazioni
Percorso lungo e faticoso, privo di segnaletica da Ogaggia a Cama.
Da Ogaggia alla Costa del Cavallo è presente una traccia mantenuta dagli animali, che mediamente presenta un buon calpestio ma con singoli passaggi (su erba) molto esposti. In quest'occasione abbiamo incontrato alcuni tratti ripidi su neve gelata che non avremmo superato senza ramponi (valutabili come F), alternati da altri su neve non portante, molto faticosi.
La prosecuzione fino all'Alpe Lagorotto è senza traccia.
Logistica
La partenza da Ruginenta si è rivelata non consigliabile perché un vero sentiero da Ruginenta a Cheggio non c'è (o noi non lo abbiamo trovato...) e il rientro su strada asfaltata è piuttosto lungo.
Con una macchina sola, conviene raggiungere l'Alpe Cavallo dal ponte sull'Ovesca all'altezza di San Pietro e seguire il sentiero segnalato che passa dall'Alpe Vaccareccia. In questo caso infatti il sentiero è facilmente individuabile fin dall'inizio e si riduce il tratto finale su asfalto.
Disponendo di due macchine (o potendo contare sui mezzi pubblici, nei giorni feriali), conviene partire da Bordo, oppure da Viganella o da Montescheno e salire da lì al Passo di Ogaggia, senza passare dall'Alpe Cavallo.
Itinerario
Da Ruginenta cerchiamo il sentiero, segnato sulle mappe, che sale a Chesio, senza però trovare segnaletica di alcun tipo. Salendo a monte della chiesa ci imbattiamo in un vecchio sentiero che, nei pressi di un traliccio dell'alta tensione, presenta dei tratti gradinati per poi perdersi tra i terrazzamenti, in parte franati. Saliamo comunque il ripido pendio boscoso (scomodo, a tratti ripido) fino ad incrociare la mulattiera, segnalata ed evidente, che sale verso l'Alpe Cavallo nei pressi della Cappella Mundù.
Proseguiamo passando dall'Alpe Alber e dalla fontana Cisa, disseccata in questa stagione siccitosa, fino all'Alpe Cavallo dove imbocchiamo, alle spalle della baita con San Pedar, il sentiero che attraversa il vallone di Balmel. Superato il rugginoso corso del Rio della Frera si incontrano dei tratti protetti con putrelle e catene. Giungiamo così all'Alpe La Beula, dove abbandoniamo il percorso principale per salire sul "ruvido sentiero" (così descritto su una guida dell'Ossola di fine '800...), segnalato in modo discreto e intelligente, che sale nel bosco di abeti fino all'assolato pascolo dell'Alpe Crap (Rabbini: Cruppo).
Proseguiamo quindi nei prati, ora a vista, ora su quello che resta del vecchio percorso, fino ad immetterci sul sentiero segnalato che traversa a Sud della Testa dei Rossi nei pressi del Passo di Ogaggia. Superata un'altra fonte disseccata, in breve arriviamo all'Alpe Ogaggia, dove troviamo uno splendido bivacco pulitissimo e ben fornito.
Fino qui circa 4 ore.
Superato il risalto a monte delle baite, iniziamo a traversare il versante SE del Ciapè su una traccia di animali, inizialmente piuttosto ampia. La "cengia" è in realtà una successione di colletti e canalini e la traccia che la percorre presenta alcuni traversi esposti con calpestio esiguo. Rallentati nella progressione da alcuni tratti ripidi nella neve non portante, raggiungiamo il colletto della Pietraforata (circa 2050 m secondo il mio GPS, IGM 2091 m), sulla costa che precede quella del Cavallo.
Proseguiamo, traversando prima in discesa e poi in salita, sul fianco del Vallone di Pena, giungendo così all'Alpe Lagorotto (circa 2025 m; la quota 1861 m IGM è chiaramente un errore), il rudere di un misero ricovero addossato ad un masso sul bordo dell'altipiano, e dei resti azzerati alle sue spalle, in quest'occasione in parte nascosti dalla neve.
Secondo il Midali (libro citato in apertura) in dialetto il nome dell'alpe è La Garutt, quindi non avrebbe nulla a che vedere con la presenza di un lago.
Da Ogaggia circa 3 ore, riducibili sensibilmente in assenza di neve.
Dopo una sosta, necessaria per smaltire la stanchezza, proseguiamo verso la dorsale di Cama, che raggiungiamo traversando poco più in alto del vecchio sentiero, la cui traccia è visibile da Lagorotto solo nel tratto più vicino all'alpe.
Scendiamo su terreno facile fino agli Alpi di Cama e, per percorso già noto (lo stesso dell'escursione precedente), a Gi Togn, alle Fraccie e quindi al ponte di cemento sul torrente Loranco noto localmente come Ponte delle Vacche (919 m), nei pressi di Antronapiana.
Tempi: 15' per la risalita da Lagorotto alla dorsale di Cama, 1:30 per la discesa
Dal ponte seguiamo lo sterrato sulla destra idrografica fino ad uscire sulla strada asfaltata a monte della centrale di Rovesca. Da qui non ci rimane che una noiosa camminata fino a Ruginenta, attraversando Locasca, Madonna e San Pietro.
Tempi: poco più di 1 ora dal Ponte delle Vacche a Ruginenta
Non avevo ancora notato che sulla carta IGM un sentiero attraversa il versante Sud-Est della montagna e un altro (puntinato...) prosegue fino a raggiungere l'Alpe Lagorotto, alla testata del vallone di Pena. Non rimaneva che andare a vedere di persona.
Ne è uscita una traversata molto panoramica ma la sorpresa più grande è stata la Pietraforata, in dialetto Preia Furà, che non è una cima (non a caso sulla carta IGM il nome è a destra della linea di cresta, ed è quotata 2091 m) ma un masso con una grande quantità di incisioni, con nomi e date sparsi in meraviglioso disordine, come se - chi ha voluto lasciare un segno del proprio transito - avesse avuto l'urgenza di incidere qualcosa proprio su quella pietra, insieme e in mezzo a tutti gli altri autori di questo graffito a più mani.
Viene spontaneo pensare che queste incisioni siano legate alle miniere di ferro di Ogaggia, la cui storia si perde nel tempo (il primo documento risale al 1217) e che sono all'origine dello sviluppo industriale di Villadossola nel secolo XIX. In realtà le miniere sono cadute in disuso dopo l'unità d'Italia e sulla roccia molte scritte sono decisamente troppo recenti per essere associate al transito dei minatori.
Nel libro "Oltre l'ignoto - viaggio nella Valle Antrona Preistorica", di Pier Franco Midali, si ipotizza che la Preia Furà fosse il luogo sacro dove convergevano gli antichi cammini penitenziali della Valle Antrona, gli Autani, praticati anche ai giorni nostri in una versione "semplificata", dove la parte più impervia del cammino, quella che arrivava alla Preia Furà, è sostituita da una sosta in luoghi più comodi (l'Alpe Ogaggia nel caso dell'Autani di Set Frei).
Annotazioni
Percorso lungo e faticoso, privo di segnaletica da Ogaggia a Cama.
Da Ogaggia alla Costa del Cavallo è presente una traccia mantenuta dagli animali, che mediamente presenta un buon calpestio ma con singoli passaggi (su erba) molto esposti. In quest'occasione abbiamo incontrato alcuni tratti ripidi su neve gelata che non avremmo superato senza ramponi (valutabili come F), alternati da altri su neve non portante, molto faticosi.
La prosecuzione fino all'Alpe Lagorotto è senza traccia.
Logistica
La partenza da Ruginenta si è rivelata non consigliabile perché un vero sentiero da Ruginenta a Cheggio non c'è (o noi non lo abbiamo trovato...) e il rientro su strada asfaltata è piuttosto lungo.
Con una macchina sola, conviene raggiungere l'Alpe Cavallo dal ponte sull'Ovesca all'altezza di San Pietro e seguire il sentiero segnalato che passa dall'Alpe Vaccareccia. In questo caso infatti il sentiero è facilmente individuabile fin dall'inizio e si riduce il tratto finale su asfalto.
Disponendo di due macchine (o potendo contare sui mezzi pubblici, nei giorni feriali), conviene partire da Bordo, oppure da Viganella o da Montescheno e salire da lì al Passo di Ogaggia, senza passare dall'Alpe Cavallo.
Itinerario
Da Ruginenta cerchiamo il sentiero, segnato sulle mappe, che sale a Chesio, senza però trovare segnaletica di alcun tipo. Salendo a monte della chiesa ci imbattiamo in un vecchio sentiero che, nei pressi di un traliccio dell'alta tensione, presenta dei tratti gradinati per poi perdersi tra i terrazzamenti, in parte franati. Saliamo comunque il ripido pendio boscoso (scomodo, a tratti ripido) fino ad incrociare la mulattiera, segnalata ed evidente, che sale verso l'Alpe Cavallo nei pressi della Cappella Mundù.
Proseguiamo passando dall'Alpe Alber e dalla fontana Cisa, disseccata in questa stagione siccitosa, fino all'Alpe Cavallo dove imbocchiamo, alle spalle della baita con San Pedar, il sentiero che attraversa il vallone di Balmel. Superato il rugginoso corso del Rio della Frera si incontrano dei tratti protetti con putrelle e catene. Giungiamo così all'Alpe La Beula, dove abbandoniamo il percorso principale per salire sul "ruvido sentiero" (così descritto su una guida dell'Ossola di fine '800...), segnalato in modo discreto e intelligente, che sale nel bosco di abeti fino all'assolato pascolo dell'Alpe Crap (Rabbini: Cruppo).
Proseguiamo quindi nei prati, ora a vista, ora su quello che resta del vecchio percorso, fino ad immetterci sul sentiero segnalato che traversa a Sud della Testa dei Rossi nei pressi del Passo di Ogaggia. Superata un'altra fonte disseccata, in breve arriviamo all'Alpe Ogaggia, dove troviamo uno splendido bivacco pulitissimo e ben fornito.
Fino qui circa 4 ore.
Superato il risalto a monte delle baite, iniziamo a traversare il versante SE del Ciapè su una traccia di animali, inizialmente piuttosto ampia. La "cengia" è in realtà una successione di colletti e canalini e la traccia che la percorre presenta alcuni traversi esposti con calpestio esiguo. Rallentati nella progressione da alcuni tratti ripidi nella neve non portante, raggiungiamo il colletto della Pietraforata (circa 2050 m secondo il mio GPS, IGM 2091 m), sulla costa che precede quella del Cavallo.
Proseguiamo, traversando prima in discesa e poi in salita, sul fianco del Vallone di Pena, giungendo così all'Alpe Lagorotto (circa 2025 m; la quota 1861 m IGM è chiaramente un errore), il rudere di un misero ricovero addossato ad un masso sul bordo dell'altipiano, e dei resti azzerati alle sue spalle, in quest'occasione in parte nascosti dalla neve.
Secondo il Midali (libro citato in apertura) in dialetto il nome dell'alpe è La Garutt, quindi non avrebbe nulla a che vedere con la presenza di un lago.
Da Ogaggia circa 3 ore, riducibili sensibilmente in assenza di neve.
Dopo una sosta, necessaria per smaltire la stanchezza, proseguiamo verso la dorsale di Cama, che raggiungiamo traversando poco più in alto del vecchio sentiero, la cui traccia è visibile da Lagorotto solo nel tratto più vicino all'alpe.
Scendiamo su terreno facile fino agli Alpi di Cama e, per percorso già noto (lo stesso dell'escursione precedente), a Gi Togn, alle Fraccie e quindi al ponte di cemento sul torrente Loranco noto localmente come Ponte delle Vacche (919 m), nei pressi di Antronapiana.
Tempi: 15' per la risalita da Lagorotto alla dorsale di Cama, 1:30 per la discesa
Dal ponte seguiamo lo sterrato sulla destra idrografica fino ad uscire sulla strada asfaltata a monte della centrale di Rovesca. Da qui non ci rimane che una noiosa camminata fino a Ruginenta, attraversando Locasca, Madonna e San Pietro.
Tempi: poco più di 1 ora dal Ponte delle Vacche a Ruginenta
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