Piz Martel 2450m: ravanaggio selvaggio in Val Cama
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Premessa
Durante la nostra passeggiata al Lago di Cama di dieci giorni fa, io e
Eio siamo stati folgorati dal Piz Martel che con il suo versante nord ancora abbondantemente innevato sembrava volerci chiamare a lui. Rientrati a casa dopo quella bella giornata era già chiaro che saremmo ritornati: avevamo un appuntamento!
Giorno 1
L'evoluzione meteo degli ultimi giorni, con forti temporali e piogge previste già nella giornata di giovedì, ci aveva quasi scoraggiati. Ci sembrava di rivivere il film dell'estate scorsa... Decidiamo di rimandare la decisione all'ultimo momento. Gli ultimi bollettini ci sorridono e noi pure: si parte!
Ci troviamo a Cama mercoledì sera dopo il lavoro. Io arrivo un po' in ritardo e iniziamo a camminare verso le 18.30. Abbiamo in programma di dormire in tenda in riva al lago e poi tentare la salita del Piz Martel per il suo versante nord.
Il percorso è lo stesso ma gli zaini un po' più carichi. Saliamo comunque di buon passo e in poco più di due ore siamo al lago. Il cielo dietro di noi nel frattempo si è annuvolato e in lontananza si sente qualche tuono. Affrettiamo il passo sul sentiero che costeggia il lago per raggiungere il luogo dove vogliamo bivaccare. Nel frattempo il temporale si avvicina e comincia a gocciolare. L'idea di montare la tenda in riva al lago, sotto due abeti isolati, non ci sembra più una buona idea e quindi proseguiamo oltre il lago per alcune centinaia di metri e, trovato un luogo che ci sembra più riparato, montiamo il nostro riparo appena prima che inizi a piovere. Sono quasi le 21.00 e siamo al riparo (e soprattutto asciutti). Sistemiamo i nostri zaini, cuciniamo un piatto di ravioli e ci infiliamo nel sacco a pelo. Ci addormentiamo mentre fuori ancora piove, fa abbastanza caldo e trascorriamo una notte tutto sommato tranquilla.
Giorno 2
La sveglia ci richiama bruscamente al motivo per cui siamo venuti qui! Apriamo la cerniera della tenda e veniamo salutati da un cielo azzurro. Una veloce colazione, prepariamo lo zaino e alle 6.30 ci dirigiamo verso le cime che sono già illuminate dal sole. Oggi non abbiamo con noi né una guida né una cartina. Le uniche informazioni di cui disponiamo sono le parole con cui Giuseppe Brenna descrive questa salita nella sua Guida alle Alpi mesolcinesi: "A causa dell'abbandono dell'antico sentiero, l'impervio tratto (con rocce, ruscelli e una fitta vegetazione) compreso fra i pascoli superiori dell'Alp di Lumegn e la cascina dell'Alp di Agnon è attualmente sconsigliato ai comuni escursionisti."
La nostra idea è semplice: individuare e percorrere la via di salita più diretta possibile sull'impervio versante nord fino all'evidente intaglio della Bocchetta di Agnon e poi proseguire per la cresta ovest fino alla cima.
Per farcela contiamo di sfruttare il più possibile i nevai che dieci giorni fa ricoprivano abbondantemente la montagna. Avvicinandoci ci rendiamo però subito conto che qualcosa è cambiato: nella parte bassa i nevai più ripidi hanno lasciato spazio a torrenti, cascate e rocce bagnate! La salita si rivelerà più interessante del previsto...
Risaliamo il primo di nevaio fino in cima per poi passare a una stretta lingua di neve che si incunea al centro della parete. Proseguiamo con un buon ritmo su pendenze moderate. La neve è portante ma non ha subito il rigelo notturno. I ramponi restano nello zaino e proseguiamo prestando sempre molta attenzione. A un certo punto la nostra via di salita si stringe tra due pareti rocciose e non ci fidiamo del ponte di neve sotto il quale scorre un impetuoso torrente. Deviamo allora verso sinistra su una cengia ricoperta da una specie di paglia, con un po' di vegetazione a basso fusto. Noi non lo sappiamo ancora, ma qui inizia la prima "ravanata" della giornata: facili placche rocciose si alternano a passaggi umidi e scivolosi su terriccio morbido. Dobbiamo dar sfoggio a tutta la nostra calma e inventarci usi "creativi" della piccozza per superare le prime balze. Poi il percorso diventa essenzialmente roccioso e ci porta in una conca nella quale si riversano numerose cascatelle. Riusciamo a guadare i ruscelli e ci portiamo a destra. Dalla nostra posizione scorgiamo degli evidenti segni di sentiero che sembrano recenti e una traccia che taglia il pendio verso destra. Potrà eventualmente essere utile per la discesa, ma non abbandoniamo i piani originali. Attraversiamo ulteriormente verso destra e ci immettiamo su un altro nevaio. Siamo circa a metà strada e la consistenza della neve è molto variabile. Cominciamo a sprofondare, ci sforziamo di trovare i punti dove la neve è più portante e di evitare i ponti sopra i ruscelli.
Eio è un grande: sempre davanti, sempre a batter traccia! D'altronde lui è giovane, è in forma e si deve allenare per progetti ambiziosi. E io lo lascio fare! :-)
Risaliamo la lingua di neve fino in cima e poi attraversiamo nuovamente a sinistra e raggiungiamo il nevaio finale: una lunga, ampia distesa di neve che ci permetterà di salire dritti fino ad imboccare il ripido canale sotto la bocchetta. Sembra fatta!
Iniziamo a salire, si sprofonda un po’ nella neve ma con ritmo regolare ci portiamo sempre più vicini all’imbocco del canale. Ci sono tracce di caduta sassi e teniamo gli occhi bene aperti. Qualche minuto più tardi, infatti, un sasso di media grandezza inizia a rotolare verso di noi. Per fortuna non prende molta velocità: controlliamo la sua traiettoria e lo osserviamo scivolarci accanto, sollevati. Entrati nella parte finale del canale le pendenza aumenta (ca. 40°) ma ci aspettiamo di trovare una neve più dura. Al contrario iniziamo a sprofondare sempre di più. Ogni passo è una faticaccia: quando va bene la neve ci arriva al ginocchio e più di una volta sprofondiamo fino all’inguine. Siamo alla seconda “ravanata” della giornata! I 10 minuti che secondo le nostre stime ci separavano dalla bocchetta si sono rivelati infine una buona mezz’ora!
L’uscita dal canale è un sollievo, una liberazione. Dopo quasi 3 ore di salita vediamo finalmente la luce del sole e con lei la croce di vetta che sembra veramente vicina. Dopo un quarto d’ora di pausa riprendiamo il nostro cammino, questa volta sul soleggiato versante sud. Seguiamo tracce di sentiero restando qualche metro sotto la cresta. Attraversiamo un primo nevaio e aggiriamo i seguenti muovendoci su cenette e sfasciumi. Ormai e fatta davvero! Dalla bocchetta di Agnon in 35 minuti siamo in vetta.
La discesa
Dopo una breve pausa e qualche foto di vetta, alle 10.30 ritorniamo sui nostri passi e scendiamo alla Bocchetta di Agnon. Per la discesa al lago ci serve un percorso diverso: troppo rischioso utilizzare la via di salita, soprattutto per i numerosi ponti di neve su cui non possiamo più fare grande affidamento. Decidiamo allora di ridiscendere il canale sotto la bocchetta e poi attraversare il grande nevaio superiore fino alla cascina Alpe di Agnon, ben visibile dalla nostra posizione. Lì possiamo imboccare il sentiero che risale la conca dell’Alpe di Agnon e poi ridiscende al lago passando per l’Alpe di Vazzola, oppure cercare le tracce del vecchio sentiero che abbiamo visto in salita che ci porterebbe più velocemente alla nostra tenda.
La parte alta del canale si rivela un calvario anche in discesa, ma più in basso la neve è portante e scendiamo veloci. Alla cascina incontriamo un ragazzo della zona e chiediamo ragguagli. Ci racconta che il vecchio sentiero è stato marcato circa un anno fa. Ci mostra dove scendere e ci avvisa che la traccia non è sempre evidente ed è facile perderla. Infatti è quello che facciamo subito dando inizio a quella che sarà “la madre di tutte le ravanate”!
Scendiamo prima per una china erbosa, poi per un nevaio e in breve del sentiero non c’è più traccia (o forse non l’abbiamo seguito sin dall’inizio). In men che non si dica ci troviamo impantanati su terreni infidi, a tratti abbastanza ripidi. Cerchiamo a naso di districarci nella vegetazione, cercando un modo per uscire da questa situazione e individuare il sentiero. Diverse volte dobbiamo risalire per cercare una via diversa.
A un certo punto ci troviamo un uno spiazzo erboso dal quale riesco a scorgere, una trentina di metri sotto di noi, una larga cengia sulla quale riconosco un paio di segni bianco-rosso-bianco: gli stessi visti durante la salita. Purtroppo il luogo in cui ci troviamo è circondato a destra da un nevaio (sotto il quale si trova forse una cascata), sotto da una boscaglia (che potrebbe nascondere un salto roccioso) e a sinistra da un fitto sottobosco di conifere (dall’aspetto impenetrabile). Valutiamo le diverse possibilità e per esclusione ci addentriamo nella vegetazione alla nostra sinistra. Scendiamo in traverso per una decina di metri tra gli arbusti che si fanno sempre più fitti. Sembra un film di Indiana Jones! Ci vorrebbe un machete… Ci aggrappiamo letteralmente ai rami e sfondiamo le fronde con il corpo. Con molta perseveranza, un po’ di fortuna e qualche scivolone raggiungiamo finalmente la cengia. Dobbiamo ancora guadare un torrente prima di ritrovare il sentiero.
Il vecchio sentiero esiste e come ci era stato detto è stato marcato recentemente con la consueta segnaletica bianco-rosso-bianco. Si tratta però di un percorso tortuoso, non sempre logico, e in alcuni punti decisamente difficile, specialmente in discesa. A noi ha comunque reso un gran servizio: ci ha portati giù fino agli ultimi nevai, dove ci lasciamo scivolare velocemente a valle. Sono le 12.30: sei ore dopo la partenza siamo di ritorno alla nostra tenda e il primo pensiero va alle birre che avevamo saggiamente messo in fresco in una pozza di un ruscello. Peccato che il ruscello abbia cambiato il suo corso durante la mattinata facendoci trovare le birre “in secca” e decisamente calde. Poco male, prendiamo con noi birre, pane e companatico e ci godiamo il meritato riposo con i piedi a mollo nelle fresche acque del lago.
Alla fine restano “solo” le formalità: smontare la tenda, caricare gli zaini e sciropparci i quasi 1000 metri di discesa fino a Cama. Un ultimo sforzo per una gita di grande soddisfazione! Nel frattempo abbiamo visto qualche altra bella cima in zona… ;-)
Tempi di percorrenza:
Lago di Cama - Piz Martel: 3h 45' (incluse pause)
Piz Martel - Lago di Cama: 2h (incluse pause e ravanate)
Durante la nostra passeggiata al Lago di Cama di dieci giorni fa, io e

Giorno 1
L'evoluzione meteo degli ultimi giorni, con forti temporali e piogge previste già nella giornata di giovedì, ci aveva quasi scoraggiati. Ci sembrava di rivivere il film dell'estate scorsa... Decidiamo di rimandare la decisione all'ultimo momento. Gli ultimi bollettini ci sorridono e noi pure: si parte!
Ci troviamo a Cama mercoledì sera dopo il lavoro. Io arrivo un po' in ritardo e iniziamo a camminare verso le 18.30. Abbiamo in programma di dormire in tenda in riva al lago e poi tentare la salita del Piz Martel per il suo versante nord.
Il percorso è lo stesso ma gli zaini un po' più carichi. Saliamo comunque di buon passo e in poco più di due ore siamo al lago. Il cielo dietro di noi nel frattempo si è annuvolato e in lontananza si sente qualche tuono. Affrettiamo il passo sul sentiero che costeggia il lago per raggiungere il luogo dove vogliamo bivaccare. Nel frattempo il temporale si avvicina e comincia a gocciolare. L'idea di montare la tenda in riva al lago, sotto due abeti isolati, non ci sembra più una buona idea e quindi proseguiamo oltre il lago per alcune centinaia di metri e, trovato un luogo che ci sembra più riparato, montiamo il nostro riparo appena prima che inizi a piovere. Sono quasi le 21.00 e siamo al riparo (e soprattutto asciutti). Sistemiamo i nostri zaini, cuciniamo un piatto di ravioli e ci infiliamo nel sacco a pelo. Ci addormentiamo mentre fuori ancora piove, fa abbastanza caldo e trascorriamo una notte tutto sommato tranquilla.
Giorno 2
La sveglia ci richiama bruscamente al motivo per cui siamo venuti qui! Apriamo la cerniera della tenda e veniamo salutati da un cielo azzurro. Una veloce colazione, prepariamo lo zaino e alle 6.30 ci dirigiamo verso le cime che sono già illuminate dal sole. Oggi non abbiamo con noi né una guida né una cartina. Le uniche informazioni di cui disponiamo sono le parole con cui Giuseppe Brenna descrive questa salita nella sua Guida alle Alpi mesolcinesi: "A causa dell'abbandono dell'antico sentiero, l'impervio tratto (con rocce, ruscelli e una fitta vegetazione) compreso fra i pascoli superiori dell'Alp di Lumegn e la cascina dell'Alp di Agnon è attualmente sconsigliato ai comuni escursionisti."
La nostra idea è semplice: individuare e percorrere la via di salita più diretta possibile sull'impervio versante nord fino all'evidente intaglio della Bocchetta di Agnon e poi proseguire per la cresta ovest fino alla cima.
Per farcela contiamo di sfruttare il più possibile i nevai che dieci giorni fa ricoprivano abbondantemente la montagna. Avvicinandoci ci rendiamo però subito conto che qualcosa è cambiato: nella parte bassa i nevai più ripidi hanno lasciato spazio a torrenti, cascate e rocce bagnate! La salita si rivelerà più interessante del previsto...
Risaliamo il primo di nevaio fino in cima per poi passare a una stretta lingua di neve che si incunea al centro della parete. Proseguiamo con un buon ritmo su pendenze moderate. La neve è portante ma non ha subito il rigelo notturno. I ramponi restano nello zaino e proseguiamo prestando sempre molta attenzione. A un certo punto la nostra via di salita si stringe tra due pareti rocciose e non ci fidiamo del ponte di neve sotto il quale scorre un impetuoso torrente. Deviamo allora verso sinistra su una cengia ricoperta da una specie di paglia, con un po' di vegetazione a basso fusto. Noi non lo sappiamo ancora, ma qui inizia la prima "ravanata" della giornata: facili placche rocciose si alternano a passaggi umidi e scivolosi su terriccio morbido. Dobbiamo dar sfoggio a tutta la nostra calma e inventarci usi "creativi" della piccozza per superare le prime balze. Poi il percorso diventa essenzialmente roccioso e ci porta in una conca nella quale si riversano numerose cascatelle. Riusciamo a guadare i ruscelli e ci portiamo a destra. Dalla nostra posizione scorgiamo degli evidenti segni di sentiero che sembrano recenti e una traccia che taglia il pendio verso destra. Potrà eventualmente essere utile per la discesa, ma non abbandoniamo i piani originali. Attraversiamo ulteriormente verso destra e ci immettiamo su un altro nevaio. Siamo circa a metà strada e la consistenza della neve è molto variabile. Cominciamo a sprofondare, ci sforziamo di trovare i punti dove la neve è più portante e di evitare i ponti sopra i ruscelli.

Risaliamo la lingua di neve fino in cima e poi attraversiamo nuovamente a sinistra e raggiungiamo il nevaio finale: una lunga, ampia distesa di neve che ci permetterà di salire dritti fino ad imboccare il ripido canale sotto la bocchetta. Sembra fatta!
Iniziamo a salire, si sprofonda un po’ nella neve ma con ritmo regolare ci portiamo sempre più vicini all’imbocco del canale. Ci sono tracce di caduta sassi e teniamo gli occhi bene aperti. Qualche minuto più tardi, infatti, un sasso di media grandezza inizia a rotolare verso di noi. Per fortuna non prende molta velocità: controlliamo la sua traiettoria e lo osserviamo scivolarci accanto, sollevati. Entrati nella parte finale del canale le pendenza aumenta (ca. 40°) ma ci aspettiamo di trovare una neve più dura. Al contrario iniziamo a sprofondare sempre di più. Ogni passo è una faticaccia: quando va bene la neve ci arriva al ginocchio e più di una volta sprofondiamo fino all’inguine. Siamo alla seconda “ravanata” della giornata! I 10 minuti che secondo le nostre stime ci separavano dalla bocchetta si sono rivelati infine una buona mezz’ora!
L’uscita dal canale è un sollievo, una liberazione. Dopo quasi 3 ore di salita vediamo finalmente la luce del sole e con lei la croce di vetta che sembra veramente vicina. Dopo un quarto d’ora di pausa riprendiamo il nostro cammino, questa volta sul soleggiato versante sud. Seguiamo tracce di sentiero restando qualche metro sotto la cresta. Attraversiamo un primo nevaio e aggiriamo i seguenti muovendoci su cenette e sfasciumi. Ormai e fatta davvero! Dalla bocchetta di Agnon in 35 minuti siamo in vetta.
La discesa
Dopo una breve pausa e qualche foto di vetta, alle 10.30 ritorniamo sui nostri passi e scendiamo alla Bocchetta di Agnon. Per la discesa al lago ci serve un percorso diverso: troppo rischioso utilizzare la via di salita, soprattutto per i numerosi ponti di neve su cui non possiamo più fare grande affidamento. Decidiamo allora di ridiscendere il canale sotto la bocchetta e poi attraversare il grande nevaio superiore fino alla cascina Alpe di Agnon, ben visibile dalla nostra posizione. Lì possiamo imboccare il sentiero che risale la conca dell’Alpe di Agnon e poi ridiscende al lago passando per l’Alpe di Vazzola, oppure cercare le tracce del vecchio sentiero che abbiamo visto in salita che ci porterebbe più velocemente alla nostra tenda.
La parte alta del canale si rivela un calvario anche in discesa, ma più in basso la neve è portante e scendiamo veloci. Alla cascina incontriamo un ragazzo della zona e chiediamo ragguagli. Ci racconta che il vecchio sentiero è stato marcato circa un anno fa. Ci mostra dove scendere e ci avvisa che la traccia non è sempre evidente ed è facile perderla. Infatti è quello che facciamo subito dando inizio a quella che sarà “la madre di tutte le ravanate”!
Scendiamo prima per una china erbosa, poi per un nevaio e in breve del sentiero non c’è più traccia (o forse non l’abbiamo seguito sin dall’inizio). In men che non si dica ci troviamo impantanati su terreni infidi, a tratti abbastanza ripidi. Cerchiamo a naso di districarci nella vegetazione, cercando un modo per uscire da questa situazione e individuare il sentiero. Diverse volte dobbiamo risalire per cercare una via diversa.
A un certo punto ci troviamo un uno spiazzo erboso dal quale riesco a scorgere, una trentina di metri sotto di noi, una larga cengia sulla quale riconosco un paio di segni bianco-rosso-bianco: gli stessi visti durante la salita. Purtroppo il luogo in cui ci troviamo è circondato a destra da un nevaio (sotto il quale si trova forse una cascata), sotto da una boscaglia (che potrebbe nascondere un salto roccioso) e a sinistra da un fitto sottobosco di conifere (dall’aspetto impenetrabile). Valutiamo le diverse possibilità e per esclusione ci addentriamo nella vegetazione alla nostra sinistra. Scendiamo in traverso per una decina di metri tra gli arbusti che si fanno sempre più fitti. Sembra un film di Indiana Jones! Ci vorrebbe un machete… Ci aggrappiamo letteralmente ai rami e sfondiamo le fronde con il corpo. Con molta perseveranza, un po’ di fortuna e qualche scivolone raggiungiamo finalmente la cengia. Dobbiamo ancora guadare un torrente prima di ritrovare il sentiero.
Il vecchio sentiero esiste e come ci era stato detto è stato marcato recentemente con la consueta segnaletica bianco-rosso-bianco. Si tratta però di un percorso tortuoso, non sempre logico, e in alcuni punti decisamente difficile, specialmente in discesa. A noi ha comunque reso un gran servizio: ci ha portati giù fino agli ultimi nevai, dove ci lasciamo scivolare velocemente a valle. Sono le 12.30: sei ore dopo la partenza siamo di ritorno alla nostra tenda e il primo pensiero va alle birre che avevamo saggiamente messo in fresco in una pozza di un ruscello. Peccato che il ruscello abbia cambiato il suo corso durante la mattinata facendoci trovare le birre “in secca” e decisamente calde. Poco male, prendiamo con noi birre, pane e companatico e ci godiamo il meritato riposo con i piedi a mollo nelle fresche acque del lago.
Alla fine restano “solo” le formalità: smontare la tenda, caricare gli zaini e sciropparci i quasi 1000 metri di discesa fino a Cama. Un ultimo sforzo per una gita di grande soddisfazione! Nel frattempo abbiamo visto qualche altra bella cima in zona… ;-)
Tempi di percorrenza:
Lago di Cama - Piz Martel: 3h 45' (incluse pause)
Piz Martel - Lago di Cama: 2h (incluse pause e ravanate)
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