Straffelgrat (2633 m) - SKT
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In ambito montano, la “toccata e fuga” non è il mio genere. Preferisco avere a disposizione il “giusto” tempo necessario ad una sana esplorazione. Per questa volta sono però costretto a venir meno ai miei principi, perché altri impegni chiamano. Del resto, come dice il buon veget, “piuttosto che niente è meglio piuttosto”, no? E allora che sia “piuttosto”. Inoltre allo Straffelgrat (sulle nuove carte indicato come Straffulgrat) non ci sono mai salito, forse perché troppo rapido da raggiungere o forse perché offuscato dalle altre belle montagne della zona. Quale migliore occasione, dunque?
La descrizione sarà stringata, come la salita. Dal Passo del Sempione scendo come da disegno fino a Blatte dove, dopo aver attraversato il ruscello, comincio la salita. Per guadagnare la migliore linea di traverso devo affrontare un pendio di tipo PD / PD +. Raggiunta la probabile migliore linea la seguo e, superando due valanghe, mi immetto nella gola di Bistine. Da qui salgo in direzione della cima ESE dello Straffulgrat, in pieno S. Raggiunta questa prima cima (2543 m) seguo tutta la cresta (Grat) superando alcuni altri piccoli panettoncini e mi porto sul punto culminante della montagna, quotato 2633.
Spello e dopo essere disceso, attraverso la cresta e la Cima ESE, fino a circa 2400 m, piego verso N per raggiungere il vallone di Weng, dove le mille formichine stanno effettuando, chi la salita, chi la discesa dallo Spitzhorli.
Supero alcuni valloncelli su pendii abbastanza sostenuti e presso l’ultimo, davanti alle mille formichine, succede l’imponderabile. Mentre scendo un pendio non certo ripidissimo (ma nemmeno piatto), il pendio comincia a muoversi e viene giù con me.
Cerco di nuotare per restare a galla, ma il fronte è largo; così, dopo un imprecisato (ma breve) lasso di tempo, sono sotto. L’unica speranza è che il movimento finisca presto e che non ci siano rocce contro cui collidere.
La valanga si ferma e io non vedo niente: sono sepolto. Capisco che devo togliere gli occhiali. Lo faccio ma sono dentro comunque. Con le braccia “sgarlo” (mi si conceda il dialetto, non mi viene termine migliore) e libero un piccolo spazio per respirare. Continuo a spostare neve e presto libero la testa dalla massa nevosa.
Sono intero, non ho subito urti, ma devo liberarmi dalla trappola bianca. Le gambe e gli sci non riescono ad uscire da soli, per il peso della massa soprastante.
Scavo e così estraggo prima un bastone, poi raggiungo l’attacco del primo sci; lo sgancio e con forza tiro lo sci verso l’alto: lo sci esce. Scavo ancora: l’altro sci è più sepolto e problematico da liberare. Ma alla fine esce anche lui. Le formichine a distanza si sbracciano per sapere se è tutto ok. Le tranquillizzo da lontano e continuo a scavare per cercare il secondo bastone. Nonostante i ripetuti tentativi, il bastone non appare.
Decido allora che raggiungerò il Passo del Sempione con un bastone solo. Mi sposto sotto il traverso del Tochuhorn e da lì, con difficoltà (con un bastone solo non è come con due; poi, con questa neve cartonata che cede ad ogni curva...), scendo fino a Bielti, evitando il secondo traverso di giornata.
A Bielti metto gli sci sullo zaino e percorro, sulla stradina innevata, quei 100 m di dislivello in salita che mi separano dal Passo del Sempione. Come detto a quei cinque vallesani francofoni incontrati a Bielti e poi re-incontrati a fianco delle rispettive auto “j’ai eu de la chanche”. La fortuna ha voluto che un fronte abbastanza largo ma poco profondo (uno strato superficiale di crosta a bassa coesione scivolato sopra la neve sottostante) non mi seppellisse così tanto da non poter essere qui a narrare l’accaduto. Il pericolo 2 (moderato) stavolta si è dimostrato più insidioso del previsto.
Comunque, certe cose non capita a tutti di poterle raccontare. Qualcuno lassù mi vuole bene.
Auguro a tutti un Buon Natale ed un felice (e sicuro) 2015.

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