Plattenberg (3041 m) - Garenstock (2953 m) - Vernokhörner (3043 m)
|
||||||||||||||||||||||||||||
![]() |
![]() |
Quando ero salito al Torrone di Garzora mi era rimasta la curiosità per le due cime vicine, Vernokhörner e Plattenberg. La recente salita al Cassinello, dalla parte opposta rispetto al Torrone, me le ha rimesse davanti agli occhi. E così, date le mie migliorate – anche se non ottimali – condizioni, ho provato a tentarne la salita, con in mente sempre le parole di Ely Riva, che, nel suo libro sui 3000 ticinesi, va giù molto pesante su questo terzetto. Ecco un piccolo campionario di “complimenti”:
- - Dalla cima dei Vernokhörner, la più alta di questa serie di punte, si ha una vista verso occidente che lascia un senso di frustrazione. Salire fin lassù per vedere che cosa? Se non ci fosse il bacino azzurro del Lago del Luzzone, giù in basso, lo sguardo si perderebbe lontano in un vuoto infinito.
- - … Appare un deserto di sassi e macigni con qualche torretta che sembra lì lì per cadere a valle e si ha quasi l’impressione di rimanere prigionieri come nella “Fortezza Bastiani” (la fortezza de “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati)
- - Per la prima volta ho avuto fretta di lasciare una cima.
- - Ho sempre pensato alle montagne come un luogo di libertà, un luogo dove la sete di infinito può essere appagata, ed invece ecco che mi sono sentito solo, stritolato, schiacciato tra i sassi, prigioniero.
- - Qui soffia spesso un’aria fredda e umida che deposita uno strato di ghiaccio sui sassi. Persino in piena estate si sente l’arrivo imminente dell’inverno.
Ovvio che davanti a questa serie di impressioni negative valesse almeno la pena di andarle a confermare o a confutare. A me questo gruppo di cime non è sembrato così deleterio: certo, c’è da dire che l’ultima affermazione di Riva è vera. Quando sono arrivato alla sella a SE del Torno (P.2450) la temperatura era sotto zero e lo strato di ghiaccio sui sassi c’era veramente, nonostante fosse il 17 agosto. Questo pianoro grigio e freddo mi è sembrato “il Pianoro della Desolazione”. Certo, poi nel pomeriggio, con il sole che lo illuminava, anche il pianoro della desolazione ha assunto una nuova luce e un certo fascino. Ma poi, per il resto, queste montagne a me sono apparse belle nella loro selvaggia solitudine. In particolare i loro versanti grigionesi sono affascinanti, con una geologia – per me che non sono geologo – davvero particolare e meritevole di essere ammirata. Il versante ticinese, trattandosi di un versante W, per poter essere gustato appieno, andrebbe forse guardato con la luce del tardo pomeriggio o con quella della sera. Ma tant’è, magari prima o poi verrà anche questa occasione…
Veniamo alla descrizione del percorso. Da Larecc salgo sul sentiero della Val Scaradra e giunto all’Alpe Scaradra di Sotto prendo il sentiero che si innalza verso la Crestüscia. Non è un sentiero ufficiale e si fa fatica a vedere il punto di partenza, ma basta salire in linea retta per poche decine di metri lineari per incrociarlo. Il sentiero è ottimamente segnalato con bolli o strisce gialle (ma non è un T1…, è più vicino al T4 che al T3). Ad un certo punto valica il Ri di Torno, poi un secondo ruscello e si sposta verso NW. Dopo ampi giri che si allontanano sempre più dalla cresta Torrone di Garzora – Plattenberg (c’è un momento in cui si vede addirittura la Capanna Michela) perviene al laghetto di quota 2186 a WSW del Torno. Da qui in avanti i segni gialli si diradano sempre più fino a sparire, ma seguendo le sempre presenti tracce di animali (meglio non stare troppo alti, vista l’esperienza della discesa) si raggiunge senza problemi - e sempre su “sentiero” – la quota 2450, cioè il pianoro della desolazione di cui sopra. Da qui l’erba sparisce e si procede sempre su pietre, blocchi, ganne, rocce e terreno franoso, fino al momento di ritornare in questo punto.
Salgo quindi sulla ganna in direzione SSE, puntando cioè alla cima del Plattenberg. Dato che sono presenti dei nevai, e nella loro parte superiore impennano (ho naturalmente con me l’attrezzatura alpinistica, ma se posso evitare, evito), ne percorro la parte più blanda e poi scelgo la variante “b)” del Brenna, cioè punto “alla rocciosa cresta WNW del Plattenberg, dopo averla raggiunta a monte di alcuni spuntoni”. C’è solo un passo di arrampicata su un pietrone ghiacciato che mi mette un po’ di apprensione. Poi, raggiunta la cresta, la seguo fino in cima senza particolari problemi. Dalla vetta del Plattenberg posso notare il più docile (e soleggiato) versante grigionese, buona alternativa per la cima per chi avesse voglia di intraprendere questo percorso.
Il mio progetto è ora di raggiungere i Vernokhörner evitando la via diretta, quotata AD+ dal Brenna. Lo stesso Brenna aggiunge: “per chi vuole portarsi dal Plattenberg ai Vernokhörner evitando le difficoltà della cresta SSW: ci si abbassa nel versante E per 150 m circa per aggirare il contrafforte ENE della cima 3043”.
Però, vedendo a poca distanza da me il Garenstock, decido di “prenderla larga” e andare a toccare anche questa cima (totalmente in territorio grigionese). Scendo allora sul versante SE del Plattenberg e su docili pendii mi avvicino a questa nuova meta che tocco dopo una breve risalita. Bella visuale su Cassinello e vicini.
Ora, un po’ perché approfitto oltre il dovuto di gradevoli nevai, un po’ perché poi trovo una larga fascia rocciosa sulla sinistra che mi impedisce una via più diretta, fatto sta che i 150 metri di dislivello del Brenna diventano 300, visto che arrivo, puntando verso NNE, al pianoro alluvionale (segnato come laghetto sulla CNS) di quota 2740. I Vernokhörner quotano 3043.
Salgo poi in direzione WNW sulla pietraia che adduce al primo dei Vernokhörner. Il terreno è franoso e si deve prestare attenzione anche ai blocchi più grandi, affinché non si muovano. C’è un piccolo nevaio da superare prima dell’erta finale e, passata anche questa, arrivo sul primo Corno (a beneficio di chi non lo sapesse “Hörner” è il plurale di “Horn”, “corno”: ovvio quindi che ce ne sia più di uno; secondo il Brenna “la vetta principale è duplice”; io affermo invece che sia triplice, come dirà il prosieguo del racconto, e anche qualche foto).
Sempre il Brenna afferma che per passare dall’una all’altra vetta, distante pochi metri, “si supera un muretto (II) e una crestina con una selletta”. Per dirla tutta, questo tratto è in discesa e l’esposizione è alta, in particolare verso il Ticino (placca levigata come una lapide, e molto inclinata), ma anche verso l’altro versante non si scherza. Io non me la sono sentita di passarla in discesa. Ho quindi disceso il primo Corno di una ventina di metri, individuando un passaggio su blocchi instabili per immettermi nel canale che porta al secondo Corno. Terreno franosissimo, ma ormai ci sono…
Il secondo Corno è il più alto, seppure solo di uno-due metri. Per raggiungere il terzo basta scendere in direzione “Plattenberg-Ticino” e dopo alcuni metri si raggiunge anche il terzo.
Ritornato sul secondo, oltrepasso la cima e mi porto davanti al passaggio di II° che lo divide dal primo. Visto da qui, e cioè in salita, non è più così repellente. Appoggiandomi alla “lapide ticinese” con le braccia e ricercando l’appoggio grigionese per i piedi, arrivo al vero e proprio passaggio di arrampicata che si fa senza problemi (appoggi e appigli non mancano). Così rieccomi sul primo dei Vernokhörner, dove finalmente faccio pausa e controllo la via futura.
Si tratta ora di raggiungere la sella 2920 tra il Torrone di Garzora e i Vernokhörner. Scendo dalla cupola sommitale, passo il nevaio e inizio un lungo traverso sulla pietraia cercando di rimanere attorno alla quota della bocchetta. La raggiungo “dalla sua parte Sud” (più a S di dove l’avevo toccata scendendo dal Torrone di Garzora) e comincio la lunga discesa sull’immensa pietraia che da quota 2920 arriva fino a 2450, approfittando solo di due brevi nevai.
Dal pianoro a SE del Torno, in modo diverso dal mattino - evito i particolari perché la relazione è già ora una relazione-fiume - raggiungo gli stagni (il “Laghetto”) di q. 2186.
Qui, sicuro di non sbagliare per esserci già passato al mattino, invece sbaglio, e prendo una traccia di animali che va verso Fanee. Raggiungo prima l’Alpe di Garzora alta (2025 m) e poi l’idilliaco pianoro di Garzora (1882 m). Da qui seguo il sentiero conosciuto che mi riporta a Garzott e da lì, in pochi minuti, all’auto.
Come detto, Plattenberg e Vernokhörner sono montagne solitarie e pietrose. A me piacciono, anche esteticamente. E qui la grande tautologia: per me, l’impegno messo per salirci vale la salita!
Tempi:
Larecc – Plattenberg: 4 ore
Plattenberg – Garenstock – Vernokhörner : 2 ore
Vernokhörner – P.2920 – Garzora – Larecc: 3 ore e 30‘

Kommentare (22)