Corni di Nibbio, ultima frontiera: Torrione di Bettola (1578 m)
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In varie tranches, il 2013 è stato per me l’anno dei Corni di Nibbio. Mancava solo una cima, la più arcana, la più austera, nonché quella con la reputazione “più tormentata”. Al pari di altre occasioni in passato, come San Tommaso ho voluto andare a toccare con mano (nel vero senso della parola…), oltre che con piede…
Se avessi incontrato ostacoli insormontabili, sarei tornato alla base senza patemi: già la Bocchetta di Lavattel era un obiettivo rilevante. Evidentemente, nonostante le oggettive difficoltà, la via normale (se così si può chiamare) non respinge, anche se, serenamente mi sento di sconsigliare una salita in una stagione, come la presente, così attardata. Il lato valgrandino non riceve già ora un solo raggio di sole, ed affrontare quei passaggi in mezzo all’umido non è certamente la condizione migliore: penso che il periodo di maggio-giugno sia molto più adatto, anche perché l’inerbamento sarà probabilmente di minore entità.
Comunque, via, è andata: una cima che sembrava un miraggio è ora ascesa: i Corni di Nibbio appaiono ora più familiari, anche se il sogno di una traversata integrale rimarrà probabilmente tale, data la mia ben nota idiosincrasia a caricarmi pesi eccessivi sulle spalle (tende, attrezzature per un pernottamento in cresta, etc etc).
L’aspetto senz’altro più positivo rispetto alla salita al Lesìno del giugno scorso (tutto il primo tratto in comune, fino al bivio per Sautì) è la scomparsa delle zecche: allora più di cento si erano depositate sui miei arti inferiori (pantaloni, scarponi, ma anche gambe); ora non se n’è vista nemmeno una!
Per venire alla descrizione del tracciato, nessuna novità fino al bivio tra l’Alpe Sautì e la Bocchetta di Lavattel rispetto a quanto riferito in occasione della salita al Pizzo delle Tre Croci. Poco prima del Funtanin, in località Asaa, piego a destra seguendo la traccia che porta alla Bocchetta di Lavattel (“Lavattel è un toponimo mutuato dall’attività dei tagliaboschi quando, parecchi decenni fa, l’impresa Lavatelli operava in Val Grande utilizzando una teleferica che passava da questa bocchetta” - Teresio Valsesia, Val Grande ultimo paradiso).
Fin da subito la traccia è debole (infatti resto più alto per un tratto, ma vista l’impossibilità di proseguire, giocoforza ritrovo la traccia e la seguo con certosina meticolosità).
Ben presto raggiungo la zona della frana: uno spicchio di parete Sud-Ovest del Pizzo delle Tre Croci è precipitato sul sentiero la scorsa primavera. La cosa non impedisce però uno scavalcamento della zona, pur senza ricorrere a particolari abilità alpinistiche (meglio però rimanere sulla sinistra - in salita - piuttosto che cercare la parete a destra, che presenta dei passaggi parecchio esposti). La zona è sì franosa, ma non più di tante altre similari. La porzione sottostante ricorda un imbuto, ma restando alti, come detto, si passa agevolmente.
Mi infilo nel canalino finale, sovrastato da un intaglio. Segue un’ elementare cengia, subito dopo la quale raggiungo il confine tra Ossola e Valgrande: dopo alcuni passi in discesa, eccomi alla Bocchetta di Lavattel. I segni dell’attività dei tagliaboschi, ormai sepolti nell’oblio – loro - sono ancora ben presenti, sia a livello di pietra che a quello di ferro.
Mi dirigo in discesa verso il versante valgrandino: l’obiettivo è non abbassarsi troppo, ma ben presto mi ritrovo a combattere con un versante non raggiunto dal sole e per questo motivo estremamente umido e scivoloso. La via più logica è ben presto perduta e devo dunque effettuare dei saliscendi parecchio selvaggi aiutandomi spesso con le mani e con prese non propriamente sicure (zolle erbacee e vegetazione di basso fusto, ontanelli, rododendri et similia…).
La bocchetta “chiave” è sempre più lontana (verso l’alto, visto che mi sono abbassato per ben oltre 100 metri), per cui mi infilo in un canalino umido (come tutto il resto del paesaggio circostante) e lo salgo restandone ai margini (prima a destra, poi a sinistra e poi di nuovo a destra). Questo è il vero tratto T6 (più o meno tutto il versante valgrandino del Torrione, in particolare nelle condizioni in cui l’ho trovato oggi). All’uscita del canale la progressione si fa meno impegnativa, ancorché sempre wild. Una labile traccia in diagonale mi conduce alla bocchetta compresa tra la cima 1520 ed il Torrione di Bettola.
Qui finalmente piego a destra e, aggirato uno scoglio sempre sul lato della Valgrande, raggiungo la zona baciata dal sole. Dopo un breve tratto privo di difficoltà mi ritrovo davanti alle roccette che adducono alla zona sommitale. Forse si passa anche a sinistra, ma per non saper né leggere né scrivere mi dirigo verso le placche centrali (tre passi – tre - di II°), oltrepassate le quali non rimane che uno scampolo di cresta e la zona ormai docile di vetta.
In breve raggiungo l’ometto di vetta e completo così la catena dei Corni di Nibbio (esclusi i due dentini senza nome alle mie spalle, giusto per la precisione) con “l’Innominata” (come la chiamano ad Ornavasso), cioè l’agognato Torrione di Bettola. Corde non ne sono servite, le frane non sono emerse insuperabili, e “la guglia massiccia e imponente” (Valsesia) è raggiunta.
Fermata breve, birra di vetta e ripartenza. Dopo aver disarrampicato la placca e raggiunto la predetta bocchetta, punto al crestone roccioso situato a metà versante valgrandino (un piccolo larice tra le rocce costituisce un ottimo punto di riferimento). Riesco a trovare un passaggio più alto e più diretto, evitando il canalino viscido (anche se di passaggi viscidi devo comunque affrontarne lo stesso, ma meno esposti). Risalgo, sempre con l’ausilio di mani, rododendri ed erba, e ben presto intravvedo i muraglioni sottostanti alla Bocchetta di Lavattel. Breve pausa ulteriore e ritorno per la stessa via dell’andata fino a Bettola (l’omonimo Vallone è davvero interminabile…).
Il Torrione di Bettola non ha nulla da invidiare a molti celebrati tremila: del resto restare abbagliati unicamente dalle fole del numerino iniziale, a mio modesto avviso, non ha senso. Però, cent co, cent crap…
Tempi:
Bettola – Torrione di Bettola: 5 ore
Torrione di Bettola – Bettola: 4 ore

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