Claro que sì - Duathlon da Grono
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Salire al Pizzo di Claro, se frequenti Hikr, è quasi d'obbligo.
Sembra esserci una ricorrente corrispondenza d'amorosi sensi tra gli hikriani e il Visagno: le relazioni fioccano, gli itinerari si moltiplicano, i commenti si sovrappongono e si rincorrono, le foto invogliano e, in definitiva, i complimenti, sia che la guardi da lontano, sia che ci cammini sopra, questa bella montagna se li merita.
Dopo averla ammirata centinaia di volte, (per anni senza conoscerne il nome!), dall'autostrada dello scialpinismo, è ora di salirla. Ci giro attorno, sulla carta, per un po', poi, all'ultimo, decido per quella che è descritta come la via più semplice, dall'Alpe di Stabveder.
Volendo, però, prenderla un po' dal basso, decido di metterci la bici; così, una volta tornato, le ginocchia mi pagano l'aperitivo.
I soci hanno ormai optato definitivamente per il ramino e la canasta, per cui, una settimana dopo il Pizzo di Rabbi www.hikr.org/tour/post70453.html, mi ritrovo ancora solo.
Il primo effetto è che, in assenza di un appuntamento preciso, ci lascio un'ora sotto le coperte, complice anche la cena della sera precedente, definirla frugale sarebbe improprio, che, almeno lei, mi farà compagnia per un buona parte della giornata.
Alle 9, scarico la mbk al piccolo parcheggio sul bivio all'inizio della strada della Val Calanca; mi preparo e, con calma, mi avvio. La strada, a parte un paio di "lavori in corso", ben asfaltata e non particolarmente trafficata, sale senza troppa cattiveria, permettendomi di domare progressivamente il Primitivo di Manduria che, inopinatamente e incoscientemente mischiato al Morellino di Scansano si aggira, neanche troppo furtivo tra muscoli e organi vitali.
La giornata, per ora, è soleggiata, ma, dopo il tratto iniziale esposto sudest, la strada procede verso nordovest, un po’ incassata nella gola del Calancasca, per cui, a quest’ora, per farla breve, anche pedalando, fa freddo.
Lentino, come sempre in bici,impiego quasi un’ora per i primi nove chilometri che mi portano alle porte di Arvigo, davanti alla partenza dell’interessante funivia per Braggio; perdo un paio di minuti a consultare istruzioni per l’uso e listino, poi ritorno ad occuparmi del viaggio.
Svoltando a sinistra, abbandono la strada di valle, cambiandola con una ripida impennata che, attraversando l’armonioso abitato, mi introduce nella seconda parte dell’avventura: la salita all’Alp di Stabveder.
La strada, ancora asfaltata, è percorribile dalle auto, previo pagamento di pedaggio di 5 euro, da inserirsi nel dispositivo della sbarra d’ingresso.
Filtro efficace: nei secondi dieci chilometri di giornata, vengo sorpassato da tre auto tre e posso godermi la salita, il bosco, le malghe e i panorami con tutto comodo.
Un po’ meno comoda, la cosa, comincia a sembrarmi quando, dopo circa diciassette chilometri e mezzo di salita e milletrecento metri di dislivello superati, l’asfalto mi lascia in compagnia di una sterrata piuttosto sconnessa e non troppo condiscendente dal punto di vista della pendenza.
Dovrebbero essere circa tre chilometri, ma, a metà strada, sbaglio.
Ad un tornante che svolta verso nord, si presenta un’altra strada che continua diritta verso sud; sempre in salita, sempre sterrata, sembra la naturale continuazione di quella che sto percorrendo.
Nessuna indicazione e, ovviamente, la cartine coscienziosamente stampate il pomeriggio precedente ... sono rimaste a casa.
Naturalmente, faccio la scelta sbagliata: continuo diritto; per fermarmi, trecento metri più avanti dove un ampia piazzola è completamente circondata dal bosco. Tornerei indietro se non vedessi un cartello indicante “Alpe di Stabveder”.
L’errore partorisce, così, una salita un po’ alternativa a quella prevista.
Mi inoltro nel bosco, spingendo la mbk, che, poco più avanti, abbandono legata ad un giovane larice.
Il sentiero cincischia un po’, prima di decidersi a salire e presentarmi, dopo un balzo di un centinaio di metri, un altro bivio: a sinistra la via per la Capanna Brogoldone sale; a destra, per l’Alpe di Stabveder, bisogna scendere. Non ci sto; cerco di ricordarmi le carte consultate, studio, per quanto consentitomi dal rado bosco e da un incombente grugnolo, la conformazione del terreno, decidendo di provare ad alzarmi un altro po’ per capire meglio. Seguo per un breve tratto il sentiero per la Capanna Brogoldone, che ricordo, però, parecchio fuori zona, poi decido di salire lungo l’ampia cresta che mi si presenta davanti.
Dopo breve salita, posso vedere bene, dall’alto, l’Alpe di Stabveder e il tratto di strada che avrei dovuto ancora percorrere in bici; però, ho anche davanti, abbastanza completo, il teatro delle operazioni. La cresta, corredata da vaghe tracce, sembra abbastanza percorribile e dovrebbe condurmi ad incrociare il sentiero che sale dall’alpe; così decido di proseguire e, arrivato sotto un cimotto, ne aggiro, sulla destra, la sommità. Più tardi, a casa, scoprirò che la cresta percorsa è quella del Mot Ciarin, che il cimotto aggirato è appunto il Mot Ciarin e che se lo avessi aggirato sulla sinistra avrei fatto prima. Adesso, però sto procedendo a naso: anche se non riesco ancora a distinguere il sentiero che cerco, la situazione morfologica è abbastanza chiara: mi abbasso lentamente, traversando verso l’impluvio su terreno per la verità un po’ infido, fino a che riesco a distinguere un bollino bianco e rosso. Raggiungo il sentiero e, in pochi minuti, la bocchetta di quota 2270, dove, il Pizzo di Claro torna ad essere un luogo frequentato.
Sono più di una ventina, infatti, le persone, tutte sulla via del ritorno, che incontro salendo i 450 metri del bel tratto finale che sale ripido e pietroso, costellato di infiniti “ometti” che decorano una via impossibile da perdere.
Tra la vetta senza croce, che si incontra prima (e che sembra qualche centimetro più alta) e la vetta ufficiale, saluto una coppia di giovani coppie, che si apprestano a scendere. Sulla vetta con le croci, mi intrattengo brevemente con un’altra coppia di coppie, un pochino più datate, che poi ritroverò più in basso, impegnate nel tentativo di soccorrere una pecora zoppicante.
Il cielo, durante la seconda parte del duathlon, si è progressivamente coperto, ma, complessivamente, anche se i panorami sono un po’ ingrigiti, me la fa buona anche questa volta; così passo una ventina di minuti abbondanti sulla cima, confortato da gradevole temperatura, a rilassarmi e scattare fotografie.
La discesa si protrarrà più del previsto, poiché, raggiunti i soccorsi della pecora, vengo incaricato di avvicinarla per leggere, sulla targhetta, il numero da comunicare alle autorità competenti.
E’ una parola ... . Sarà che sono un po’ stanco, o sarà, forse, che tre gambe sono sempre il 50% più di due, fatto è che la pecora zoppa mostra di cavarsela meglio del buon samaritano sano e non ne vuole sapere di farsi avvicinare.
Alla fine, la “squadra di soccorso” rinuncia e, comunicata, per telefono, la posizione sommaria dell’ovino, riprende la discesa.
Giunti alla bocchetta, decido di andare a vedere l’ Alpe di Stabveder, toppata al mattino e così accompagno fino all’auto i miei improvvisati e simpatici compagni di viaggio.
Poi,brevemente, scendo al “mio” tornante, risalgo alla piazzola, mi inoltro nel bosco, recupero il cavallo e mi butto nella lunghissima discesa.
Il Pizzo di Claro, mi è piaciuto. Grazie a Voi, amici di Hikr.
L’anno prossimo, forse, tornerò.

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