Pizzo di Rabbi, 2452 e Lago Ledù dalla Val Garzelli
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Un vecchio amico ... vecchio nel senso che siamo amici da molto tempo, non è poi così vecchio ... beh, un po’ vecchietto è ... mi parla della Val Garzelli: bella e solitaria.
Son stato in Val Bodengo, parecchi anni fa, ma mai nella laterale che si dirama da Pra Pincè; so che “dall’altra parte” c’è il lago di Ledù, diversivo dal “solito” lago di Darengo, dove, da anni, vorrei andare e che il Pizzo di Rabbi è indicato come montagna dai grandiosi panorami.
Il giorno dopo, abbastanza mattiniero, sono in viaggio.
Pagati, a Gordona, i sei euro che danno libero accesso automobilistico alla strada della Val Bodengo, la risalgo immaginandomi un futuro duathlon, pedale più piede, “Gordona/Pra Pincè/Pizzo Rabbi. Cosa non si fa con l’immaginazione!
Per oggi, basta la seconda parte; anche perché, quando ancora manca un pezzetto al parcheggio previsto, c’è l’intoppo imprevisto: lavori in corso, “sì, al sabato non dovrebbero esserci, ma ... c’è la betoniera, questione di una mezzoretta ...” ... lascio l’auto e i più pazienti a dare un occhio ai lavori e mi avvio a piedi.
Poco più di un chilometro e mezzo e un’ottantina di metri di dislivello; corricchio un po’ (mi seccherebbe vedermi superato dalle auto dei più pazienti, che avrebbero così dimostrato che era preferibile pazientare) e in un quarto d’ora, sono al vero punto di partenza.
Inquadro il Rabbi, attraverso il ponte e, con un’altra breve corsetta, mi avvio.
Dopo un inizio un po’ interlocutorio, l’impennata verso l’Alpe di Campo, mi spiega che ... c’è poco da correre, ma, con il sentiero che sale ripido nel bosco, anche al passo, il dislivello s’accumula abbastanza rapidamente: dopo un’ora e venti sono all’alpe.
Un po’ di fumo esce da una baita; scambio un cenno di saluto con una coppia che fa colazione sulla porta e cerco di inquadrare il giusto percorso per la Bocchetta del Cannone.
Come mia consuetudine, mi avvio dalla parte sbagliata, ma, poco più avanti, il provvidenziale incontro con un gigantesco individuo che sta spaccando pietre nel greto del torrente, mi rimette sulla retta via. Il gigante mi indirizza verso un grosso masso che, a giudicare dalle braccia, deve aver messo lì lui, per avere un punto di riferimento chiaro da indicare ai viandanti meno scrocchi. “Da lì è tutta segnata, non puoi sbagliare”. Attraverso il torrente e mi avvio, ricordandomi di aver letto, da qualche parte, che, se anche perdi di vista i bollini, la via per la bocchetta è intuitiva: “impossibile sbagliare strada”-
Il sentiero è bellissimo ed effettivamente tracciatissimo; in alcuni punti ci sono delle vere e proprie lastricature opera dell’uomo; in altri è un lastricato naturale, fatto di placche rocciose e piccoli massi che la pendenza contenuta permette di risalire comodamente senza l’uso delle mani; poi erba, muschio, rododendri, piccoli alberi.
Continuo a mantenere un ritmo sostenuto: in una corsa contro il tempo. Atmosferico.
Grossi nuvoloni si accalcano sopra le cime e, sempre più spesso, sopra la mia testa; la pioggia ventilata dalle meteo per il pomeriggio, potrebbe anche arrivare.
Cattiva consigliera, la fretta: mentre quasi corro lungo un gradone che si innalza diagonalmente verso ovest, lungo il percorso impossibile da sbagliare, mi rendo conto di una cosa: i bollini bianchi e rossi sono spariti e la Bocchetta del Cannone, mi resta troppo sulla sinistra. Sto sbagliando strada!
Odio ridiscendere, per cui decido di raggiungere la cresta, (ormai è lì), alla bocchetta in prossimità di quello che credo sia il Monte Cucco. Procedendo ora verso sud, seguo la cresta fin che posso, poi, per riportarmi sulla retta via, mi rassegno ad abbassarmi un po’, traversando il versante nord est della cima di giornata, che, indifferente al mio caracollare, mi aspetta paziente.
Alla fine, saltabeccando attraverso un’enorme pietraia, mi ricongiungo al canale, ora evidentissimo, che porta alla Bocchetta del Cannone; il carosello mi è costato una mezz’oretta, ma, da qui, arrivare alla bocchetta è un gioco da ragazzi e, in breve, mi ritrovo ad ammirare il lago Ledù.

Una “prima volta” rovinata dal grigiore del cielo, ma, fortunatamente, la pioggia non è arrivata. Scatto, al volo, qualche fotografia e proseguo verso la cima. Da qui, è veramente impossibile sbagliare, per cui salgo “random” di gran carriera e in una dozzina di minuti sono all’omettone di vetta.
A festeggiarmi, si presenta addirittura qualche raggio di sole, ma la situazione non cambia di molto: scongiurata la pioggia, sì, ma i mitici panorami del Rabbi restano tabù. Va beh, non può sempre andare tutto bene: magari ci torno il prossimo anno, vedendo di trascinarci qualcuno. Un posto così, lo merita.
Gironzolo per un po’ fra le due sommità della montagna, poi, rapidamente, scendo a godermi il lago da vicino; lo aggiro completamente e, passando nei pressi del bivacco, percorro la sponda opposta per ritornare alla bocchetta.
La discesa è costellata da un’infinità di bolli bianchi e rossi che farebbero pensare sia impossibile sbagliar strada ...
All’ alpe, saluto il gigante che, dall’evidente soddisfazione degli occhi, sciacquatosi alla fontana, si sta dirigendo a grandi falcate verso un probabile brasato, celato dentro la baita fumante. Già ... io non mi son portato nulla!
Mi accontento di bere abbondantemente e mi avvio: la strada del ritorno è ancora lunga.
Già in basso, su di un tratto scaldato dal sole, mi imbatto in una splendida vipera, ma la macchina fotografica, che ho tenuto in mano per buona parte della giornata, adesso, ovviamente, è nello zaino: non ho fortuna con gli animali selvatici.
Riapprodato a Prà Pincè, mi toccano, a ritroso i milleseicento metri su asfalto, che chiudono una gita davvero bella.
Grazie “vecchio” amico.
E ciao a tutti.

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