Corna Trentapassi, ognuno ha ciò che si medita
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Il lago visto come distesa orizzontale e la montagna quella verticale sono mondi perpendicolari, con uguale bellezza. E' su queste superfici in contrasto tra loro che amo muovere le articolazioni nel tempo libero.
Considero la salita alla Corna Trentapassi una escursione "d'essai", cioè di quelle che bisogna affrontare con la vera passione. Non ci sono cime maestose con cui riempirsi gli occhi, niente stambecchi che si affrontano in pose fotografiche ed inoltre la quota di arrivo è modesta; fattore che agli appassionati dell'altimetria lascia senza dubbio un'ombra di perplessità. Prendetela come la visione di un film neorealista polacco, bisogna essere preparati mentalmente per apprezzarlo.
C'è tuttavia qualcosa di essenziale in questa camminata per eleggerla al grado di "via interessante" e di ottima qualità: una salita consistente, ripida, integralista e implacabile e senza tregua.
La salita si rivela un vero e proprio rasoio di Occam per scoprire la vera natura delle persone, la fatica è la lama di selezione di marca spartana che non ammette incertezze.
La percentuale di pendenza è sempre alta in questa escursione, calcolando che si parte quasi dal livello zero del lago presso l'abitato di Vello, per arrivare a 1248 metri in un breve sviluppo. Credo quindi che agli amanti dei rassicuranti falsipiani non piacerà.
Dopo un inizio bucolico tra gli ulivi ed il bosco, a metà del percorso all'incirca le rocce prendono il posto del sentiero vero e proprio. La seconda parte dell'ascesa richiede basilari abilità scimmiesche.
Infatti qui entrano in funzione le mani a supporto di una divertente arrampicata, mai difficoltosa. A tratti si svolge su veri e propri crinali e spigoli di roccia che sembrano tagliati ad arte da una mente raffinatamente estetica. Ed amante del brivido aggiungo, notando che certi strapiombi a pochi centimetri dai miei piedi sembrano un test per le prove di ammissione alla facoltà delle vertigini, delle quali per mia fortuna sono portatore sano.
Ogni volta che supero questi metri guadagnati con la fatica, li immagino come scolpiti nel materiale duro della memoria antica, nessuno me li potrà togliere.
Dopo due ore di salita, il mio scarso allenamento e gli ultimi peccati di gola mi mettono di fronte alla chiara realtà, dovrò sudare oltre le mie previsioni per arrivare in cima.
Il meglio che posso fare è di affrontare le difficoltà una per volta, un passo dopo l'altro allontanando la fretta, una presa sulla roccia a seguire quella successiva con il ritmo giusto perché il fiato non mi abbandoni come un amante deluso.
Quando sono vicino al limite delle mie energie, si materializza nella mia mente sempre al stessa immagine: quella di me disteso con un piccolo stormo di condor che aspettano il momento del pranzo.
Vado avanti. Il sole riscalda la pietra calcarea dandole un respiro quasi vitale, che mi incoraggia al contatto.
La montagna fiuta la mia stanchezza, qui non si mente, come sempre... quando si è affidati nelle imprevedibili mani della natura.
Sempre.
Le parole assolute quelle che esprimono concetti inalienabili e dogmatici. Sempre è una di quelle parole senza appello, è immutabile e rifiuta interpretazioni logiche presupponendo qualcosa che assomiglia ad un atto di fede.Ci riguarda come il mai.
Il mai e la fatica sono strettamente incastrate. La società moderna suggerisce di associare automaticamente il mai alla parola fatica perché si annullino a vicenda, inventando ogni genere di automazione, spesso superflua ed insignificante.
Riflettendoci, mai mi sono arreso alla fatica e continuerò a farlo finché almeno la testa ed il corpo funzioneranno insieme, e continuerò a scarpinare sulle gradinate che portano in alto senza bisogno di elisoccorso.
Vedo la cima finalmente. E' lassù, abbruttita da un'enorme croce metallica, stimata a mezz'ora di arrampicata. La cabina di pilotaggio del mio corpo ingrana brontolando le ridotte, e manda preoccupanti segnali di allarme calo zuccheri. Maledico la scelta di pesanti scarponi invernali, che rendono difficile la ricerca di appigli di dimensione ridotta.
Qualche fotografia-fiato al paesaggio sottostante sempre impreziosito dal Lago d'Iseo, ed è fatta.
Sulla cima c'è un piacevole caos antropologico. Branchi di escursionisti arrivati da diversi versanti si scambiano impressioni sulla salita, anche molto discordanti. La salita, sempre lei la protagonista.
L'abbondanza di banane nelle escursioni montane mi fa sempre sorridere, penso spesso che siamo primati poco più evoluti degli scimpanzé in fondo, per convincersi di ciò basta assistere ad una riunione condominiale o ad un derby qualsiasi.
La sensazione della vetta è quella di essere beati come rane su una foglia di ninfea, tanto per citare Tom Robbins, uno dei miei autori preferiti.
Vista dal punto di un fervente alchimista medioevale, l'estasi dell'arrivo alla meta potrebbe anche assomigliare all'aver intravisto per un istante il barlume della pietra filosofale, e stringere nelle mani la formula del metallo trasformato in oro.
Magari il suo esperimento occulto di ricerca era volto a creare vite eterne, solo dopo aver provato la pienezza di spirito di arrivare in cima ad una montagna lo avrebbe abbandonato. Il panorama è notevole dall'apice della Corna Trentapassi.
Vedo la testa rotonda del Monte Guy (Guglielmo), e quelle che dovrebbero essere l'Adamello, Monte Rosa, Pizzo Arera e molte altre cuspidi a me sconosciute.
Un ragazzo sventola bandierine tibetane.C'è voglia di Himalaya nell'aria. Ai piedi dei suoi ghiacci è sbocciato l'induismo, sono fioriti i poemi sacri dei Veda e delle Upanishad. L'uomo da sempre (ancora le parole assolute) santifica le vette che ha a disposizione: il Sinai ebraico, l'Olimpo greco, il Golgota cristiano, il Taishan taoista. Alle pendici della Corna Trentapassi, una volta sceso vedo il mio riflesso nella vetrata di un bar: sono un tizio in maglietta verde smeraldo con la stampa "Mexico" che addenta un panino con la salamella, nella sinistra una birra media.
Ognuno ha ciò che si medita.
soundtrack: Paolo Fresu & Uri Caine "Sì dolce è il tormento"
https://www.youtube.com/watch?v=WYvpgLqeG0c
Considero la salita alla Corna Trentapassi una escursione "d'essai", cioè di quelle che bisogna affrontare con la vera passione. Non ci sono cime maestose con cui riempirsi gli occhi, niente stambecchi che si affrontano in pose fotografiche ed inoltre la quota di arrivo è modesta; fattore che agli appassionati dell'altimetria lascia senza dubbio un'ombra di perplessità. Prendetela come la visione di un film neorealista polacco, bisogna essere preparati mentalmente per apprezzarlo.
C'è tuttavia qualcosa di essenziale in questa camminata per eleggerla al grado di "via interessante" e di ottima qualità: una salita consistente, ripida, integralista e implacabile e senza tregua.
La salita si rivela un vero e proprio rasoio di Occam per scoprire la vera natura delle persone, la fatica è la lama di selezione di marca spartana che non ammette incertezze.
La percentuale di pendenza è sempre alta in questa escursione, calcolando che si parte quasi dal livello zero del lago presso l'abitato di Vello, per arrivare a 1248 metri in un breve sviluppo. Credo quindi che agli amanti dei rassicuranti falsipiani non piacerà.
Dopo un inizio bucolico tra gli ulivi ed il bosco, a metà del percorso all'incirca le rocce prendono il posto del sentiero vero e proprio. La seconda parte dell'ascesa richiede basilari abilità scimmiesche.
Infatti qui entrano in funzione le mani a supporto di una divertente arrampicata, mai difficoltosa. A tratti si svolge su veri e propri crinali e spigoli di roccia che sembrano tagliati ad arte da una mente raffinatamente estetica. Ed amante del brivido aggiungo, notando che certi strapiombi a pochi centimetri dai miei piedi sembrano un test per le prove di ammissione alla facoltà delle vertigini, delle quali per mia fortuna sono portatore sano.
Ogni volta che supero questi metri guadagnati con la fatica, li immagino come scolpiti nel materiale duro della memoria antica, nessuno me li potrà togliere.
Dopo due ore di salita, il mio scarso allenamento e gli ultimi peccati di gola mi mettono di fronte alla chiara realtà, dovrò sudare oltre le mie previsioni per arrivare in cima.
Il meglio che posso fare è di affrontare le difficoltà una per volta, un passo dopo l'altro allontanando la fretta, una presa sulla roccia a seguire quella successiva con il ritmo giusto perché il fiato non mi abbandoni come un amante deluso.
Quando sono vicino al limite delle mie energie, si materializza nella mia mente sempre al stessa immagine: quella di me disteso con un piccolo stormo di condor che aspettano il momento del pranzo.
Vado avanti. Il sole riscalda la pietra calcarea dandole un respiro quasi vitale, che mi incoraggia al contatto.
La montagna fiuta la mia stanchezza, qui non si mente, come sempre... quando si è affidati nelle imprevedibili mani della natura.
Sempre.
Le parole assolute quelle che esprimono concetti inalienabili e dogmatici. Sempre è una di quelle parole senza appello, è immutabile e rifiuta interpretazioni logiche presupponendo qualcosa che assomiglia ad un atto di fede.Ci riguarda come il mai.
Il mai e la fatica sono strettamente incastrate. La società moderna suggerisce di associare automaticamente il mai alla parola fatica perché si annullino a vicenda, inventando ogni genere di automazione, spesso superflua ed insignificante.
Riflettendoci, mai mi sono arreso alla fatica e continuerò a farlo finché almeno la testa ed il corpo funzioneranno insieme, e continuerò a scarpinare sulle gradinate che portano in alto senza bisogno di elisoccorso.
Vedo la cima finalmente. E' lassù, abbruttita da un'enorme croce metallica, stimata a mezz'ora di arrampicata. La cabina di pilotaggio del mio corpo ingrana brontolando le ridotte, e manda preoccupanti segnali di allarme calo zuccheri. Maledico la scelta di pesanti scarponi invernali, che rendono difficile la ricerca di appigli di dimensione ridotta.
Qualche fotografia-fiato al paesaggio sottostante sempre impreziosito dal Lago d'Iseo, ed è fatta.
Sulla cima c'è un piacevole caos antropologico. Branchi di escursionisti arrivati da diversi versanti si scambiano impressioni sulla salita, anche molto discordanti. La salita, sempre lei la protagonista.
L'abbondanza di banane nelle escursioni montane mi fa sempre sorridere, penso spesso che siamo primati poco più evoluti degli scimpanzé in fondo, per convincersi di ciò basta assistere ad una riunione condominiale o ad un derby qualsiasi.
La sensazione della vetta è quella di essere beati come rane su una foglia di ninfea, tanto per citare Tom Robbins, uno dei miei autori preferiti.
Vista dal punto di un fervente alchimista medioevale, l'estasi dell'arrivo alla meta potrebbe anche assomigliare all'aver intravisto per un istante il barlume della pietra filosofale, e stringere nelle mani la formula del metallo trasformato in oro.
Magari il suo esperimento occulto di ricerca era volto a creare vite eterne, solo dopo aver provato la pienezza di spirito di arrivare in cima ad una montagna lo avrebbe abbandonato. Il panorama è notevole dall'apice della Corna Trentapassi.
Vedo la testa rotonda del Monte Guy (Guglielmo), e quelle che dovrebbero essere l'Adamello, Monte Rosa, Pizzo Arera e molte altre cuspidi a me sconosciute.
Un ragazzo sventola bandierine tibetane.C'è voglia di Himalaya nell'aria. Ai piedi dei suoi ghiacci è sbocciato l'induismo, sono fioriti i poemi sacri dei Veda e delle Upanishad. L'uomo da sempre (ancora le parole assolute) santifica le vette che ha a disposizione: il Sinai ebraico, l'Olimpo greco, il Golgota cristiano, il Taishan taoista. Alle pendici della Corna Trentapassi, una volta sceso vedo il mio riflesso nella vetrata di un bar: sono un tizio in maglietta verde smeraldo con la stampa "Mexico" che addenta un panino con la salamella, nella sinistra una birra media.
Ognuno ha ciò che si medita.
soundtrack: Paolo Fresu & Uri Caine "Sì dolce è il tormento"
https://www.youtube.com/watch?v=WYvpgLqeG0c
Tourengänger:
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