Pizzo Muncréch (2252 m)
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Sotto la spada di Damocle di una meteo traballante e volgente al brutto nel pomeriggio (previsione poi rivelatasi infondata: com’erano belli i tempi di Fosco Spinedi e Giovanni Kappenberger, loro non sbagliavano mai…) rinuncio agli sci – con questi la quota deve essere obbligatoriamente più alta visto che siamo a giugno; e, più in alto si va, più alto è anche il rischio di maltempo - e punto ad una montagna che a due riprese si è già affacciata alla soglia del richiamo.
Prima ripresa. L’ho osservata bene durante la salita (molto) invernale al Matro e si è presentata così, anzi, per meglio dire, così. Ovvio che dovessi aspettare, ma intanto il germe era stato buttato.
Seconda ripresa. Durante la discesa dal Piz di Strega ho chiesto ai signori di Pulgabi se da lì o da qualche altro punto della Val Combra fosse possibile vedere il Muncréch. La loro risposta negativa non ha fatto altro che accrescere l’interesse per una visita “alla montagna che si nasconde”.
Parto dunque da Sant’Anna (Pontironetto) su sentiero inizialmente inerbato (i primi 10 metri); poi, pur in mancanza di segnali o cartelli, il sentiero diventa evidentissimo, salendo con buona progressione nel bosco. Ben presto raggiungo la cascina solitaria di Chievürghia (preceduta da una casa in fase di ristrutturazione un po’ più in basso) e sempre seguendo l’evidente traccia passo sotto un filo a sbalzo che annuncia il bellissimo nucleo di Solgone (1403 m). Più a sinistra è visibile un secondo nucleo di cascine (1426 m), presso le quali farò tappa al ritorno.
A proposito di Solgone, è impossibile non citare le parole del Brenna. “Chi non può raggiungere la cima (del Pizzo Muncréch) visiti almeno il panoramico promontorio di Solgone: lassù c’è un insieme composto e armonioso di baite aggrappate ad un ripido pendio, che si sostengono a vicenda; sono case dai tetti di pietra e dalle facciate ora in legno resinoso, ora in sasso variegato che la roccia gneissica del posto sa dare con particolari venature. È un quadro stupendo, che si porta a casa con occhi orgogliosi”.
Sopra Solgone salgo in direzione della gobba erbosa che separa la Valle di Blenio dalla Val Pontirone. Il sentiero è sempre abbastanza evidente; nella parte superiore alcuni sbiaditi bolli blu aiutano a tenere la traccia.
Raggiungo il motto di quota 1822; poi, disceso alla successiva selletta, evito la deviazione a sinistra verso il pianoro di quota 1892 e proseguo diritto (potrei dire “quasi in verticale”, visto che da qui in avanti il pendio frammisto a roccette raggiunge pendenze davvero ragguardevoli).
I bolli blu (sbiaditi ma presenti) forse declassano l’aspetto più selvaggio della salita, che rimane però attorno al T4+ / T5- come difficoltà. In più di un caso è necessario usare le mani (i bastoni danno solo fastidio; infatti per la discesa rimarranno attaccati allo zaino fino al P. 1822). I punti di sicurezza non sono però appigli su roccia: quasi sempre si tratta di aggrapparsi a zolle d’erba o ad arbusti.
Entro poi nel canalone erboso (è in realtà un ripido pendio un po’ ricurvo) che porta alla cima trigonometrica. Mi sposto a destra e sbuco sulla cresta finale a metà strada tra le due cime. Raggiungo prima la trigonometrica, che ha anche l’uomo di vetta più corposo e il miglior panorama sul fondovalle. Da qui guadagno poi la cima principale del Pizzo Muncréch (2252 m), che permette una visuale “potente” sulla Cima di Biasagn e gli altri spuntoni della cresta WNW del Piz di Strega, fino alla vetta.
Siccome finora mi è andata bene con la meteo, ma non intendo sfidare ulteriormente la sorte, accantono l’idea di proseguire fino almeno al Pizzo Quadro. Se dovesse cominciare a piovere i ripidi passaggi erbosi sotto la cima potrebbero trasformarsi in trappole.
Alla fine non succede niente (meglio così!), per cui, ridisceso il ripido tratto iniziale e recuperato il sentiero perso verso quota 1800 (basta distrarsi un attimo e ci si trova nella natura selvaggia…), scendo fino a Solgone, andando a toccare il nucleo prima trascurato. Da lì agevolmente raggiungo l’auto ferma a Sant’Anna.
Non so se a causa del buon allenamento che mi ritrovo, o se invece perché ai tempi della pubblicazione della guida del Brenna (vent’anni fa) il sentiero fosse tutt’altro che intuitivo, comunque per la salita ci ho impiegato 3 ore a fronte delle 4.30 indicate dal Brenna. Per la discesa un po’ meno, ma solo poco (2 ore e 30’).
Davvero una bella montagna, il Muncréch, e marcatamente alpina la via per raggiungerlo.

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