Mot Gianin da Cuzzago lungo il "sentiero degli alpetti senza nome" - Corni di Nibbio
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Introduzione
Continuo l'esplorazione della selvaggia regione dei Corni di Nibbio, partendo per la seconda volta consecutiva da Cuzzago (210 m), fraz. di Premosello-Chiovenda (VB). L'idea iniziale era quella di raggiungere i ruderi dell'alpeggio situato a 1150 m sopra il Mot Gianin (1049), la dorsale che scende dal Pizz d'la Vugia e delimita a ovest la parte bassa della valle di Nibbio.
Alla fine, ho rinunciato a raggiungere quell'alpeggio ma ho trovato un modo di raggiungere il colletto del Mot Gianin, alternativo alla cosiddetta "via normale da Cuzzago" (da non confondersi con la "via normale da Nibbio"...).
Si tratta di un percorso di difficile individuazione perché ci sono solo brandelli di sentieri: tra un tratto di percorso definibile come "sentiero" e la successiva ci sono zone prive di segnaletica. Qua e là ci sono ometti e segni di vernice rossa sbiaditi, che nella parte alta sono sostituiti da segni bianchi, poi solo qualche taglio.
La Linea Cadorna
Parto da Cuzzago e mi dirigo verso il Rio dei Mulini, che attraverso su un ponte pedonale in cemento dopo un cartello del Parco Valgrande che indica l'inizio del sentiero di accesso alla Linea Cadorna. Sul lato opposto imbocco un sentiero che traversa a dx nel bosco alla base della montagna. In pochi minuti il sentiero si immette sulla jeppabile che, come scoprirò al ritorno, inizia dietro il capannone della Chimica Ossolana, a ovest dell'abitato di Nibbio. Inizio a risalire la strada sterrata fino ad un bivio, dove imbocco la mulattiera che sale sulla sinistra, ricalcando il tracciato di un tratto della Linea Cadorna. Al bivio l'altimetro segna circa 450m e sono partito da 30'.
Continuo a salire lungo la mulattiera, cercando un sentiero che mi faccia attraversare il rio Balangeri (in questa parte del percorso è alla mia dx) ma, non notando indicazioni, proseguo lungo la mulattiera fino a dove questa si riduce ad un sentiero che costeggia una lunga trincea. Dove la trincea finisce, il sentiero lascia il posto ad una traccia poco evidente che sale nel ripido bosco sulla dorsale tra il Vallone dei Mulini (a sx) e il rio Balangeri (a dx). Si trovano qua e là dei segni di vernice rossa. In breve la traccia, superato un albero caduto, immette su una parte della linea Cadorna che non è collegata con la parte sottostante (circa a 600m, 1 ora da Cuzzago).
Dopo qualche vana ricerca di segni rossi o ometti, scendo lungo la mulattiera (dx) e al primo tornante, trovo una traccia che si cala (a sx) fino al greto del rio Balangeri, dove si vedono dall'alto degli ometti.
Il sentiero degli alpetti senza nome
Una volta sceso sul fondo si vedono delle frecce rosse su alcuni massi ma non è chiaro dove sia la continuazione del percorso. Nel dubbio, inizio a risalire il versante opposto dove in breve trovo i resti del muro di sostegno del vecchio sentiero. Sulla sx c'è una specie di balma: al ritorno ho constatato che il vecchio sentiero passava di lì e arrivava ad attraversare il guado pochi metri più a monte rispetto a dove sono passato all'andata. Da qui in avanti risulta abbastanza agevole seguire il sentiero, grazie anche a diversi segni rossi e qualche ometto posti nei punti strategici.
Arrivo così ad un primo rudere (800 m circa, 35' da quando ho trovato la traccia che scende al guado), poi ad un secondo (840 m circa) e quindi ad un terzo rudere (860 m circa - meno di 15' dal primo rudere; 1:50 nette da Cuzzago, se si conosce il percorso). Si tratta di miseri alpetti imboscati e non segnati sulle carte, testimonianza della dura vita dei tempi passati.
Il sentiero "del faggio"
Salgo alle spalle dell'ultimo rudere, seguendo un traccia che inizia a risalire verso la dorsale soprastante (che separa i valloni del rio Balangeri, a sx, da quello del rio Pianezza, a dx), con qualche passaggio su rocce e le prime aperture panoramiche. Iniziano a comparire dei segni bianchi sulle rocce, in progressiva sostituzione dei segni rossi. Ad un certo punto, dopo un traverso a dx su rocce indicato da una grande freccia bianca, risalgo un ripido pendio erboso verso sinistra, guadagnando così la dorsale panoramica che risalgo fino ad un risalto roccioso. Qui mi rendo conto che sto salendo a vista, senza più il conforto né di segni di vernice né di ometti, in un ambiente sempre più severo. Decido quindi di scendere.
Il mio altimetro segna quota 1100m.
Scoprirò poi, grazie all'ottimo sito http://www.in-valgrande.it/, che stavo salendo effettivamente lungo il percorso che porta al grande faggio a quota 1170 m (punto di riferimento per i cacciatori della zona) e, di lì, all'alpe che avrei voluto raggiungere. Il percorso è segnato come sentiero sulla carta IGM ma in realtà è un percorso impegnativo (è valutato F sul sito citato) che sale fino a verso i 1250 m, sotto le rocce alla base di Pizz d'la Vugia, per poi calare sull'alpeggio a quota 1150m.
La via per il Mot Gianin
Ridisceso al più alto dei tre ruderi, noto una traccia a sx e un segno rosso su una pietra in quella direzione (a dx per chi sale). Provo a seguire la traccia e arrivo così ad una carbonera sul fondo (asciutto) del vallone del rio Pianezza, alla base della dorsale del Mot Gianin.
A questo punto risalgo il fondo del vallone in un fitto e ripido noccioleto, senza segnavia e senza tracce, fino ad una biforcazione del canale, alla base di uno sperone di roccia. Risalgo il pendio a dx della parete, dove trovo delle tracce di sentiero che in breve mi fanno guadagnare la sommità del Mot Gianin (1049m, 20' dal terzo rudere - circa 2:10 totali al netto delle incertezze sul percorso e delle brevi pause).
Da questa prospettiva, la grande frana della valle di Nibbio non sembra più così enorme come quando la si osserva dal fondovalle ossolano.
La discesa
In discesa ho scoperto, come già anticipato, che il tratto "alto" della linea Cadorna non è collegato con il sottostante perché una frana ha portato via la parte intermedia. Inoltre ho constatato quanto è facile non vedere un bivio: scendendo lungo la jeppabile sono arrivato fino alla zona industriale di Nibbio perché non ho notato il sentiero che porta al ponte di cemento e quindi a Cuzzago.
Ad ogni modo il tempo netto per il ritorno è stato di 1:20 (dal Mot Gianin a Nibbio), più circa 30' (evitabili) per raggiungere il centro di Cuzzago dalla Chimica Ossolana lungo la strada asfaltata.
In totale l'escursione è durata 7 ore, che possono essere dimezzate se si conosce già la zona.
Continuo l'esplorazione della selvaggia regione dei Corni di Nibbio, partendo per la seconda volta consecutiva da Cuzzago (210 m), fraz. di Premosello-Chiovenda (VB). L'idea iniziale era quella di raggiungere i ruderi dell'alpeggio situato a 1150 m sopra il Mot Gianin (1049), la dorsale che scende dal Pizz d'la Vugia e delimita a ovest la parte bassa della valle di Nibbio.
Alla fine, ho rinunciato a raggiungere quell'alpeggio ma ho trovato un modo di raggiungere il colletto del Mot Gianin, alternativo alla cosiddetta "via normale da Cuzzago" (da non confondersi con la "via normale da Nibbio"...).
Si tratta di un percorso di difficile individuazione perché ci sono solo brandelli di sentieri: tra un tratto di percorso definibile come "sentiero" e la successiva ci sono zone prive di segnaletica. Qua e là ci sono ometti e segni di vernice rossa sbiaditi, che nella parte alta sono sostituiti da segni bianchi, poi solo qualche taglio.
La Linea Cadorna
Parto da Cuzzago e mi dirigo verso il Rio dei Mulini, che attraverso su un ponte pedonale in cemento dopo un cartello del Parco Valgrande che indica l'inizio del sentiero di accesso alla Linea Cadorna. Sul lato opposto imbocco un sentiero che traversa a dx nel bosco alla base della montagna. In pochi minuti il sentiero si immette sulla jeppabile che, come scoprirò al ritorno, inizia dietro il capannone della Chimica Ossolana, a ovest dell'abitato di Nibbio. Inizio a risalire la strada sterrata fino ad un bivio, dove imbocco la mulattiera che sale sulla sinistra, ricalcando il tracciato di un tratto della Linea Cadorna. Al bivio l'altimetro segna circa 450m e sono partito da 30'.
Continuo a salire lungo la mulattiera, cercando un sentiero che mi faccia attraversare il rio Balangeri (in questa parte del percorso è alla mia dx) ma, non notando indicazioni, proseguo lungo la mulattiera fino a dove questa si riduce ad un sentiero che costeggia una lunga trincea. Dove la trincea finisce, il sentiero lascia il posto ad una traccia poco evidente che sale nel ripido bosco sulla dorsale tra il Vallone dei Mulini (a sx) e il rio Balangeri (a dx). Si trovano qua e là dei segni di vernice rossa. In breve la traccia, superato un albero caduto, immette su una parte della linea Cadorna che non è collegata con la parte sottostante (circa a 600m, 1 ora da Cuzzago).
Dopo qualche vana ricerca di segni rossi o ometti, scendo lungo la mulattiera (dx) e al primo tornante, trovo una traccia che si cala (a sx) fino al greto del rio Balangeri, dove si vedono dall'alto degli ometti.
Il sentiero degli alpetti senza nome
Una volta sceso sul fondo si vedono delle frecce rosse su alcuni massi ma non è chiaro dove sia la continuazione del percorso. Nel dubbio, inizio a risalire il versante opposto dove in breve trovo i resti del muro di sostegno del vecchio sentiero. Sulla sx c'è una specie di balma: al ritorno ho constatato che il vecchio sentiero passava di lì e arrivava ad attraversare il guado pochi metri più a monte rispetto a dove sono passato all'andata. Da qui in avanti risulta abbastanza agevole seguire il sentiero, grazie anche a diversi segni rossi e qualche ometto posti nei punti strategici.
Arrivo così ad un primo rudere (800 m circa, 35' da quando ho trovato la traccia che scende al guado), poi ad un secondo (840 m circa) e quindi ad un terzo rudere (860 m circa - meno di 15' dal primo rudere; 1:50 nette da Cuzzago, se si conosce il percorso). Si tratta di miseri alpetti imboscati e non segnati sulle carte, testimonianza della dura vita dei tempi passati.
Il sentiero "del faggio"
Salgo alle spalle dell'ultimo rudere, seguendo un traccia che inizia a risalire verso la dorsale soprastante (che separa i valloni del rio Balangeri, a sx, da quello del rio Pianezza, a dx), con qualche passaggio su rocce e le prime aperture panoramiche. Iniziano a comparire dei segni bianchi sulle rocce, in progressiva sostituzione dei segni rossi. Ad un certo punto, dopo un traverso a dx su rocce indicato da una grande freccia bianca, risalgo un ripido pendio erboso verso sinistra, guadagnando così la dorsale panoramica che risalgo fino ad un risalto roccioso. Qui mi rendo conto che sto salendo a vista, senza più il conforto né di segni di vernice né di ometti, in un ambiente sempre più severo. Decido quindi di scendere.
Il mio altimetro segna quota 1100m.
Scoprirò poi, grazie all'ottimo sito http://www.in-valgrande.it/, che stavo salendo effettivamente lungo il percorso che porta al grande faggio a quota 1170 m (punto di riferimento per i cacciatori della zona) e, di lì, all'alpe che avrei voluto raggiungere. Il percorso è segnato come sentiero sulla carta IGM ma in realtà è un percorso impegnativo (è valutato F sul sito citato) che sale fino a verso i 1250 m, sotto le rocce alla base di Pizz d'la Vugia, per poi calare sull'alpeggio a quota 1150m.
La via per il Mot Gianin
Ridisceso al più alto dei tre ruderi, noto una traccia a sx e un segno rosso su una pietra in quella direzione (a dx per chi sale). Provo a seguire la traccia e arrivo così ad una carbonera sul fondo (asciutto) del vallone del rio Pianezza, alla base della dorsale del Mot Gianin.
A questo punto risalgo il fondo del vallone in un fitto e ripido noccioleto, senza segnavia e senza tracce, fino ad una biforcazione del canale, alla base di uno sperone di roccia. Risalgo il pendio a dx della parete, dove trovo delle tracce di sentiero che in breve mi fanno guadagnare la sommità del Mot Gianin (1049m, 20' dal terzo rudere - circa 2:10 totali al netto delle incertezze sul percorso e delle brevi pause).
Da questa prospettiva, la grande frana della valle di Nibbio non sembra più così enorme come quando la si osserva dal fondovalle ossolano.
La discesa
In discesa ho scoperto, come già anticipato, che il tratto "alto" della linea Cadorna non è collegato con il sottostante perché una frana ha portato via la parte intermedia. Inoltre ho constatato quanto è facile non vedere un bivio: scendendo lungo la jeppabile sono arrivato fino alla zona industriale di Nibbio perché non ho notato il sentiero che porta al ponte di cemento e quindi a Cuzzago.
Ad ogni modo il tempo netto per il ritorno è stato di 1:20 (dal Mot Gianin a Nibbio), più circa 30' (evitabili) per raggiungere il centro di Cuzzago dalla Chimica Ossolana lungo la strada asfaltata.
In totale l'escursione è durata 7 ore, che possono essere dimezzate se si conosce già la zona.
Tourengänger:
atal

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