Chilchalphorn, 3040
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Il Chilchalphorn non mi aveva mai fatto penare tanto. Meta abituale negli anni a cavallo fra i due millenni della ns. vita, quando fungeva da “controllo allenamento” all’inizio dell’inverno, l’avevo abbandonato da un po’; ultima fugace apparizione, con Schiep, nel 2007.
Oggi si torna all’antico: se ne inventano di ogni, perfino che devono lavorare! Vado solo.
La cosa, già da sé, provoca qualche danno: non avendo un appuntamento da rispettare, faccio due curve extra fra le lenzuola, poi la barba, poi una cosa che non si scrive nei report, poi la doccia, poi colazione, poi un bacio alle piccole... insomma arrivo a Hinterrhein alle 8 e 35 e, ora che parto son quasi le nove.
Il sole è già alto e la neve già molliccia; ma è anche pochina e appoggia su bei pascoli morbidi, per cui salgo spedito e in tre quarti d’ora raggiungo e supero la Chilchalp,
Continuo per un tratto a risalire il pendio esposto sudovest che porta verso la Wenglilücke, dove la neve, bella matura e ben tracciata non dà problemi e, per un attimo, mi faccio anche tentare: arrivo alla sella, mi faccio una bella sciata intanto che la neve non è troppo marcia e me ne torno a casa. Perché ho un sospetto...
Il “senso del dovere”, prende però il sopravvento, che gli racconto, poi, agli hikriani? Intorno a quota 2250, ultima fermata utile, piego decisamente verso sinistra, o verso est, se preferite e inquadro il Chilchalphorn, al di sopra delle mitiche vallette; molto al di sopra... A neanche duecento metri dalla svolta, il “sospetto” si materializza: cambio di esposizione uguale cambio di neve. Uguale zoccolo! E’ una cosa mostruosa da subito e io, come d’uso, mi faccio trovare impreparato; niente sciolina of course. In dieci minuti una gita che sembrava scorrere perfetta e che mi faceva sentire in gran forma, si trasforma nel calvario di una larva di scialpinista che avanza con degli scarponi da 172 cm attaccati ai piedi.
Sfrutto più volte le numerose rocce affioranti per grattar via la neve ma non serve a nulla: alla fine mi fermo una prima volta a pulire gli sci usando le lamine dell’uno per togliere la crosta ghiacciata dalla pelle dell’altro e la solita maglietta di cotone per asciugare al meglio il tutto. L’operazione dà i suoi frutti per meno di cinque minuti; la neve, impietosa, nonostante una traccia ben marcata, ricostruisce gli “scarponi” che si staccano, parzialmente, solo quando hanno superato i dieci centimetri di spessore, per poi rigenerarsi sempre più imponenti. La voglia di lasciar perdere è forte, ma, fatto salvo per una nuvola fantozziana che si è installata sopra la vetta del Chilchalphorn e resterà lì fino al mio arrivo, la giornata è splendida, per cui continuo. Dalla “svolta” ho fatto meno di quattrocento metri di dislivello in un’ora e mezza, quando decido di ripetere l’operazione “pulitura”. Questa volta faccio un lavoro professionale, che mi porta via altri venti minuti, ma che dà frutti duraturi, probabilmente anche grazie ad un ulteriore cambio negli umori della neve.
Non s’attacca più, non s’attacca più! Nel giro di pochi minuti ritrovo ritmo e fiducia e mi fiondo verso i pendii finali, guardandomi bene dal fermarmi anche quando fotografo, per non dar modo alla Bestia di riaddentarmi.
All’altezza della Chilchalplücke si piega verso sudovest e si attacchano le forchette finali che portano al tratto di cresta est che adduce alla vetta. La nuvola fantozziana, ora, fa ombra anche a me, la traccia è bella dura, dimentico lo zoccolo, arrivo alla cresta e, risalitala brevemente, abbandono gli sci in un comodo balconcino nevoso ricavato, presumo, dal gruppetto che nel frattempo è sceso. Una cinquantina di passi nella neve e sono su. A festeggiare solo due corvi, ma, in compenso, con un ultimo volteggio, la nuvola se ne va.
Gran panorama, nonostante una cerchia di nuvole all’orizzonte nasconda le cime più lontane; temperatura mite; niente vento. Tra fotografie, consultazione libro di vetta, scambi di messaggi telefonici e preparativi resto sulla cima una cinquantina di minuti e me ne vado un po’ controvoglia.
Il tratto sotto la vetta, esposto nordovest, mi regala qualche bella curva in neve polverosa poi, però, si passa alla crosta a cottura variabile che, peraltro, non diventa mai indigeribile.
Sotto la Chilchalp, neve decisamente bagnata, ma ben sciabile grazie alla morbida erba, (fatta salva qualche sgradita sorpresa) su cui appoggia.
Stanco, scottatino mica male, ma comunque soddisfatto, riguadagno l'auto.
Da soli, la birra cambia un po' sapore, per cui, anche in considerazione del fatto che Hinterrhein non è famosa per gli spumeggianti locali pubblici, salto il giro e vado a casa. Sarà per la prossima.

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