Alpe Forno (rio degli Orti) - Valle Antigorio
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L'alpe Forno è un remoto e dimenticato alpe posto in prossimità del rio degli Orti sulla sinistra idrografica della valle Antigorio, di cui non c'è traccia neanche sulle mappe recenti e antiche. E' conosciuto soprattutto per una tragedia avvenuta il 10 Gennaio 1933 in cui persero la vita a causa di una valanga 8 uomini che si recavano oltre il confine per contrabbando come si usava a quei tempi per migliorare le proprie condizioni di vita. Ormai non rimangono che dei ruderi, anche a causa delle valanghe che hanno distrutto l'alpe, e una targa commemorativa messa nell'ottantesimo anniversario quindi nel 2013 con i nomi e l'età degli uomini travolti.
Incuriosito e colpito da questa storia mi propongo di trovare questo luogo sperduto avvalendomi comunque delle relazioni di atal su questo sito e di In-valgrande.it che hanno riscoperto questo alpe e questa storia ormai dimenticata.
Non è stato facile arrivarci, non esiste sentiero o traccia e neanche ometti, in più il terreno che si attraversa è scomodo e invaso dalla vegetazione che rende snervante e difficile la progressione.
Parto da Cagiogno frazione di Premia, e mi avvio sulla bella mulattiera che porta ad Aleccio. Passo per l'alpe Boschetto e arrivo all'alpe Bee 1297 m posto in una bella posizione panoramica e aperta. Qui si trova una targa commemorativa della sciagura con i nomi delle vittime, poichè era il luogo che faceva da campo base per le ricerche dei corpi che è perdurata diversi mesi.
Lascio il sentiero segnalato che va ad Aleccio per dirigermi alle spalle delle baite dove trovo una esile traccia che conduce prima alle due baite di Moncucco e poi al rudere vicino a una roccia chiamato il Culet a 1540 m.
Da qui ogni traccia scompare e mi avvio a sinistra verso il rio degli Orti in leggera salita sulla sinistra idrografica del vallone. Il procedere è alquanto scomodo e insidioso a causa della fitta vegetazione e dei grossi massi che bisogna oltrepassare che nascondono buchi nei quali è meglio non mettere piede.
Attraverso un primo canalino senza problemi, poi un secondo colmo di neve dura, intanto la vegetazione si dirada un pò facendomi vedere meglio dove andare, un terzo canale è senza neve ma il guado presenta rocce lisce inclinate dove scorre un bel rio con molta acqua dove presto particolare attenzione per non scivolare. A questo punto riesco a intuire dove possa essere l'alpe Forno, al di là del canale principale che è il rio degli Orti colmo di neve dura. Costeggio il canale che però è molto incassato, mi alzo a destra e sbuco su una evidente traccia che viene da destra e che prendo a sinistra verso l'ultimo canale. Non so se questa traccia era continua, forse dovevo alzarmi prima ai primi guadi per evitare la parte imboscata e intricata che ho attraversato, non ho verificato (non avevo voglia di tornare indietro).
Il canale è pieno di neve dura e molto inclinato così anche solo per una decina di metri calzo i ramponi e lo attraverso in tranquillità e dopo un grande masso trovo l'alpe a 1850 m, che si trova proprio dietro al suo riparo di cui rimangono solo dei muri e la targa con i nomi delle vittime tutte molto giovani e la frase emblematica "che all'alba del 10 Gennaio 1933 furono travolti da una valanga mentre cercavano con un viaggio oltre confine di migliorare le proprie vite". Rimango a riflettere su queste parole che esprimono la dura vita di allora e la miseria che costringeva a rischiare le proprie vite in inverno su questi impervi versanti appunto per cercare di migliorarle. Non c'è più il quaderno su cui erano scritte le visite e la storia dell'alpe andato distrutto nel 1987 a causa di valanghe e piene del torrente di cui si può leggere una pagina sulla relazione di atal (https://www.hikr.org/gallery/photo2775240.html?post_id=137039).
Il luogo è molto bello e solitario sicuramente vede pochi avventurosi che si spingono fin qui e così rimango a assorbire la magia di questo posto che direi "un luogo dell'anima" dove l'emozione è più grande che aver raggiunto una cima importante.
Però dopo un'oretta riparto perchè il ritorno non lo conosco anche se penso sia più facile. Mi dirigo, attraversando in discesa la destra idrografica del vallone, verso l'alpe Pianezza che già avevo intravisto all'andata su un bel poggio alla base delle rocce della cresta sull'altro versante. Però poi in mezzo al bosco perdo la direzione ma rimanendo vicino alle rocce verticali e con un'occhio al'altimetro arrivo presto alle baite a 1666 m. di cui alcune in buono stato. Su alcune travi leggo date che risalgono al 1791. Scendo ripidamente alle baite inferiori, poi prendo una traccia con segni rossi, ma che è facile perdere (non sembra un percorso molto frequentato), che scendendo passa per i ruderi di Corte della Satta a 1535m e arriva in prossimità di due baite sul sentiero segnalato che viene da Diogna. Andando a sinistra riattraverso il rio degli Orti pieno d'acqua e giungo di nuovo a Boschetto (1205 m) dove riprendo la bella mulattiera che mi riporta a Cagiogno dove si conclude questo interessante giro.
Incuriosito e colpito da questa storia mi propongo di trovare questo luogo sperduto avvalendomi comunque delle relazioni di atal su questo sito e di In-valgrande.it che hanno riscoperto questo alpe e questa storia ormai dimenticata.
Non è stato facile arrivarci, non esiste sentiero o traccia e neanche ometti, in più il terreno che si attraversa è scomodo e invaso dalla vegetazione che rende snervante e difficile la progressione.
Parto da Cagiogno frazione di Premia, e mi avvio sulla bella mulattiera che porta ad Aleccio. Passo per l'alpe Boschetto e arrivo all'alpe Bee 1297 m posto in una bella posizione panoramica e aperta. Qui si trova una targa commemorativa della sciagura con i nomi delle vittime, poichè era il luogo che faceva da campo base per le ricerche dei corpi che è perdurata diversi mesi.
Lascio il sentiero segnalato che va ad Aleccio per dirigermi alle spalle delle baite dove trovo una esile traccia che conduce prima alle due baite di Moncucco e poi al rudere vicino a una roccia chiamato il Culet a 1540 m.
Da qui ogni traccia scompare e mi avvio a sinistra verso il rio degli Orti in leggera salita sulla sinistra idrografica del vallone. Il procedere è alquanto scomodo e insidioso a causa della fitta vegetazione e dei grossi massi che bisogna oltrepassare che nascondono buchi nei quali è meglio non mettere piede.
Attraverso un primo canalino senza problemi, poi un secondo colmo di neve dura, intanto la vegetazione si dirada un pò facendomi vedere meglio dove andare, un terzo canale è senza neve ma il guado presenta rocce lisce inclinate dove scorre un bel rio con molta acqua dove presto particolare attenzione per non scivolare. A questo punto riesco a intuire dove possa essere l'alpe Forno, al di là del canale principale che è il rio degli Orti colmo di neve dura. Costeggio il canale che però è molto incassato, mi alzo a destra e sbuco su una evidente traccia che viene da destra e che prendo a sinistra verso l'ultimo canale. Non so se questa traccia era continua, forse dovevo alzarmi prima ai primi guadi per evitare la parte imboscata e intricata che ho attraversato, non ho verificato (non avevo voglia di tornare indietro).
Il canale è pieno di neve dura e molto inclinato così anche solo per una decina di metri calzo i ramponi e lo attraverso in tranquillità e dopo un grande masso trovo l'alpe a 1850 m, che si trova proprio dietro al suo riparo di cui rimangono solo dei muri e la targa con i nomi delle vittime tutte molto giovani e la frase emblematica "che all'alba del 10 Gennaio 1933 furono travolti da una valanga mentre cercavano con un viaggio oltre confine di migliorare le proprie vite". Rimango a riflettere su queste parole che esprimono la dura vita di allora e la miseria che costringeva a rischiare le proprie vite in inverno su questi impervi versanti appunto per cercare di migliorarle. Non c'è più il quaderno su cui erano scritte le visite e la storia dell'alpe andato distrutto nel 1987 a causa di valanghe e piene del torrente di cui si può leggere una pagina sulla relazione di atal (https://www.hikr.org/gallery/photo2775240.html?post_id=137039).
Il luogo è molto bello e solitario sicuramente vede pochi avventurosi che si spingono fin qui e così rimango a assorbire la magia di questo posto che direi "un luogo dell'anima" dove l'emozione è più grande che aver raggiunto una cima importante.
Però dopo un'oretta riparto perchè il ritorno non lo conosco anche se penso sia più facile. Mi dirigo, attraversando in discesa la destra idrografica del vallone, verso l'alpe Pianezza che già avevo intravisto all'andata su un bel poggio alla base delle rocce della cresta sull'altro versante. Però poi in mezzo al bosco perdo la direzione ma rimanendo vicino alle rocce verticali e con un'occhio al'altimetro arrivo presto alle baite a 1666 m. di cui alcune in buono stato. Su alcune travi leggo date che risalgono al 1791. Scendo ripidamente alle baite inferiori, poi prendo una traccia con segni rossi, ma che è facile perdere (non sembra un percorso molto frequentato), che scendendo passa per i ruderi di Corte della Satta a 1535m e arriva in prossimità di due baite sul sentiero segnalato che viene da Diogna. Andando a sinistra riattraverso il rio degli Orti pieno d'acqua e giungo di nuovo a Boschetto (1205 m) dove riprendo la bella mulattiera che mi riporta a Cagiogno dove si conclude questo interessante giro.
Tourengänger:
antrobi

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