Alpe Forno - Valle Antigorio
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Il nome dell'Alpe Forno è legato ad un episodio tragico avvenuto nel gennaio del 1933, in cui otto giovani della zona persero la vita sotto una valanga mentre si recavano oltre confine per "un viaggio" di contrabbando, con cui speravano di alleviare la loro misera condizione. La vicenda è raccontata nel prezioso libro di Ferruccio Del Zoppo "1933 - 2013 Otto ottant'anni dopo...(ancora fra noi)".
Nonostante questa relativa notorietà, l'Alpe Forno è assente dalla mappe e il nome è riportato solo sul catasto ottocentesco. Per la mappa catastale attuale (consultabile online e sovrapponibile all'ortofoto), le baite sono situate in corrispondenza di una piccola giavina immediatamente a monte della confluenza di due canali. La posizione si rivelerà non corretta alla prova dei fatti.
La visita a questo luogo, certamente meno frequentato delle cime che lo circondano, è stata l’occasione per aggiungere il tassello che mancava alla nostra “traversata antigoriana”, con un altro percorso riservato agli amanti dei luoghi selvatici e abbandonati.
Andata
Con Ferruccio salgo da Cagiogno lungo la bella mulattiera a Bee, l’alpeggio che fece da “campo base” durante le ricerche dei ragazzi travolti dalla valanga, qui ricordati da una targa commemorativa.
Alle spalle delle baite sale un buon sentiero bollato bianco e rosso che porta verso la Pescia (CNS Corte Peccia). Davanti ad una balma, lasciamo il percorso segnalato e svoltiamo a sinistra (Nord) su un sentiero evidente che in breve porta all’Alpe Moncucco (CNS 1418). Il percorso prosegue in salita fino ad un falsopiano sulla dorsale noto localmente come Il Culet (il colletto), a circa 1540 m.
Un grosso ometto segnala un sentiero che traversa a destra (Sud) verso il Rio d’Alba. Proseguendo invece nella salita, si giunge nei pressi di un piccolo rudere. Senza traccia ci addentriamo nel vallone del Rio degli Orti (Est) e traversiamo in leggera salita, superando tre canali, su terreno a tratti malagevole.
Giunti nei pressi di un quarto canale, più incassato dei precedenti, lo si attraversa seguendo un’evidente traccia di animali a circa 1820 m di quota, sotto un piccolo salto del torrente.
Sul lato opposto del canale saliremo ancora lungo una traccia di animali, per raggiungere, dopo avere attraversato un ontaneto, una giavina e un canale, la zona dove secondo la mappa catastale avremmo dovuto trovare i ruderi. Il luogo è quanto di meno adatto si possa immaginare per la costruzione di un alpeggio: ripido e franoso, privo di pascolo ed esposto alle valanghe.
Per arrivare sul terreno più agevole della destra idrografica, dovremo risalire ancora fino sopra i 2000 m di quota, superando un ultimo canale...
Ormai sul punto di perdere ogni speranza, già avviati in discesa in direzione della Pianezza, volgendo lo sguardo a Sud, troveremo infine l'Alpe Forno a 1850 m di quota sotto un salto di roccia, sulla destra idrografica del vallone, a pochi metri dal Rio degli Orti.
Il percorso corretto dalla sinistra idrografica traversa pressoché in piano dal guado di quota 1820, passando in un prato con una grande roccia piatta ben visibile da lontano.
All’Alpe Forno una targa ricorda i giovani travolti dalla valanga, apposta nel 2013 dall'autore del libro citato in apertura. Il luogo è raramente visitato, come testimonia il quaderno per le firme: dopo la posa della targa, c’è stata solo una visita all’anno nei tre anni successivi, sempre da persone accompagnate da Del Zoppo.
I ruderi presenti in questo defilato e misero alpetto sono almeno tre. Quello più cospicuo era un baitino vero e proprio prima che una valanga lo privasse del tetto nell'inverno 1987-1988.
Ritorno
Traversiamo in leggera discesa la destra idrografica del vallone del Forno fino a La Pianezza, trovando da ultimo tracce di un sentiero più basso rispetto a quello percorso in occasione del giro del Pizzo del Forno di due anni fa.
Sotto la più settentrionale delle baite, una traccia scende ripida ai ruderi inferiori, posti a presidio del panoramico pascolo sulla dorsale. Il sentiero scende quindi nel bosco (qualche segno rosso) poggiando a destra (Nord) a Corte della Satta e quindi, con qualche tratto gradinato, fino alle faggeta che sovrasta le baite più alte di Diogna, dove prendiamo la bella mulattiera (indicazione per Bee su un masso) che porta ad attraversare il Rio degli Orti e raggiunge le baite di Boschetto. Nuovamente sul percorso dell’andata, in breve ritorniamo a Cagiogno.
Tempi
Cagiogno - Il Culet: 1:30
Il Culet - Alpe Forno: 2:00 (sapendo già dove cercare l'Alpe Forno, 3:30 nel nostro caso...)
Alpe Forno - La Pianezza: 1:00
La Pianezza - Boschetto: 1:00
Boschetto - Cagiogno: 30'
Nonostante questa relativa notorietà, l'Alpe Forno è assente dalla mappe e il nome è riportato solo sul catasto ottocentesco. Per la mappa catastale attuale (consultabile online e sovrapponibile all'ortofoto), le baite sono situate in corrispondenza di una piccola giavina immediatamente a monte della confluenza di due canali. La posizione si rivelerà non corretta alla prova dei fatti.
La visita a questo luogo, certamente meno frequentato delle cime che lo circondano, è stata l’occasione per aggiungere il tassello che mancava alla nostra “traversata antigoriana”, con un altro percorso riservato agli amanti dei luoghi selvatici e abbandonati.
Andata
Con Ferruccio salgo da Cagiogno lungo la bella mulattiera a Bee, l’alpeggio che fece da “campo base” durante le ricerche dei ragazzi travolti dalla valanga, qui ricordati da una targa commemorativa.
Alle spalle delle baite sale un buon sentiero bollato bianco e rosso che porta verso la Pescia (CNS Corte Peccia). Davanti ad una balma, lasciamo il percorso segnalato e svoltiamo a sinistra (Nord) su un sentiero evidente che in breve porta all’Alpe Moncucco (CNS 1418). Il percorso prosegue in salita fino ad un falsopiano sulla dorsale noto localmente come Il Culet (il colletto), a circa 1540 m.
Un grosso ometto segnala un sentiero che traversa a destra (Sud) verso il Rio d’Alba. Proseguendo invece nella salita, si giunge nei pressi di un piccolo rudere. Senza traccia ci addentriamo nel vallone del Rio degli Orti (Est) e traversiamo in leggera salita, superando tre canali, su terreno a tratti malagevole.
Giunti nei pressi di un quarto canale, più incassato dei precedenti, lo si attraversa seguendo un’evidente traccia di animali a circa 1820 m di quota, sotto un piccolo salto del torrente.
Sul lato opposto del canale saliremo ancora lungo una traccia di animali, per raggiungere, dopo avere attraversato un ontaneto, una giavina e un canale, la zona dove secondo la mappa catastale avremmo dovuto trovare i ruderi. Il luogo è quanto di meno adatto si possa immaginare per la costruzione di un alpeggio: ripido e franoso, privo di pascolo ed esposto alle valanghe.
Per arrivare sul terreno più agevole della destra idrografica, dovremo risalire ancora fino sopra i 2000 m di quota, superando un ultimo canale...
Ormai sul punto di perdere ogni speranza, già avviati in discesa in direzione della Pianezza, volgendo lo sguardo a Sud, troveremo infine l'Alpe Forno a 1850 m di quota sotto un salto di roccia, sulla destra idrografica del vallone, a pochi metri dal Rio degli Orti.
Il percorso corretto dalla sinistra idrografica traversa pressoché in piano dal guado di quota 1820, passando in un prato con una grande roccia piatta ben visibile da lontano.
All’Alpe Forno una targa ricorda i giovani travolti dalla valanga, apposta nel 2013 dall'autore del libro citato in apertura. Il luogo è raramente visitato, come testimonia il quaderno per le firme: dopo la posa della targa, c’è stata solo una visita all’anno nei tre anni successivi, sempre da persone accompagnate da Del Zoppo.
I ruderi presenti in questo defilato e misero alpetto sono almeno tre. Quello più cospicuo era un baitino vero e proprio prima che una valanga lo privasse del tetto nell'inverno 1987-1988.
Ritorno
Traversiamo in leggera discesa la destra idrografica del vallone del Forno fino a La Pianezza, trovando da ultimo tracce di un sentiero più basso rispetto a quello percorso in occasione del giro del Pizzo del Forno di due anni fa.
Sotto la più settentrionale delle baite, una traccia scende ripida ai ruderi inferiori, posti a presidio del panoramico pascolo sulla dorsale. Il sentiero scende quindi nel bosco (qualche segno rosso) poggiando a destra (Nord) a Corte della Satta e quindi, con qualche tratto gradinato, fino alle faggeta che sovrasta le baite più alte di Diogna, dove prendiamo la bella mulattiera (indicazione per Bee su un masso) che porta ad attraversare il Rio degli Orti e raggiunge le baite di Boschetto. Nuovamente sul percorso dell’andata, in breve ritorniamo a Cagiogno.
Tempi
Cagiogno - Il Culet: 1:30
Il Culet - Alpe Forno: 2:00 (sapendo già dove cercare l'Alpe Forno, 3:30 nel nostro caso...)
Alpe Forno - La Pianezza: 1:00
La Pianezza - Boschetto: 1:00
Boschetto - Cagiogno: 30'
Tourengänger:
atal

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Kommentare (13)