Vagiti e ruggiti dalla costa del Metòn


Publiziert von Gabrio , 4. September 2023 um 16:02. Text und Fotos von den Tourengängern

Region: Welt » Schweiz » Tessin » Bellinzonese
Wandern Schwierigkeit: T5+ - anspruchsvolles Alpinwandern
Wegpunkte:
Geo-Tags: CH-TI   Gruppo Madöm Gross 
Kartennummer:1273 1293 CNS 1:25.000

Le mie mani riposavano inerti sopra le ginocchia, ero seduto con la schiena appoggiata al
muro. Rivolto verso sud, vedevo un prato poco inclinato che terminava al limitare di un
bosco misto di abeti e betulle. Ero solo ed in silenzio, i suoni della natura parlavano per me.
Spaziando con gli occhi tutto il mio orizzonte, non avevo visto nulla fuori posto: perchè allora
mi sentivo così strano? Altre domande ronzavano come mosconi impazziti nella mia testa.
Cosa mi aveva portato così distante dalla mia auto? Quale motivo poteva giustificare ansie,
paure e fatiche per raggiungere il rudere, nei pressi del quale ero seduto? Ci stavo pensando
senza trovare risposte soddisfacenti. Luogo abbandonato e selvaggio, raggiunto da pochi
intimi estimatori, aveva visto anche me (così provato e intimorito) uscire dal bosco a passi
lenti. Fosse stato provvisto di occhi, avrebbe visto i miei. Se la luce, penetrata nelle sue
"carni", avesse vista quella emanata dal mio sguardo cosa ne avrebbe dedotto?
La mia felicità era evidente quanto l'ansia che mi faceva tremare le mani.
Appoggiato al mio pesante zaino, avevo pensato di mangiare qualcosa, ma poi non ne avevo
fatto nulla. Con un nodo allo stomaco, pensavo più a giustificare la mia presenza su questo
prato incolto, piuttosto che ad alimentarmi.
Quale era stata la causa scatenante (a parte il mio ego) che mi aveva portato sopra i dirupi
della parete Est a 1670m di quota?

"Il mio socio chiede se sei già stato all'alpe Metòn"  tutto era nato qualche giorno prima
da un semplice
messaggio W.A. "Poi ti mando due info...magari andiamo insieme se vuoi..."
Il mio istinto aveva declinato l'invito, sapendo con chi avevo a che fare, che altro dovevo
aspettarmi se non grossi guai? In quel momento ero in dolce compagnia, avevo preferito
godermi il momento,
piuttosto che le ansie che stavano montando veloci nella mia testa.
"Non ho più l'età nè la grinta!" era il solito obsoleto ritornello che mi ripetevo in questi casi.
Scartata in via definitiva l'eventualità di una simile escursione con quei due Lupi Mannari
(sempre a caccia di nuovi casini e vecchi ruderi), mi ero imposto pace e serenità.
Non si sa come c'ero riuscito ma poi, qualche giorno dopo, volendomi fare del male,
avevo chiesto lumi per una certa info che "qualcuno" avrebbe dovuto mandarmi.
Faccio l'orto (da buon pensionato), la zappa non mi manca, non la sapessi usare:
perchè dunque me l'ero tirata sui piedi?
Il giorno dopo, ricevuto quanto chiedevo, sapevo tutto quello che serviva. Il tarlo della
curiosità mi era entrata nelle vene. Col PC acceso e la cartina On-line della CNS, avevo
visto il mondo di dirupi che da Sciresa di Sopra (in Val d'Ambra), conduceva fino alla
Val di Bedri e poi su fino al Metòn.
Era bastato per fermarmi? Evidentemente no!
Scelta una "vittima innocente" da immolare sull'altare del mio insaziabile egocentrismo,
avevo chiamato Poncione per fare un primo giro esplorativo.
"Solo un assaggio, poi passo la palla a Froloccone e GM" mi ero detto, avrei dovuto
crederci?
Non mi ero neanche risposto.
Arrivati a 1496m di quota (oltre l'ultima cascina di Sciresa di Sopra), abbandonato il
sentiero per Trüsp, avevamo imboccato l'esile traccia in direzione WNW.
Dopo un centinaio di metri, essa si perdeva tra alberi caduti, sassi e casini vari.
"Buongiorno e addio!" avevo detto alla mia voglia di esplorare "che se la vedano loro".
Di chi stavo parlando era più che mai evidente. Fatte quattro foto,
avevamo proseguito il
cammino che ci avrebbe condotto, qualche ora dopo, al magnifico alpeggio di Cavalüm.
Le mie ansie avevano vinto (almeno così credevo), mi sentivo decisamente pronto a
dimenticarmi il Metòn e certe "amicizie"!
Chi ha detto "mai dire mai!" forse aveva pensato anche a me.
Nei giorni successivi il tarlo della Curiosità, spalleggiata da Esplorazione, avevano
minato quelle poche certezze pensavo di avere.
Giovedi 27 Aprile, a conferma dei miei dubbi, verso le 9:30 imboccavo il sentiero per la
Val di
Bedri. Districatomi tra le fronde degli alberi, avevo trovato l'antica  traccia
ridiventata evidente. Lasciando ometti ovunque per il ritorno e scavalcando i tanti alberi
morti, che caduti, avevano invaso il vecchio tracciato, ero arrivato ad una prima valletta.
Costeggiando ripide pareti, al margine di altre che precipitavano a poca distanza dai miei
piedi, ero infine giunto nell'alveo dell'intricata Val di Bedri. Soddisfatto e felice l'avevo
attraversata. Sapevo di essere a metà dell'opera ma i casini peggiori ancora dovevano
arrivare. Passato sull'altra sponda del torrente, avevo visto un sentierino che scendeva di
poco.
Nella testa avevo in mente resti di scalinate, pendii ripidissimi, rocce strapiombanti e
paure varie con denti affilatissimi. Le avevo cercate invano, ma senza avere indicazioni
precise su cui lavorare, me ne ero tornato all'ovile.
Giovedi 4 Maggio (in pieno delirio esplorativo) ero tornato sul luogo del delitto. Avevo
tutte le informazione che servivano e anche tanta paura in più che mi aveva accompagnato
dalla mattina presto. Seguito il sentierino in discesa, in breve esso si era ridotto ad un
semplice "niente"
da cercare con attenzione. Il bosco scendeva (neanche a dirlo) sempre
più ripido e pericoloso. Attraversato un rigolo d'acqua, mi ero ritrovato in un bosco rado e
zero sentieri. Cercato "a naso" il proseguo dello stesso, dopo tanta fatica, l'avevo ritrovato.
Risalendo il pendio che si era impennato ed esposto, tra rocce e abeti, ero giunto sulla
Costa del Metòn, a
due passi da qui.

Ancora seduto e appoggiato allo schienale dello zaino, esattamente dove ero già da un po',
stavo aspettando il momento buono per alzarmi e tornare al piano. La mattina ero partito
belando con i postumi di una notte insonne. La tensione per quello che mi apprestavo a fare
(da solo), aveva lasciato il segno. Il grido (sfuggitomi per caso) era invece echeggiato tra i
vecchi sassi dell'alpe quando l'avevo raggiunto.
Mi ero sentito un "duro", il vecchio duro di sempre: perchè allora non ero sulla via del ritorno?
Qualcosa mi sfuggiva senza sapere di cosa si trattasse. Ero certo che l'anello mancante (il più
importante) me l'ero perso, sempre più inquieto mi chiedevo quale esso fosse.
Poi all'improvviso, come un fulmine che squarcia il buio di una notte senza stelle, mi ero
ricordato! Come avessi potuto scordarmene francamente non lo sapevo, forse perchè tutto
era successo in modo traumatico ma estremamente in fretta.
Il mio corpo, (quasi) tutto il mio "IO", all'improvviso si era alzato lasciandomi dov'ero! Lo
scricchiolio del distacco, più insopportabile che mai, mi aveva "svuotato" di ogni energia.
Mentre te ne andavi da me col tuo zaino in spalla, mi ero accorto che TU ed IO non eravamo
più la stessa cosa!  Abbandonato tra questi vecchi ruderi che altro potevo fare se non urlare?
Tentando di alzarmi, senza riuscirci, mi ero sentito più impotente che mai. Sparito nella
profondità del bosco, senza più udire il rumore dei tuoi passi, la gravità dell'improvviso
inaspettato distacco era giunto infine al suo culmine.
Il ruggito del leone che ero stato fino a poco prima, si era trasformato nel vagito del bimbo
quale ora mi sentivo. Mescolate le lacrime al "vento" generato dal mio respiro, mi ero chiesto
per quale motivo tutto ciò era potuto succedere.
Il sole stava calando dietro gli abeti, presto sarebbe giunto il buio a tenermi compagnia.
Non riuscivo a muovermi, ma se avessi potuto toccarmi, ero certo che mi sarei sentito
impalpabile come un'ombra sul muro. Quale parte di "me", che ero stato fino a qualche ora
prima, era rimasta con questo vecchio alpeggio a condividerne il silenzio? Come potevo
saperlo? Lasciato qui come guardiano del tempo, ero in attesa che esso passasse alla svelta.
Sapevo (o erano solo speranze?) che presto saresti tornato a prendermi per proseguire il
viaggio con i tuoi due "soci". Nell'attesa che ciò avvenisse, quale era il mio compito fra
queste mura cadenti?
Ero il pegno lasciato da te a questo luogo, per ricordare che certi posti non vanno mai scordati?
Senza risposte certe, avevo visto affievolirsi anche l'ultima luce del giorno.
Nel buio e in trepidante attesa come un amante abbandonato, avevo appoggiato le mani
sull'erba fattasi umida. Tra le fronde, titubanti e timorosi gli animali notturni del bosco si
erano mostrati chiedendosi chi mai potessi essere, dovevo dunque presentarmi:
ma chi o cosa avrei dovuto dire loro che ero?













 










Tourengänger: Gabrio


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