Tête Rouge (2804 m)

Oggi torno nella stessa valle di settimana scorsa, quella del Gran San Bernardo, ma stavolta voglio andare ad esplorare il Vallon de Menouve. Non ho ancora bene in mente quale cima fare, ce ne sono molte, tutte facili sulla carta, lo deciderò nel corso della salita.

Con la macchina arrivo più in alto possibile (Prailles Dessous). In giro non c’è anima viva se non un gatto siamese che se ne sta tranquillo in mezzo alla strada! Il tempo è meno bello di quello che mi aspettavo, ma anche meno caldo di settimana scorsa, è questa è una buona cosa! Sono un po’ indeciso se portare le ciaspole con me, ma alla fine le metto sullo zaino insieme agli scarponi: la strada sarà molto lunga e andare con le scarpette è un bel vantaggio e compensa il maggior peso dello zaino, che comunque è un bel allenamento! Dopo poco incrocio i segnali del Tor, e mi riviene alla mente quando di qui passai, due anni fa, in gara e di notte, dopo essere sceso dal Col de Champillon, vagando senza capire dove stavo andando, se non guidato dalle balise! Incontro una mandria di mucche con due pastori, poi proseguo verso il Bivacco Molline: l’idea è di non andare da quella parte, ma voglio comunque dare uno sguardo a questa zona dove ho intenzione di tornare per provare a fare in solitaria il Mont Vélan dall’Arête d’Annibal, una bella gatta da pelare, ma anche una grandissima soddisfazione, nel caso dovessi riuscirci. Dormire al Bivacco Molline, in quella occasione, mi sembra imprescindibile, per poter affrontare la parte tecnica con tutto il tempo e la tranquillità. Così, mi incammino lungo la morena lungo il Vallon de Moline, senza tuttavia arrivare fino al bivacco: la mia meta, ho deciso, sarà una delle cime attorno al Col de Menouve, nell’adiacente vallone separato dalla cresta che scende dal Mont de Menouve. Così, riscendo un po’ e mi riporto sul lungo traverso che porta alle rovine della Tsa de Menouve. Da lì proseguo con facilità verso il Col Nord de Menouve. C’è solo un nevaio pianeggiante da attraversare, mentre il pendio finale è quasi completamente secco. Una volta raggiunto il colle, mi accorgo che dall’altra parte è pieno di gente – operai svizzeri che stanno smantellando la fatiscente cabinovia, portandola via con un elicottero. Mi sento un po’ fuori luogo, e velocemente mi dirigo alla mia meta, un punto quotato appena più a Ovest del colle, senza nome sulla carta, ma, volendo vedere, il punto culminante dei Bec Noirs. Con prudenza lo raggiungo, e lì mi fermo un attimo ad ammirare il panorama. Soffia il vento, in cresta. Il panorama è in parte nascosto da della nuvolaglia, in parte oscurato dal massiccio Mont Vélan. Decido così di scendere e di provare a fare un’altra delle cime sul confine, la Tête Vert o la Tête Rouge. La cresta che vi conduce direttamente è però corniciata, così devo scendere e risalire più avanti. Non torno al colle, ma mi calo direttamente sul ripido versante S della cima appena fatta. Scendo, cercando di stare il più alto possibile. Aggiro una crestina e riprendo a salire verso la Tête Rouge, cercando di seguire la via meno ripida. Più mi avvicino, più capisco che la Tête Rouge non è una cima vera e propria, ma, evidentemente, il punto in cui la cresta si biforca. Così, cosa che accade molto raramente, arrivo in vetta scendendo! Il panorama è più aperto di prima, anche se la nuvolaglia è sempre presente. Per la discesa, una volta raggiunto l’alpeggio di Tsa Nouva, decido di seguire la strada: decisamente più lunga, ma meno faticosa che ripercorrere il sentiero di salita.