Balfrin - Nordgipfel (3783 m)
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Del Balfrin me ne parlò un po’ di anni fa LaGazelle, secondo la quale era la più alta cima raggiungibile senza dover utilizzare materiale alpinistico. Ogni anno penso di andarci, dormendo alla Bordierhütte, ma poi finisce che non lo faccio. Ma quest’anno (che forse è l’ultimo in queste regioni) mi dico che non posso rimandarlo e così, visto che le previsioni per domani sono buone, chiamo in capanna e prenoto un posto per dormire. La rifugista mi dice che si cena alle 18 e si raccomanda di essere lì un po’ prima. Le rispondo che non c’è problema e metto giù. Di solito sono il primo ad arrivare in capanna, con tutti che invece salgono nel pomeriggio. Questa volta allora decido di prendermela con comodo, al mattino vado anche ad allenarmi un po’ con la corsa. All’una parto da Hérémence alla volta di Gasenried. Una volta arrivato lì e parcheggiato (il cartello all’ingresso del parcheggio recita “massimo 10 ore”, e quello è l’unico in paese, se si esclude un altro in cui il tempo è solo di un’ora – ma tutti quelli che vanno alla Bordierhütte di sicuro ci rimangono di più, mi dico, quindi faccio finta di nulla!), mi incammino ed arrivo al cartello con i tempi: sono le 2 e mezza ed il cartello recita 4h15 alla capanna. Accidenti, se davvero così arriverò alle 6 e tre quarti, che figuraccia! Così, prendo e salgo a tutta. Stavolta non ho portato con me le scarpe da trail, troppa la roba che ho con me nello zaino, quindi devo salire con i miei pesanti scarponi da alpinismo. Ad ogni cartello guadagno qualcosa. Ne ero convinto, ma tre quarti d’ora da recuperare sono tanti. Alla fine arriverò alle 5 e mezza, o giù di lì. Un po’ zuppo, ma in orario! Il tempo è brumoso, le nubi sono basse e le cime non si vedono, ma a quanto pare non c’è la neve che è caduta, in Val d’Hérens, sopra i 3000 metri e che temevo avrebbe potuto rendere più difficile la mia salita dell’indomani. Cena al tavolo con due svizzero-tedeschi, con cui parliamo in inglese di alcune cime dell’alto Vallese e delle nostre mete dell’indomani. Il capannaro ci porta le zuppiere con le varie portate, poi sta a noi distribuirci le porzioni: è questo il modo che amo, l’unico consono ad un rifugio e non ad un albergo! Dopo cena scambio quattro chiacchiere con tre modenesi che l’indomani vanno a fare il Nadelhorn. “Allora verrete con me fino al Balfrin” dico io. Ma l’itinerario che si sono studiati non passa affatto da lì, ma sta basso sul ghiacciaio. Io ricordo solo di qualche relazione qui su HIKR di gente che dopo il Balfrin aveva proseguito fino all’Ulrichshorn (per poi scendere a Saas Fee), ma non sono molto preparato, questa non è la “mia” zona!
Notte (quasi) insonne e caldissima. Sveglia alle 4, come da dettami del capannaro. A me pare inutilmente presto per una meta vicina come il Balfrin, ma in fondo sono qua e mi posso godere l’alba, dopo la salita nella notte. Colazione e qualche altra chiacchiera con i modenesi. Due francesi diretti al Balfrin partono all’improvviso. Io termino in fretta e furia i preparativi e mi metto al loro inseguimento. Una volta tanto, avere un riferimento non mi dispiace. Il primo tratto ha dei catarifrangenti, che con le frontali brillano nel buio. Amo andare in giro di notte in montagna. Negli ultratrail è il momento in cui mi sento meglio (se la privazione del sonno non prevale). Gli ometti prendono il posto dei catarifrangenti, dopo un cartello che indica il bivio verso il Bigerhorn. I francesi, con le loro frontali, sono sempre ben lontani, non ce la faccio a riprenderli. A poco a poco incomincia a far chiaro, poi ad albeggiare. Arrivo sulla cresta tra Klein e Gross Bigerhorn. Poco dopo spengo la frontale e raggiungo i francesi, che saluto e supero. Arrivo sul Gross Bigerhorn poco prima di loro. Ci facciamo i complimenti. La prima è fatta, mi dico. A questo punto vedo che loro si incordano. Oh, cavolo. Io non avevo pensato minimamente che le difficoltà richiedessero di procedere in cordata (in verità, non mi sono preparato quasi per nulla sulla salita, lo confesso, contavo di seguire semplicemente la cresta) e questo fatto mi mette a disagio. Con me non ho né imbrago né corda, neanche per fare una doppia. C’è da affrontare una placca che non mi piace per niente. Sotto di lei, un bel salto. Loro passano, io nel frattempo rifletto. Vedo un intaglio orizzontale e poi uno verticale, come una T. Mi sembra perfetto per passare in sicurezza. Evidentemente, tutti passano di qui. Scendo con la tecnica dell’incastro, che non avevo mai provato, in realtà, ma mi viene con grande naturalezza. Da qui, c’è da calarsi. I due lo fanno in cordata, io, appunto, una corda non ce l’ho, quindi devo studiare un’alternativa, e trovo una bella cengia che, con un zigzag, mi porta a superare il salto. Di qui in poi è una passeggiata. Fino a che la cresta diventa di ghiaccio. Chiedo alla capocordata francese come pensa di affrontarla, se lungo la dorsale o facendo un arco di cerchio, e lei mi dice che vedrà nel mentre. Mi rampono e parto qualche metro dopo di loro. La partenza è tranquilla, poi, seguendoli, finisco su un traverso ripido e con sotto il vuoto. Un centimetro sotto lo strato esterno c’è ghiaccio vivo. Fortunatamente ieri ho messo nello zaino i ramponi nuovi e la piccozza da cascata, ma la tensione è alta. Procedo lentamente, un passo dopo l’altro, in piolet traction. Ancora poco ed è fatta. Sono al sicuro. La cima N del Balfrin è qui. I due francesi sono molto più avanti, forse già sulla cima principale. Guardo la cresta. Mi sembra di vedere qualche passaggio difficile su roccia, ma, soprattutto, non mi sento tranquillo. Forse per la prima volta, decido di rinunciare alla vetta senza neanche andare a provarci. Faccio le foto ed inizio la discesa. Voglio però andare a vedere com’è stando ad W rispetto al filo di cresta. Dalla cartina sembra meno ripido il ghiacciaio. E, magia, lì c’è una traccia su sfasciumi. Una traccia che mi permette di arrivare alla base della dorsale senza toccare un metro di neve! Maledizione, averla vista in salita… In un attimo sono giù. A posteriori penso che, una volta aver capito che la discesa era fattibile, sarei potuto tornare sui miei passi. Non so perché non l’ho fatto. Tempo ne avevo. E a questo punto ero sereno. Ma poco importa, o meglio, poco deve importare. La vetta l’ho fatta, solo 12 metri più bassa di quella principale. Sì, il panorama verso S era parzialmente “impallato” dalla sagoma di quest’ultima, ma è una cosa che capita. L’ambiente era indubbiamente spettacolare, circondato com’ero da una sfilza di 4000. Una sola cosa mi restava da capire: com’era, alla fine, la cresta per andare al Balfrin? Per saperlo devo aspettare qualcuno che torni da là e chiederglielo. Io nel frattempo sono di nuovo sul Gross Bigerhorn e, tanto per mettere un’altra cima nel mio sacco, salgo anche il Klein Bigerhorn, con una brevissima deviazione dal percorso, giusto un centinaio di metri. Da lontano vedo arrivare 3 persone. Sembrano i modenesi, ma che ci fanno qui? Mi siedo, mangio qualcosa e li aspetto. Una volta lì, chiedo loro che cos’è successo. Il capocordata mi dice che salendo la spalla dell’Ulrichshorn il secondo di cordata è finito in un crepaccio, dentro di 2 metri. Hanno preparato un paranco e dopo una ventina di minuti l’hanno recuperato. A quel punto, deciso di tornare indietro, ed avendo penato per arrivare fin lì, si ricorda di me che ieri sera gli avevo detto che dal Balfrin si può andare facilmente all’Ulrichshorn e così salgono la cresta S del Balfrin e da lì fino al Bigerhorn. A questo punto gli chiedo com’era la cresta N del Balfrin, quella che non me l’ero sentito di fare, e mi dice che il passaggio più difficile era proprio quello per salire sul Bigerhorn. Se avevo fatto quello, non avrei avuto problemi a fare il Balfrin. A questo punto mi sale il rammarico, ma tant’è, se ho preso questa decisione è stato giusto così. Insieme, scendiamo. Sono simpatici, chiacchieriamo della passione comune per le montagne. Al rifugio, il capannaro dice che ormai da una decina d’anni nessuno sale più da qui per fare il Nadelhorn, il ghiacciaio è in pessime condizioni. Strano, dice il modenese, la relazione che ha studiato era di pochi giorni prima! Scendo con loro fino alla macchina. Non mi capita quasi mai di avere compagnia, in montagna. E, per quanto ami la solitudine, è anche bello condividere!
Una giornata strana, insomma. Una decisione non decisione. Una cima non cima. Ad ogni modo, con i suoi 3783 metri, questa è la più alta che abbia mai fatto in solitaria! Ed il panorama da lassù era bello, bellissimo.

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