Cime di Rogneda: attraversata della Corna Nera
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La città di Sondrio, allo sbocco della Valmalenco, è dominata al lato orientale dalle pendici della Corna Mara, da cui si diparte la lunghissima cresta che culmina nel Pizzo Scalino: alpinisticamente, esclusi i già nominati Corna Mara e Pizzo Scalino e la popolare Vetta di Ron, le altre vette risultano piuttosto trascurate per la preponderanza delle mete più conosciute, la laboriosità di avvicinamento e la oggettiva difficoltà tecnica a causa della cattiva qualità della roccia. Fra queste mete (inspiegabilmente) secondarie abbiamo inizialmente scelto di salire le due Cime di Rogneda; poi, conseguentemente al fatto che abbiamo trovato il percorso segnalato con una parca bollatura rossa (proprio il minimo in dispensabile!), abbiamo deciso di trascurare la più bassa cima occidentale (Corna Rossa) per effettuare la traversata della cima orientale (Corna Nera). Panorama immenso, del tutto paragonabile a quello - celebrato - osservabile dal Sasso Nero, ma con il difetto veniale di essere un po' troppo lontano dal gruppo del Bernina.
Le difficoltà indicate si riferiscono specialmente al percorso di discesa dalla Corna Nera, con passaggi su roccia fragile, molto erbosa e prati ripidissimi; andata e ritorno per la via di salita normale, al contrario, non superano il T4-, ma solo a causa del lungo canalone di detrito medio-piccolo fortemente instabile.
Dal parcheggio presso Boirolo si cammina lungamente sul proseguimento della pista (ora solo per i veicoli autorizzati) oltrepassando il pianoro di Biazza e poi quello di Santo Stefano, con la sua antichissima chiesetta ed un ristoro ANA. La carrozzabile, fin qui assai ripida, spiana un poco proseguendo verso la testata della Valle della Rogna; dopo qualche tornante si raggiunge l'alpeggio di Q 1969 e, con nuovi strappi in salita, si arriva all' Alpe Rogneda, dove la pista si sdoppia (a destra la via di ritorno). A sinistra, affiancando una torbiera e un vasto manufatto relativo all'acquedotto, si va ad imboccare la traccia di sentiero che si dirige alla visibile Bocchetta del Torresello; dopo aver comodamente guadagnato un po' di quota, senza alcuna specifica indicazione, si può notare uno sdoppiamento della bollatura CAI: quella obsoleta tende a sinistra verso la bocchetta, l'altra - molto più fresca ma anche molto più dilatata nello spazio - continua nella risalita dei pascoli evitando il più possibile gande e colate detritiche. La direzione di massima è già molto evidente: le poche tracce di passaggio e i rari bolli si dirigono alla base dell'ampio canalone pietroso dominato dalle due Cime di Rogneda, che, con la loro incessante disgregazione, lo mantengono attivo. Nella risalita dell'instabile pendio - stante il fatto che spesso i segnali si possono scorgere solo nelle immediate vicinanze - occorre prendere di mira dapprima un grosso masso rosso a circa metà percorso e successivamente l'enorme roccia cubica sul crinale: fra una meta e l'altra occorre salire dove meglio possibile, sfruttando anche qualche limitata striscia di fragile pascolo e tenendo conto del fatto che gli appoggi dei passi di un primo escursionista difficilmente rimarranno stabili al passaggio del secondo. Al termine del canalone, in corrispondenza di una fascia di rocce rotte, compare una vecchissima segnalazione a vernice bianca indicante il cambio di direzione per le due diverse Corne (Rossa a sinistra e Nera a destra). Proseguendo lungo la segnaletica attuale, si tende ad attraversare lungo un sistema di cengette sul versante meridionale fino alla base di un obelisco monolitico sulla cresta, che da qui viene percorsa sul comodo filo trovando i passaggi più comodi fra le rocce accatastate. Poche decine di metri separano dal voluminoso ometto di pietre sulla vetta: è possibile raggiungerlo salendo una accessibile costolatura di rocce, oppure seguendo un canalino sabbioso sulla sinistra con tracce di passaggio [A mio avviso il canalino è vantaggioso solo in condizioni di stabilità come quelle che abbiamo trovato noi, col detrito cementato dal gelo].
Il ritorno per la via di salita è sicuramente più breve e veloce, sfruttando il canalone per lunghe "sciate", facendo comunque molta attenzione a non innescare frane superficiali.
L'alternativa inaspettata (non ho trovato nulla in proposito) si rivela solo in cima: una freccetta bifronte rossa indica la possibilità di scendere direttamente la parete sud; confidando in una precisione di indicazioni paragonabile a quella di salita, decidiamo di provare la novità. Scesi i primi metri lungo un piccolo pascolo inclinato, ci si addentra in una successione di canalini delicati (appigli e appoggi instabili od erbosi, comunque da verificare prima di confidarvi) e cenge ghiaiose che spostano la direzione di discesa a est, verso la convalle che ospita quello che rimane del Lago di Rogneda. Oltrepassata la fascia rocciosa sommitale, si prosegue nello spostamento attraversando ripidi pascoli separati da facili canaloni franosi, ma ormai la pendenza va progressivamente scemando e non resta che affrontare un'insidiosa area di ganda medio-grande con una fitta vegetazione di rododendri e ginepri a nascondere pericolosi vuoti. Affiancato il misero emissario del Lago di Rogneda, si trova una traccia di sentiero che in breve va a confluire, nei pressi di una casera con stallone, nella pista secondaria dell'Alpe Rogneda. Da qui per la via di salita.
https://www.relive.cc/view/g25461597178
Le difficoltà indicate si riferiscono specialmente al percorso di discesa dalla Corna Nera, con passaggi su roccia fragile, molto erbosa e prati ripidissimi; andata e ritorno per la via di salita normale, al contrario, non superano il T4-, ma solo a causa del lungo canalone di detrito medio-piccolo fortemente instabile.
Dal parcheggio presso Boirolo si cammina lungamente sul proseguimento della pista (ora solo per i veicoli autorizzati) oltrepassando il pianoro di Biazza e poi quello di Santo Stefano, con la sua antichissima chiesetta ed un ristoro ANA. La carrozzabile, fin qui assai ripida, spiana un poco proseguendo verso la testata della Valle della Rogna; dopo qualche tornante si raggiunge l'alpeggio di Q 1969 e, con nuovi strappi in salita, si arriva all' Alpe Rogneda, dove la pista si sdoppia (a destra la via di ritorno). A sinistra, affiancando una torbiera e un vasto manufatto relativo all'acquedotto, si va ad imboccare la traccia di sentiero che si dirige alla visibile Bocchetta del Torresello; dopo aver comodamente guadagnato un po' di quota, senza alcuna specifica indicazione, si può notare uno sdoppiamento della bollatura CAI: quella obsoleta tende a sinistra verso la bocchetta, l'altra - molto più fresca ma anche molto più dilatata nello spazio - continua nella risalita dei pascoli evitando il più possibile gande e colate detritiche. La direzione di massima è già molto evidente: le poche tracce di passaggio e i rari bolli si dirigono alla base dell'ampio canalone pietroso dominato dalle due Cime di Rogneda, che, con la loro incessante disgregazione, lo mantengono attivo. Nella risalita dell'instabile pendio - stante il fatto che spesso i segnali si possono scorgere solo nelle immediate vicinanze - occorre prendere di mira dapprima un grosso masso rosso a circa metà percorso e successivamente l'enorme roccia cubica sul crinale: fra una meta e l'altra occorre salire dove meglio possibile, sfruttando anche qualche limitata striscia di fragile pascolo e tenendo conto del fatto che gli appoggi dei passi di un primo escursionista difficilmente rimarranno stabili al passaggio del secondo. Al termine del canalone, in corrispondenza di una fascia di rocce rotte, compare una vecchissima segnalazione a vernice bianca indicante il cambio di direzione per le due diverse Corne (Rossa a sinistra e Nera a destra). Proseguendo lungo la segnaletica attuale, si tende ad attraversare lungo un sistema di cengette sul versante meridionale fino alla base di un obelisco monolitico sulla cresta, che da qui viene percorsa sul comodo filo trovando i passaggi più comodi fra le rocce accatastate. Poche decine di metri separano dal voluminoso ometto di pietre sulla vetta: è possibile raggiungerlo salendo una accessibile costolatura di rocce, oppure seguendo un canalino sabbioso sulla sinistra con tracce di passaggio [A mio avviso il canalino è vantaggioso solo in condizioni di stabilità come quelle che abbiamo trovato noi, col detrito cementato dal gelo].
Il ritorno per la via di salita è sicuramente più breve e veloce, sfruttando il canalone per lunghe "sciate", facendo comunque molta attenzione a non innescare frane superficiali.
L'alternativa inaspettata (non ho trovato nulla in proposito) si rivela solo in cima: una freccetta bifronte rossa indica la possibilità di scendere direttamente la parete sud; confidando in una precisione di indicazioni paragonabile a quella di salita, decidiamo di provare la novità. Scesi i primi metri lungo un piccolo pascolo inclinato, ci si addentra in una successione di canalini delicati (appigli e appoggi instabili od erbosi, comunque da verificare prima di confidarvi) e cenge ghiaiose che spostano la direzione di discesa a est, verso la convalle che ospita quello che rimane del Lago di Rogneda. Oltrepassata la fascia rocciosa sommitale, si prosegue nello spostamento attraversando ripidi pascoli separati da facili canaloni franosi, ma ormai la pendenza va progressivamente scemando e non resta che affrontare un'insidiosa area di ganda medio-grande con una fitta vegetazione di rododendri e ginepri a nascondere pericolosi vuoti. Affiancato il misero emissario del Lago di Rogneda, si trova una traccia di sentiero che in breve va a confluire, nei pressi di una casera con stallone, nella pista secondaria dell'Alpe Rogneda. Da qui per la via di salita.
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