Giro del Confinale - una variazione sul tema


Publiziert von cornobobo , 19. August 2018 um 13:08.

Region: Welt » Italien » Lombardei
Tour Datum:15 August 2018
Wandern Schwierigkeit: T3 - anspruchsvolles Bergwandern
Wegpunkte:
Geo-Tags: I   Gruppo Monte Cevedale 
Zeitbedarf: 2 Tage
Unterkunftmöglichkeiten:Rifugio Pizzini

Con Ferragosto arriva la per me rara opportunità di imbastire un'uscita di due giorni... e, come ogni opportunità che si rispetti, mi trova completamente impreparato.

Dove andare?
L'anno scorso dal cilindro era uscita una splendida escursione ad anello tra val Grosina, laghetti svizzeri e valle d'Avedo, con pernottamento al rifugio Federico in Dosdè. Ve la racconterò forse un giorno, comunque davvero difficile da eguagliare per bellezza e per beatitudine sperimentata.

Quest'anno mi sono davvero ridotto all'ultimo, non mi resta che chiedere a Google: "trekking 2 giorni lombardia"
Vengo così a conoscenza di questo "Giro del Confinale" che ha persino un sito internet tutto suo. L'anello si sviluppa all'estrema propaggine nord orientale della Regione; sono zone che non conosco perchè troppo lontane da casa. I nomi suonano familiari: Zebrù, Cevedale, Forni, nomi che capita di sentire anche a chi non mastica troppa montagna.
Il sito è fatto bene, colorato, accattivante, sembra davvero qualcosa da non perdere. Parla di due possibilità per il giro: una 3 giorni con tappe di 4/6 ore ed una ridotta ma "adrenalinica" 2 giorni di 6/8 ore, roba da "veri sportivi". Mah.. valutando dislivelli e distanze le indicazioni non mi convincono.
Decido di ritagliarmi il giro su misura facendo in due giorni l'anello che parte da Niblogo e pernottando al rifugio Pizzini che si trova a metà strada, concentrando così lo sforzo maggiore nella prima giornata, dormendo in un contesto decisamente più attraente del palazzone dei Forni, e lasciandomi "riposare" la seconda, prima di rientrare al lavoro.

[Prima giornata]
Mattina del 15 agosto, alle 8.30 sono a Niblogo (1600 mt), riesco giusto a infilare l'auto nel parcheggio già saturo. Il V° alpini viene dato a 5 ore, io ne ho preventivate 3 e mezza.
Il primo tratto è su sterrata piuttosto ampia, numerose jeep fanno avanti e indietro, mi tocca persino indietreggiare perchè c'è un ingorgo. Già lo avevo messo in conto, ma ho la conferma inequivocabile che in questo trek non troverò tutta la tranquillità a cui aspiro. Pazienza, il pensiero non basta a distogliermi dall'impressionante vista delle frastagliatissime Cime di Campo, ricordano una cattedrale gotica. Ah, se solo ne fossi capace, come sarebbe bello perdersi tra quelle guglie, chissà quanti anfratti mai toccati da uomo e che pace in quei nascondigli.
Il percorso si srotola gentile fino ad aprirsi in prossimità del rifugio Campo a quota 2000. Il luogo, con ristorantino ombrelloni e sdraio, sembra piuttosto turistico ma sorprendentemente non c'è nessuno in giro, dove sono finite tutte quelle jeep di prima? E' già passata un'ora e mezza e il rifugio V° Alpini viene indicato a 3 ore, cavolo, forse ho fatto male i conti. Qui la pendenza inizia ad accentuarsi e la vegetazione a diradarsi. Faccio il pieno all'ultima fontanella in prossimità di un'area picnic (Baita Pastore, 2168mt)  dove inizia l'ascesa al rifugio che è ben visibile da sotto. Breve sosta informativa al vecchio bivacco città di Cantù, ora usato come ripostiglio, poi via con l'ultimo strappo. Arrivo al V° alpini (2877mt) che sono le 11.15, ovvero in 2h45m da Niblogo avendo percorso le presunte 3h dal rifugio Campo in meno della metà... queste indicazioni non hanno alcun senso, non per me perlomeno.
Lì al V° vale come minimo la pena salire un'altra quarantina di metri per fotografare i simpatici tetti gialli e per avere un assaggio di ghiacciaio, potendo sbirciare la vedretta di Zebrù.

Riparto alle 11.45 in direzione del Pizzini dato a 2h50m. Nel frattempo si è formata una vera e propria processione schiamazzante di gitanti in risalita, passa anche la voglia di salutare. Deviazione a sinistra per il sentiero stretto che conduce verso la conca conclusiva della valle Zebrù.
Lì l'ambiente è finalmente selvaggio e il rumor bianco dei numerosi corsi d'acqua viene a malapena scalfito dal brusio dei passanti. Un gruppo di stambecchi appollaiati sulle rocce sono l'attrazione locale, mi fermo sotto quell'anfiteatro per un breve sonnellino. Riprendo la marcia alle 13.30, si sta tutto rannuvolando, in mezz'ora si arriva all'unico tratto T3 del percorso: piuttosto ripido, è attrezzato con corde.. ma nulla di che, specie se non c'è neve e se affrontato in salita. Da lì a poco si è ai Passi di Zebrù, dove la vista tutt'intorno è veramente spettacolare e non basta un po' di vento freddo a togliere la voglia di avventurarsi sulla cresta cercando il punto migliore per una foto.
Il rifugio Pizzini (2706 mt) è li sotto, neanche a mezz'ora, e sono solo le 14.30; contemplo addirittura per un attimo la possibilità di chiudere il giro in giornata, stimando in altre 5 ore il rientro a Niblogo. Ma ho già prenotato al Pizzini e poi che senso ha, cos'è questa smania di tornare a valle? Mi sa che non ci sono con la testa, sarà l'ipossia.
Inizio una lenta discesa al rifugio, girovagando per i prati, inseguendo una macchia di sole che puntualmente svanisce. Un elicottero va a recuperare qualcuno poco sotto il Cevedale, spero nulla di grave; osservo il ghiacciaio e le sue mille rughe, pur con la sua aria stanca incute riverenza, non è un volto che vorrei accarezzare.
Decido che è ora di presentarsi al rifugio, il gestore è cordiale ma non mi legge giusto, cerca di introdurmi alle persone, perlopiù donne, con le quali dormirò, mi strizza l'occhio.
Attendo la cena sfogliando qualche vecchio numero di Orobie, mi cade l'occhio su una riflessione firmata Claudio Calzana, la domanda che ne dà spunto è "dove inizia la montagna?"; la sua risposta, solo una delle possibili ma di certo convincente: "la montagna comincia là dove si saluta chi come noi ama andare a spasso per sentieri".
Beh, oggi la mia scorta di saluti è terminata e non appena scopro che il posto a tavola che mi è stato assegnato è tra i compagni di camerata, rude e istintiva è la reazione di farmi spostare "per i cavoli miei" su un altro tavolo. Terminata la cena, non trovando adeguata scappatoia nella lettura, mi rifugio in un sonno carico di sogni.

[Seconda giornata]
Dopo breve chiacchierata con il gestore accetto il suggerimento di raggiungere il rifugio Casati prima di iniziare la lunga discesa. Parto di lì che saranno le 7.40, incrocio un paio di persone di rientro, penso che si siano dovuti alzare molto presto, come minimo alle 5, per godersi l'alba. Noto in particolare una ragazza, l'avevo già osservata la sera prima al Pizzini, è sola, ha un'aria distante, non triste, direi piuttosto.. distrutta. La saluto con un "ciao" che provo a riempire di calore, ricevo in cambio un'occhiata distratta, forse un farfuglio e quell'espressione, come un grugno di dolore. Se vediamo qualcuno per terra con un ginocchio sbucciato ci prodighiamo in cure e affettazioni, diamo così tanto valore a un danno fisico del tutto transitorio... ma se vediamo, o pensiamo di vedere, una persona che soffre nell'animo allora non ci intromettiamo, pensiamo quella persona debba farcela da sola, o che sia pazza. O che i pazzi siamo noi.
Per fortuna arriva la salita a togliere ossigeno a questi pensieri.
L'ascesa al Casati è fattibile quasi per tutti ma è tosta, ci sono strappi ripidi, disagevole in particolare la discesa. Il rifugio in sè (3254 mt), che non si vede dalla valle di Cedec (quello che si scorge è il fratellino, il bivacco invernale Guasti), è francamente un pugno in un occhio, lo si può apprezzare solo attraverso la lente della storia e delle possibilità alpinistiche che offre. Da lì si può arrivare in mezz'ora, su sentiero apparentemente facile, alla cima di Solda, da cui ammirare ancora da più vicino il Gran Zebrù e spaziando con la vista sulle vallate a Nord-Ovest. Per me invece è arrivato il momento della discesa.
Alle 10 in punto sono di nuovo al Pizzini che si sta riempiendo di avventori, dopo poco più di un'ora sto passando sopra il grand hotel dei Forni e qui, a quota 2200mt circa, inizia il lungo falsopiano di ritorno a Niblogo. Percorrerlo  ha senso solo per i brevi tratti che dalla valle consentono di raggiungere il Confinale e i suoi laghetti. Mi annoio, così decido di forzare il passo, pur senza correre, e alle 15.30 sono a Niblogo, dove ad attendermi ci sono i 35° del fondovalle (contro i 5° di quella stessa mattina) e una bella tendinite.

[Conclusione]
Il semigiro da Niblogo al Rifugio Forni è paesaggisticamente meritevole e il percorso è molto semplice, quasi tutto T2, quindi assolutamente privo di stress (ma anche della famosa "adrenalina" menzionata dal sito).
Ovvio, non mi sento di consigliarlo a chi cerchi un po' di isolamento, non nel picco del periodo estivo.
La parte dai Forni a Niblogo si può assolutamente saltare e, volendo, l'esperienza si può condensare in una sola scarpinata di 7-8 ore avendo la possibilità di un collegamento su strada tra il rifugio Forni e Niblogo.

Tourengänger: cornobobo


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Kommentare (1)


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Menek hat gesagt:
Gesendet am 19. August 2018 um 13:48
belle foto, panorama tipicamente alpino.
saluti
Menek


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