La Valtravaglia, i boschi selvaggi, le bestie feroci
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Mi sembra di aver già detto di una certa propensione nel perdermi e vagare per boschi. Di quel misto di adrenalina, paura, eccitazione dei sensi, libertà e meraviglia nel trovarmi disperso nella natura selvaggia. Eppure oggi doveva essere una gita tranquilla, una passeggiata o giù di lì per visitare due cimette mancanti alla collezione delle elevazioni prealpine della provincia di Varese.
Giunto in auto a Mesenzana, trovo un buon parcheggio alla Chiesa e scendo a piedi in paese alla ricerca dei segnavia del "trekking Insubries" di cui tanto ho letto bene. Non trovandoli, ritorno sui miei passi e salgo a Brissago Valtravaglia, camminando per un paio di chilometri sulla provinciale. Ecco, all'inizio del villaggio, i primi segnavia. Li seguo, salgo ancora per ameni viottoli e inforco un sentiero che si abbassa in un vallone. Passo alcune costruzioni diroccate nel bosco, una specie di spettrale borgo dimenticato, poi guado un primo torrente non senza qualche patema. Un ulteriore segnavia indica a destra per località San Michele, la mia meta intermedia verso i monti Pian Nave.
In pochi minuti sono nella natura selvaggia avendo perso ogni traccia di sentiero che si possa dire tale. Contravvenendo alle elementari regole di un cosciente escursionismo non torno sui miei passi ma faccio da me, arrancando su pendii boscati alla ricerca di una pista. Che alla fine individuo e ricomincio a salire. Un tempo questa doveva essere una stradina per boscaioli ma oggi è una traccia invasata dalla vegetazione e da un'infinità di piante cadute.
Causa anche l'esagerato caldo, la salita è durissima. Ad un tratto rumori nel bosco mi fanno acuire lo sguardo e intercetto un cucciolo di ungolato, probabilmente camoscio che mi tiene d'occhio. Approfitto per una pausa e riesco anche a fargli una foto.
Continuo a salire senza tregua sino, finalmente, ad uscire sulla tagliafuoco che corre a mezza costa del San Martino. Ora, di buon passo, il procedere è rilassante sino a San Michele dove mi fermo per uno sguardo.
Prima con una sterrata, poi con un ottimo sentiero segnalato, salgo alla larga sella che divide i due monti Pian Nave, Sud e Nord. In quest'ordine raggiungo le due cime, giusto per dire di esserci stato e quindi torno giù a San Michele, fermandomi ogni tanto ad ammirare lo splendido panorama sul lago Maggiore e monti che lo sovrastano.
Un altro cartello del Trekking Insubries mi tenta. Qualcosa mi dice che non lo dovrei fare però lo faccio e mi infilo sul sentiero che scende velocissimo nel vallone.
Stessa trama dell'andata: in breve sono disperso nel bosco! Un'esile traccia va e viene scende rimanendo alta sul torrente che solca il vallone. La seguo. In alcuni tratti è franata, ovunque ostruita da piante cadute, scivolosa sempre, esposta neanche a dirlo. I guadi non si contano e gli incontri con ungolati mamme e prole sono numerosi e ogni volta emozionanti.
Proprio quando il sentiero si allarga e si direbbe di essere fuori dai pasticci, lo stesso si disperde (è evidente che il trekking segnalato non è questo) e mi trovo a vagare nel bosco senza alcun riferimento.
Ancora rumori da dietro un cespuglio, mi fermo ad osservare: una perfetta fila indiana di cuccioli di cinghiale procede a poche decine di metri da me. Non attendo di vedere la vecchia che immagino mi stia tenendo d'occhio da tempo e che non gradisca troppo la mia presenza, faccio un rapido dietro front e comincio a scendere (rotolare sarebbe il verbo giusto) giù dal pendio.
Un colpo di fortuna perché qualche centinaio di metri più in basso intercetto una pista agricola abbandonata che seguo sino a portarmi ad intercettare un sentiero bollato.
Seguo questo sentiero ormai rilassato sino a giungere ad un punto dove comincia, ahimè, a risalire portandosi lontano da quella che sembrerebbe la mia direzione. Uno sguardo a NE mi fa intercettare su una costa il paese di Brissago. La meta è vicina e decido di raggiungerla nel modo più diretto possibile.
Per un pendio assurdo scendo al fiume dove il guado è da esploratore della giungla. Con i piedi fradici, risalgo dall'altra parte e arrampicandomi sulla costa del pendio grazie a qualche pianta che uso da maniglia, esco su una cresta. Il paese non può essere lontano, mi dico e fiducioso continuo.
Brutta sorpresa: la costa ove risiede Brissago è davanti a me ma un altro vallone, profondissimo, mi separa da lei. Si prospetta un ritorno e la cosa mi abbatte. sono stanchissimo e comincia ad essere tardi.
Con la forza delle parolacce mi avvio sino ad intercettare un punto dove la discesa e relativa risalita sembrano possibili. Altre ansie da discesa, altri guadi, altro fango che neanche le sabbie mobili, altra salita che vorrei morire, altri sospettosissimi rumori nel bosco. Qualcuno mi osserva, da tempo. Non si vede, ma si capisce. E alla fine, quando lo scoraggione sembra aver la meglio, ecco una traccia che poi diventa un sentiero e poi una stradina e poi una asfaltata e poi Brissago.
La discesa a Mesenza è ora una felicità arrostita dal sole che brucia la testa dove la memoria mi fa vedere il film di questa giornata che doveva essere, perché io non lo so se, come diceva Dostoevskij, la bellezza salverà il mondo ma so che questa bellezza, questa avventura, questa selvaggità che pareva di essere in Val Grande o in Sila o alla fine dell'Universo, di sicuro salverà me stesso.
Sviluppo: 15 km circa; SE: 24 km circa.
Saliscendi compresi, 30 minuti di pause complessive.
Giunto in auto a Mesenzana, trovo un buon parcheggio alla Chiesa e scendo a piedi in paese alla ricerca dei segnavia del "trekking Insubries" di cui tanto ho letto bene. Non trovandoli, ritorno sui miei passi e salgo a Brissago Valtravaglia, camminando per un paio di chilometri sulla provinciale. Ecco, all'inizio del villaggio, i primi segnavia. Li seguo, salgo ancora per ameni viottoli e inforco un sentiero che si abbassa in un vallone. Passo alcune costruzioni diroccate nel bosco, una specie di spettrale borgo dimenticato, poi guado un primo torrente non senza qualche patema. Un ulteriore segnavia indica a destra per località San Michele, la mia meta intermedia verso i monti Pian Nave.
In pochi minuti sono nella natura selvaggia avendo perso ogni traccia di sentiero che si possa dire tale. Contravvenendo alle elementari regole di un cosciente escursionismo non torno sui miei passi ma faccio da me, arrancando su pendii boscati alla ricerca di una pista. Che alla fine individuo e ricomincio a salire. Un tempo questa doveva essere una stradina per boscaioli ma oggi è una traccia invasata dalla vegetazione e da un'infinità di piante cadute.
Causa anche l'esagerato caldo, la salita è durissima. Ad un tratto rumori nel bosco mi fanno acuire lo sguardo e intercetto un cucciolo di ungolato, probabilmente camoscio che mi tiene d'occhio. Approfitto per una pausa e riesco anche a fargli una foto.
Continuo a salire senza tregua sino, finalmente, ad uscire sulla tagliafuoco che corre a mezza costa del San Martino. Ora, di buon passo, il procedere è rilassante sino a San Michele dove mi fermo per uno sguardo.
Prima con una sterrata, poi con un ottimo sentiero segnalato, salgo alla larga sella che divide i due monti Pian Nave, Sud e Nord. In quest'ordine raggiungo le due cime, giusto per dire di esserci stato e quindi torno giù a San Michele, fermandomi ogni tanto ad ammirare lo splendido panorama sul lago Maggiore e monti che lo sovrastano.
Un altro cartello del Trekking Insubries mi tenta. Qualcosa mi dice che non lo dovrei fare però lo faccio e mi infilo sul sentiero che scende velocissimo nel vallone.
Stessa trama dell'andata: in breve sono disperso nel bosco! Un'esile traccia va e viene scende rimanendo alta sul torrente che solca il vallone. La seguo. In alcuni tratti è franata, ovunque ostruita da piante cadute, scivolosa sempre, esposta neanche a dirlo. I guadi non si contano e gli incontri con ungolati mamme e prole sono numerosi e ogni volta emozionanti.
Proprio quando il sentiero si allarga e si direbbe di essere fuori dai pasticci, lo stesso si disperde (è evidente che il trekking segnalato non è questo) e mi trovo a vagare nel bosco senza alcun riferimento.
Ancora rumori da dietro un cespuglio, mi fermo ad osservare: una perfetta fila indiana di cuccioli di cinghiale procede a poche decine di metri da me. Non attendo di vedere la vecchia che immagino mi stia tenendo d'occhio da tempo e che non gradisca troppo la mia presenza, faccio un rapido dietro front e comincio a scendere (rotolare sarebbe il verbo giusto) giù dal pendio.
Un colpo di fortuna perché qualche centinaio di metri più in basso intercetto una pista agricola abbandonata che seguo sino a portarmi ad intercettare un sentiero bollato.
Seguo questo sentiero ormai rilassato sino a giungere ad un punto dove comincia, ahimè, a risalire portandosi lontano da quella che sembrerebbe la mia direzione. Uno sguardo a NE mi fa intercettare su una costa il paese di Brissago. La meta è vicina e decido di raggiungerla nel modo più diretto possibile.
Per un pendio assurdo scendo al fiume dove il guado è da esploratore della giungla. Con i piedi fradici, risalgo dall'altra parte e arrampicandomi sulla costa del pendio grazie a qualche pianta che uso da maniglia, esco su una cresta. Il paese non può essere lontano, mi dico e fiducioso continuo.
Brutta sorpresa: la costa ove risiede Brissago è davanti a me ma un altro vallone, profondissimo, mi separa da lei. Si prospetta un ritorno e la cosa mi abbatte. sono stanchissimo e comincia ad essere tardi.
Con la forza delle parolacce mi avvio sino ad intercettare un punto dove la discesa e relativa risalita sembrano possibili. Altre ansie da discesa, altri guadi, altro fango che neanche le sabbie mobili, altra salita che vorrei morire, altri sospettosissimi rumori nel bosco. Qualcuno mi osserva, da tempo. Non si vede, ma si capisce. E alla fine, quando lo scoraggione sembra aver la meglio, ecco una traccia che poi diventa un sentiero e poi una stradina e poi una asfaltata e poi Brissago.
La discesa a Mesenza è ora una felicità arrostita dal sole che brucia la testa dove la memoria mi fa vedere il film di questa giornata che doveva essere, perché io non lo so se, come diceva Dostoevskij, la bellezza salverà il mondo ma so che questa bellezza, questa avventura, questa selvaggità che pareva di essere in Val Grande o in Sila o alla fine dell'Universo, di sicuro salverà me stesso.
Sviluppo: 15 km circa; SE: 24 km circa.
Saliscendi compresi, 30 minuti di pause complessive.
Tourengänger:
rochi

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