Resegone - Creste sud - La Passata - Passo del Fò - Malnago


Publiziert von daniered , 10. August 2016 um 20:32.

Region: Welt » Italien » Lombardei
Tour Datum: 8 August 2016
Wandern Schwierigkeit: T3 - anspruchsvolles Bergwandern
Wegpunkte:
Geo-Tags: I 
Zeitbedarf: 3:15
Aufstieg: 171 m
Abstieg: 1446 m
Zufahrt zum Ausgangspunkt:A piedi :)
Zufahrt zum Ankunftspunkt:Da qualunque parte si arrivi a Lecco, seguire la diramazione della SS36 che porta in Valsassina e abbandonarla all'uscita per Versasio/Piani d'Erna. Da lì poi mancano non più di 5 minuti di strada, che con ampi tornanti conduce al piazzale della funivia dei piani d'Erna.
Kartennummer:Kompass Lecco e Val Brembana

Vedi anche: Video discesa

Ripreso fiato per una mezz'oretta, dopo aver percorso le creste nord del Resegone, è il momento di iniziare la discesa. Sono le 4 del pomeriggio, il sole non tramonterà prima delle 8 e mezza, per cui c'è tutto il tempo per completare l'intinerario con le creste sud, ritornare al passo del Fò e poi scendere a Malnago a recuperare la macchina, sperando che nel frattempo non sia stata rimossa dei vigili, essendo stata abbandonata in sospetto divieto di sosta.

Ormai sono rimasto da solo davanti all'altare della vetta, do un ultimo sguardo a 360° e poi discendo gli scalini che in poco più un minuto conducono al rifugio Azzoni, dall'inconfondibile vernice rossa che il sole ha sbiadito e trasformato in un improbabile rosa antico. Si cammina brevemente in falsopiano e poi si scende su fondo friabile a una piccola selletta, da cui si abbassa il sentiero 571 per Morterone e Brumano. Non è lì che sono diretto, ma forse sarebbe stato meglio, perché il segnatempo indica ben 2 ore e mezza per la Passata, e quasi svengo per lo scoramento. 

La prima remontada è per conquistare la meno poetica delle vette: i cessi del rifugio Azzoni, che sono stati sapientemente posizionati ad adeguata distanza dal corpo principale. Messa anche questa ghiotta preda nel carniere, costeggio un paio di cucuzzoli (che dovrebbero essere la torre di Valnegra e la punta Daina) e poi c'è di nuovo da inabissarsi per 20-30 metri, su roccette non particolarmente difficili.

Raccolto anche il secondo timbrino per il brevetto da sommozzatore, si raggiunge un'altra selletta e c'è da affrontare di petto la prominenza della punta Brumano (o almeno credo che si chiami così). Il sentiero risale ripido, ci sono un paio di facili roccette a dare un po' di pepe alla salita e in breve si raggiunge una tondeggiante cupola erbosa, dove posso ammirare anche un paio di stelle alpine (0:44 nel filmato).

La discesa è piacevole, perché il sentiero digrada con pendenza abbastanza modesta e il prato è punteggiato da fantasiose strutture di calcare bianco (o sarà addirittura dolomia?). Anche la vista è meravigliosa: le ultime propaggini delle Prealpi si dissolvono senza soluzione di continuità nella pianura padana e la grossa città che si intravede leggermente a sinistra dovrebbe essere proprio Bergamo. Anche se l'ora è quella in cui l'aria inizia a farsi più tersa, c'è ancora troppa foschia sulla pianura e dunque si può solo immaginare che vi siano gli Appennini, là sulla linea dell'orizzonte.

Per un attimo si passa sul versante lecchese, ma poi il sentiero si riporta subito su quello bergamasco, come per la maggior parte del suo sviluppo. Dopo una mezz'ora abbondante dalla partenza, raggiungo una selletta erbosa, dove il sentiero delle Creste incrocia la traccia col segnavia 590, che sale da Brumano (lato sinistro) e poi scende diretta verso destra (rifugio Alpinisti Monzesi). E' confortante vedere che il tempo residuo alla Passata si è ridotto a meno di 1 ora e mezza, per cui presso i bookmakers di Londra si alzano vertiginosamente le quote per chi volesse scommettere su un mio arrivo a Malnago sotto la fioca luce delle stelle.

Il sentiero si porta completamente all'ombra e lambisce da vicino le propaggini che le cartine chiamano "i Solitari". Mai nome fu più azzeccato, perché - se si esclude il sottoscritto - non si vede anima viva e probabilmente non c'è passata da chissà quanto tempo. Il sentiero è infatti una traccia che l'erba sta cercando di divorarsi e, non appena il sole torna a illuminare il pendio, è tutto un ronzare di vespe (o di api?) che balzano da un fiore all'altro. Più che a non prendere una storta, devo quindi stare attento a non farmi pungere, perché suonerebbe abbastanza ridicolo essere sopravvissuto a ben più terribili minacce e lasciarci le piume per un banale shock anafilattico.

Qualche minuto di bordeggio e sono all'ennesima selletta, dove confluisce l'ennesimo sentiero da Brumano (stavolta col segnavia 588). Vista la rampa che mi aspetta, è confortante sapere che il tempo per arrivare alla Passata si è ulteriormente sgonfiato, come un palloncino bucato. Si lambisce un leggera salita un torrione calcareo e poi si inizia l'ultima vera rimontata, quella che conduce prima alla cima Piazzo e poi alla cima Quarenghi.  Il prato è davvero ripido, ma dopo una decina di minuti raggiungo la prima e un attimo dopo sono in cima alla seconda, su cui fa bella mostra di sè una lapide commemorativa del Quarenghi, che viene celebrato come il più famoso architetto dei suoi tempi. Non ho ben capito quali, ma avevo acido lattico persino nel liquido lacrimale, per cui leggere per intero la targa sarebbe stata impresa al di là delle mie possibilità. Convinto che la Passata sia a un tiro di schioppo, mi fermo un attimo a godere del panorama e a rabboccare il serbatoio.

Mai impressione fu più errata, perché la mezz'ora successiva mi terrà impegnato sul sentiero più ripido e sdrucciolevole che sia stato mai tracciato su un pendio erboso. Al limite del dry tooling: se non mi avessero inutilmente zavorrato durante la lunga salita del primo pomeriggio, ramponi e piccozza sarebbero tornati più utili che su un ripido pendio di neve ghiacciata! Estraggo virtualmente il taccuino e mi annoto che mai più il sentiero delle creste dovrà essere percorso in questa direzione.

Quando manca ormai poco alla Passata, il sentiero viene divorato anche dal bosco e si torna a camminare nell'ombra, il che potrebbe essere considerato quasi provvidenziale, viste le ore trascorse sotto il sole. Ad un certo punto c'è anche un piccolo passaggio assistito da una catena, ma la difficoltà è davvero minima, rispetto a quelle che si possono trovare sui vari sentieri delle Grigne. Comunque, un'ora e un quarto dalla partenza dalla cima del Resegone, atterro sull'ampia sella della Passata, che divide (o collega, a seconda dei punti di vista) il bacino di Brumano da quello di Erve. C'è anche una chiesetta e manca solo un prete, la cui benedizione mi sarebbe alquanto utile, dato che la strada per tornare a Malnago è ancora parecchio lunga.

Mi concedo una sosta per mangiare l'ultimo boccone che era rimasto nello zaino, centellino il Gatorade rimasto nella borraccia e riparto alla volta del rifugio Alpinisti Monzesi. Non ho camminato neppure due minuti e, come un'oasi nel deserto, una piccola fonte appare alla mia destra. Anche se l'acqua scende con una portata quasi ridicola, non è però un miraggio e quindi mi abbevero avidamente.

Seguono 20-25 minuti abbastanza tediosi nel bosco, durante i quali si scende al rifugio Alpinisti Monzesi. In realtà, il punto più basso è il greto di un torrente rinsecchito (la cui acqua sembra sgorgare fragorosa 50-100 m più sotto) e per raggiungere il baitone bisogna rimontare brevemente un pendio alquanto ripido. Con mia somma sorpresa, tutti gli infissi sono sbarrati e un foglietto di carta avvisa che i gestori hanno abbandonato la fortezza alle 3 del pomeriggio, per andare a fare la spesa alla funivia d'Erna.

Non mi resta che chinare la testa e lanciarmi su per la faticosa (più che altro perché le energie sono ormai poche) rampa che conduce al passo del Fò. Sono poco più di 100 m di dislivello ma sembrano almeno 500, per quanto brontolano i miei quadricipiti e i miei polpacci. Poco a sinistra della selletta, che è quotata 1.284 m, c'è il rifugio Ghislandi, dove però evito di fermarmi, perché d'ora in avanti è davvero solamente discesa.

Un cartello indica subito la sorgente del Fò e sono talmente assetato che lo seguo ciecamente, ci fossero anche 1.000 metri da risalire per tornare sulla retta via. In realtà, la diramazione è davvero breve e un minuto dopo posso quasi immergermi nelle fresche acque sorgive. Rabboccata anche la borraccia, che da qui in avanti conterrà una specie di Gatorade annacquato, rimonto i pochi metri che riportano sulla traccia principale e comincio a seguirla.

La stessa scende obliquamente (talvolta con qualche zig zag) l'ampio catino che separa la cresta della Giumenta dal plateau dei piani d'Erna. Ad un certo punto, incrocio una traccia che sale da sinistra. Sarei quasi tentato di seguirla, ma i cartelli indicano chiaramente che il rifugio Stoppani e il piazzale della funivia sono verso destra. L'unica cosa che proprio non mi convince sono i tempi: neppure se avessi la Red Bull nella borraccia, riuscirei ad arrivare al primo in 20 minuti e al secondo in 50!

Da qui la traccia perde ancora un po' di quota, poi prosegue prevalentemente in orizzontale e, quando sono sicuramente passati i 20 minuti che sarebbero dovuti bastare per il rif. Stoppani, incrocio infine l'agognata traccia del sentiero n° 1. Aiuto una famigliola di escursionisti spagnoli a ritrovare la retta via (non li illudo che, a fidarsi dei cartelli, mancherebbero solo 30 minuti alla funivia ...) e poi discendo i tornanti sassosi che portano a guadare il torrente e a guadagnare il lungo traverso nel bosco per lo Stoppani.

Quando la raggiungo, anch'esso sembra completamente sbarrato, forse perché anche i suoi gestori sono andati a fare la spesa ... Mi ricordavo che, più o meno due o tre lustri fa, esisteva una scorciatoia per evitare di passare da Costa e, quando vedo una traccia "clandestina" che si dirama a destra, preceduta da un segnavia cancellato con vernice grigia, son ben sicuro di averla trovata.

Non sarà il massimo per le mie ginocchia e le mie gambe, ma in un quarto d'ora abbondante atterro sul sentiero acciottolato, in un punto che è già poco distante dalla strada asfaltata. Quando sono sotto alla collina da cui parte la funivia, registro (e dimentico subito) la quota indicata sulla palina segnavia, che dovrebbe essere attorno ai 540 metri. Ci sarebbe anche una traccia che spara su diritta verso il fabbricato, ma le gambe proclamerebbero sciopero immediato e quindi, più saggiamente, seguo il sentiero che, con un ampio arco, riconquista il parcheggio. Gli ultimi metri non sono esattamente una passeggiata ma è come quando, in una maratona, vedi il primo cartello che inizia per 4: sai che, cascasse anche il mondo, tu riuscirai a vedere lo striscione con scritto 42,195 prima che si scateni l'Apocalisse.

La distanza percorsa non è certo pari a quella che portò al decesso del povero Fidippide, ma sono quasi stanco come il povero corridore che portò ad Atene la lieta novella della vittoria contro i Persiani. Io sono altrettanto lieto di scoprire che nessuno sgradito foglietto verde è stato messo sotto il tergicristallo e, una volta sollevato il portellone posteriore della mia macchina, di potere appoggiare le mie stanche chiappe sul mai così comodo paraurti. Riaccendo il cellulare, devo puntellarmi al montante per reggere il peso della valangata di messaggini che erano pendenti in WhatsApp e posso finalmente controllare l'ora: sono le 19 e 15. Nel parcheggio sono rimasti solo un paio di camper, faccio in tempo a vedere due ciclisti che salgono a fare il giro di boa attorno al baracchino del gabellante (che però deve lavorare solo nei week-end) e posso ufficialmente dichiarare chiusa questa lunga pomeridiana al Resegone.

Video discesa

Tourengänger: daniered


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