Pizzo Solögna (2698 m - 2696.9 m)
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Panorama mozzafiato, condito da un’interessante ascesa lungo un labirinto di franosi canaletti per raggiungere l’affilata cuspide sommitale del Pizzo Solögna e godersi la fantastica visione sui sottostanti laghi della Cròsa e Laghetti d’Antabia: ecco il sunto della giornata! E’ vero, questo lato orografico della Val Bavona è meno selvaggio rispetto a quello opposto, ma sa comunque regalare momenti di grande gioia. Anche la semplice ma faticosa salita sull'appartato mondo dell’Alpe di Solögna merita la visita.
A distanza di tre anni mi ritrovo a solcare le infinite scalinate di pietra che caratterizzano il sentiero che da Rosèd (741 m) porta ai pianori dell’Alpe Sölogna. Allora ero diretto al Pizzo Fiorèra ed i ricordi di questa interminabile ascesa sono ancora vividi quest’oggi. Il bel sentiero con segnavia bianco-rossi, che sale ardito tra le balze della Corona delle Fornaci mi conduce dapprima ai monti di Costa (1327 m), balcone su tutta la Bavona, e più in alto al Corte Nuovo (1517 m), posizionato in prossimità del Ri di Croazzöo.
So che fontane ed acqua non mancano lungo tutto il percorso che porta fino alle più alte baite, per cui proseguo con passo spedito e sacco leggero fino ad uscire dal fitto bosco dei Sandròi. A quota 1850 m abbandono il sentiero che porta a Sedone, per raggiungere invece il vicino Corte Grande (1860 m). Supero le verdeggianti radure del pascolo e mi immetto nell’evidente traccia che in breve mi fa guadagnare il gradino superiore dell'alpeggio, caratterizzato dalle cascine di Pianaccio (2021 m).
Mi abbevero, faccio un minimo rifornimento di acqua, e poi volto lo guardo in direzione del possente massiccio del Pizzo Solögna, che da qui si staglia in tutta la sua maestosità, facendolo sembrare invalicabile. La parete orientale, dove si svolge la salita, è solcata da una miriade di valloncelli, sia erbosi che rocciosi. E’ dunque importante immettersi nel canale giusto sin dall’inizio altrimenti credo che diverrebbe un calvario cercare di trovare una via di salita alternativa. Individuo il corretto pertugio proprio al limite del soprastante deposito detritico che lambisce Pianaccio.
Lasciate le baite prendo quota tenendomi piuttosto sul lato sinistro della frana, in modo da sfruttare il più possibile il terreno erboso, anziché integolarmi nei faticosi meandri sassosi. A quota 2320 m ca., raggiungo finalmente la “porta” d’entrata del canale, suggellata da due bastioni ai suoi lati. Poco oltre, scanso sulla destra due enorme massi (può servire come riferimento per essere certi di trovarsi nel corretto canale), e procedo poi su franose pietre. Lungo il vallone, sul lato destro, prendono il via numerosi altri canaletti, che non vanno però seguiti. In maniera più o meno logica si cammina sempre nel solco più marcato fino a quota 2450 m ca. Qui, giungo su un tratto erboso e piego a sinistra per entrare nell'evidente canale ancor più franoso che prende il via proprio in questa zona. Con qualche passo agile supero dei fastidiosi grossi massi incastrati nell’”imbuto” e vado su per il pendio. Alla mia sinistra mi lascio alle spalle un altro canale che si perde nelle inquietanti rocce del Pizzo Piènsgia e resto fedele alla via maestra fino a quota 2540 m, dove il valloncello si biforca, proprio a ridosso di un torrione triangolare. Da qui, scorgo l’apice del canale che culmina in una minuta selletta erbosa (da non raggiungere!), proprio alla sinistra di alcuni caratteristici spuntoni. E' dunque tempo di virare a destra e superate delle facile placche (comunque aggirabili lungo una fessura erbosa sulla destra) accedo nell'ultimo canale. Per la verità dalla biforcazione di quota 2540 m, il valloncello non è molto marcato, ma superato il breve tratto di placche, diviene poi molto più evidente. Poco oltre, intravedo anche la bocchetta erbosa sulla cresta SE che dovrebbe condurmi in breve alla vetta. Ora non sussistono più problemi di orientamento ma la via diviene più ripida e franosa. Guadagno quota superando pietrischi e tratti erbosi fino a sbucare appunto sulla cresta SE da dove per la prima volta quest’oggi posso ammirare i Laghi della Cròsa.
Volto lo sguardo verso l’alto ma da qui vedo solo una cresta rocciosa che si staglia sopra la mia testa. Si tratta della cresta sommitale che forma la vetta, ma da qui non riesco ad individuare il suo culmine. Consultando la CN, deduco che la duplice vetta si trova a destra della cresta SE, la quale termina formando un caratteristico intaglio a forma di ferro di cavallo. Non raggiungo la bocchetta, ma mi spingo invece di nuovo sul versante E proseguendo su un’esposta cengia erbosa alla ricerca di un passaggio che mi permetta di giungere in vetta. Dopo aver aggirato una costala, individuo un facile accesso che mi dà la possibilità di agguantare una bocchetta erbosa, che si fa largo tra le rocce. Ci siamo... il lago d’Antabia è ai miei piedi, e là sulla mia destra, a pochi metri, scorgo l’ometto di vetta del Pizzo Solögna (2696.9 m). Tenendomi appena a sinistra del filo, supero le ultime facili difficoltà rocciose ed eccomi in cima! Scatto qualche foto e poi pongo subito lo sguardo in direzione della cima più alta. Individuo l’ometto proprio sopra la selletta che forma un ferro di cavallo, descritta in precedenza. Dal versante E, percorso in precedenza, non ho scorto nessun varco e a seguire l’affilata cresta che unisce le due cime non ci penso nemmeno. L'unica soluzione è cercare un pertugio sul versante N.
Mi inoltro dunque nell’ombroso versante N, costituito da terrazzetti di pietrisco che mi facilitano assai il cammino. L’ometto della vetta scompare di nuovo alla mia vista ma ho memorizzato la sua posizione. Quando penso di essere proprio sotto la sua verticale, comincio la ricerca di una via di salita. Scorgo delle rocce ben gradita, che seppur parecchio verticali, mi permettono un arrampica del tutto sicura (ca. 15 metri). In breve sbuco sulla cresta sommitale a pochi passi dall’ometto e con un ultimo agile passo salto in sella alla grossa pioda che forma la vetta più alta del Pizzo Solögna (2698 m).
I quasi 2,000 metri di dislivello ascesi sono ripagati dal panorama di tutto rispetto, sia sui laghi della Cròsa che su quelli d’Antabia. L'orizzonte è invece caratterizzato da un 360° di cime maestose: dal Bìela al Fiorèra, dal Mèdola al Basòdino, dal Castello al Malora. Un vero spettacolo! Non c’è però da distrarsi perché un passo falso quassù non è certo consigliabile.
Ridiscendo i 15-20 m rocciosi sul versante N, dopodiché in breve mi porto alla sella a forma di U, chiudendo dunque anche la "circumnavigazione" dell’edificio sommitale.
Per la discesa lungo il versante E non mi concedo brillanterie per cui seguo in gran parte la traccia di salita. In più di un caso sfrutto però maggiormente il pendio erboso, che in discesa resta alla mia sinistra, evitando così i penosi solchi franosi, senza però appunto mai scansarmi troppo dalla traiettoria maestra.
Riguadagnata la traccia di sentiero a Pianezzo, non mi resta che godermi la piacevole e rapida discesa verso Rosèd.
Note:
Vette:
Ometti di sasso e su entrambe le vette.
Rosèd:
Possibilità di parcheggio prima e dopo il ponte sul fiume Bavona.
Valutazione:
Rosèd - Pianaccio: T3 (EE)
Pianaccio - versante E - Pizzo Sologna: T5 (F)
A distanza di tre anni mi ritrovo a solcare le infinite scalinate di pietra che caratterizzano il sentiero che da Rosèd (741 m) porta ai pianori dell’Alpe Sölogna. Allora ero diretto al Pizzo Fiorèra ed i ricordi di questa interminabile ascesa sono ancora vividi quest’oggi. Il bel sentiero con segnavia bianco-rossi, che sale ardito tra le balze della Corona delle Fornaci mi conduce dapprima ai monti di Costa (1327 m), balcone su tutta la Bavona, e più in alto al Corte Nuovo (1517 m), posizionato in prossimità del Ri di Croazzöo.
So che fontane ed acqua non mancano lungo tutto il percorso che porta fino alle più alte baite, per cui proseguo con passo spedito e sacco leggero fino ad uscire dal fitto bosco dei Sandròi. A quota 1850 m abbandono il sentiero che porta a Sedone, per raggiungere invece il vicino Corte Grande (1860 m). Supero le verdeggianti radure del pascolo e mi immetto nell’evidente traccia che in breve mi fa guadagnare il gradino superiore dell'alpeggio, caratterizzato dalle cascine di Pianaccio (2021 m).
Mi abbevero, faccio un minimo rifornimento di acqua, e poi volto lo guardo in direzione del possente massiccio del Pizzo Solögna, che da qui si staglia in tutta la sua maestosità, facendolo sembrare invalicabile. La parete orientale, dove si svolge la salita, è solcata da una miriade di valloncelli, sia erbosi che rocciosi. E’ dunque importante immettersi nel canale giusto sin dall’inizio altrimenti credo che diverrebbe un calvario cercare di trovare una via di salita alternativa. Individuo il corretto pertugio proprio al limite del soprastante deposito detritico che lambisce Pianaccio.
Lasciate le baite prendo quota tenendomi piuttosto sul lato sinistro della frana, in modo da sfruttare il più possibile il terreno erboso, anziché integolarmi nei faticosi meandri sassosi. A quota 2320 m ca., raggiungo finalmente la “porta” d’entrata del canale, suggellata da due bastioni ai suoi lati. Poco oltre, scanso sulla destra due enorme massi (può servire come riferimento per essere certi di trovarsi nel corretto canale), e procedo poi su franose pietre. Lungo il vallone, sul lato destro, prendono il via numerosi altri canaletti, che non vanno però seguiti. In maniera più o meno logica si cammina sempre nel solco più marcato fino a quota 2450 m ca. Qui, giungo su un tratto erboso e piego a sinistra per entrare nell'evidente canale ancor più franoso che prende il via proprio in questa zona. Con qualche passo agile supero dei fastidiosi grossi massi incastrati nell’”imbuto” e vado su per il pendio. Alla mia sinistra mi lascio alle spalle un altro canale che si perde nelle inquietanti rocce del Pizzo Piènsgia e resto fedele alla via maestra fino a quota 2540 m, dove il valloncello si biforca, proprio a ridosso di un torrione triangolare. Da qui, scorgo l’apice del canale che culmina in una minuta selletta erbosa (da non raggiungere!), proprio alla sinistra di alcuni caratteristici spuntoni. E' dunque tempo di virare a destra e superate delle facile placche (comunque aggirabili lungo una fessura erbosa sulla destra) accedo nell'ultimo canale. Per la verità dalla biforcazione di quota 2540 m, il valloncello non è molto marcato, ma superato il breve tratto di placche, diviene poi molto più evidente. Poco oltre, intravedo anche la bocchetta erbosa sulla cresta SE che dovrebbe condurmi in breve alla vetta. Ora non sussistono più problemi di orientamento ma la via diviene più ripida e franosa. Guadagno quota superando pietrischi e tratti erbosi fino a sbucare appunto sulla cresta SE da dove per la prima volta quest’oggi posso ammirare i Laghi della Cròsa.
Volto lo sguardo verso l’alto ma da qui vedo solo una cresta rocciosa che si staglia sopra la mia testa. Si tratta della cresta sommitale che forma la vetta, ma da qui non riesco ad individuare il suo culmine. Consultando la CN, deduco che la duplice vetta si trova a destra della cresta SE, la quale termina formando un caratteristico intaglio a forma di ferro di cavallo. Non raggiungo la bocchetta, ma mi spingo invece di nuovo sul versante E proseguendo su un’esposta cengia erbosa alla ricerca di un passaggio che mi permetta di giungere in vetta. Dopo aver aggirato una costala, individuo un facile accesso che mi dà la possibilità di agguantare una bocchetta erbosa, che si fa largo tra le rocce. Ci siamo... il lago d’Antabia è ai miei piedi, e là sulla mia destra, a pochi metri, scorgo l’ometto di vetta del Pizzo Solögna (2696.9 m). Tenendomi appena a sinistra del filo, supero le ultime facili difficoltà rocciose ed eccomi in cima! Scatto qualche foto e poi pongo subito lo sguardo in direzione della cima più alta. Individuo l’ometto proprio sopra la selletta che forma un ferro di cavallo, descritta in precedenza. Dal versante E, percorso in precedenza, non ho scorto nessun varco e a seguire l’affilata cresta che unisce le due cime non ci penso nemmeno. L'unica soluzione è cercare un pertugio sul versante N.
Mi inoltro dunque nell’ombroso versante N, costituito da terrazzetti di pietrisco che mi facilitano assai il cammino. L’ometto della vetta scompare di nuovo alla mia vista ma ho memorizzato la sua posizione. Quando penso di essere proprio sotto la sua verticale, comincio la ricerca di una via di salita. Scorgo delle rocce ben gradita, che seppur parecchio verticali, mi permettono un arrampica del tutto sicura (ca. 15 metri). In breve sbuco sulla cresta sommitale a pochi passi dall’ometto e con un ultimo agile passo salto in sella alla grossa pioda che forma la vetta più alta del Pizzo Solögna (2698 m).
I quasi 2,000 metri di dislivello ascesi sono ripagati dal panorama di tutto rispetto, sia sui laghi della Cròsa che su quelli d’Antabia. L'orizzonte è invece caratterizzato da un 360° di cime maestose: dal Bìela al Fiorèra, dal Mèdola al Basòdino, dal Castello al Malora. Un vero spettacolo! Non c’è però da distrarsi perché un passo falso quassù non è certo consigliabile.
Ridiscendo i 15-20 m rocciosi sul versante N, dopodiché in breve mi porto alla sella a forma di U, chiudendo dunque anche la "circumnavigazione" dell’edificio sommitale.
Per la discesa lungo il versante E non mi concedo brillanterie per cui seguo in gran parte la traccia di salita. In più di un caso sfrutto però maggiormente il pendio erboso, che in discesa resta alla mia sinistra, evitando così i penosi solchi franosi, senza però appunto mai scansarmi troppo dalla traiettoria maestra.
Riguadagnata la traccia di sentiero a Pianezzo, non mi resta che godermi la piacevole e rapida discesa verso Rosèd.
Note:
Vette:
Ometti di sasso e su entrambe le vette.
Rosèd:
Possibilità di parcheggio prima e dopo il ponte sul fiume Bavona.
Valutazione:
Rosèd - Pianaccio: T3 (EE)
Pianaccio - versante E - Pizzo Sologna: T5 (F)
Tourengänger:
Varoza

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