La Pioda di Crana.
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Approfittando della disponibilità dell'amico
POLI89 oggi si tenta la Pioda di Crana, la montagna più famosa della Val Vigezzo, da tanto tempo in agenda.
Scopro ora, mentre scrivo questa relazione, che giusto ieri un bel gruppo di hikriani ci ha preceduti sul terreno e li ringrazio per aver in qualche modo fatto da apripista.
Già al comodo ed ampio parcheggio di Arvogno, una palina indica la via per la meta. Discendiamo dunque su strada asfaltata ad attraversare un ponte che supera delle meravigliose piscine naturali e, sempre con ottime indicazioni, prendiamo una scorciatoia sulla vecchia mulattiera che in breve si alza verso l'alpe Verzasco. Qui, dove c'è l'ultimo rifornimento d'acqua, comincia la salita vera e propria. Dapprima si arranca su prati a raggiungere l'alpe Borca. All'alpe, poi, il sentiero si dirama: prendere a sinistra e proprio dietro la baita, una palina conferma la via.
Ci addentriamo nel bosco di larici e lo risaliamo su buon tracciato che procede a tornanti. All'uscita del bosco, la cresta è visibile e la si raggiunge arrancando su prati sino ad intercettarla ed affrontarla mantenendosi alla sua sinistra, qualche metro sotto il filo. Sempre senza respiro, quando il sentiero sembra sparire, occorre rimontare il filo e camminare sullo stesso che si presenta adeguatamente largo. A destra sono ora ben visibili le impressionanti piodate levigate che danno il nome alla montagna, sulle quali greggi di pecore e capre saltellano come se nulla fosse.
Giunti ad un bastione, la traccia ritorna a sinistra e lo supera con un traverso per poi rimontar decisa per prati a pervenire al famoso passaggio chiave, un traverso molto esposto su piode molto lisce ed inclinate.
La lunghezza del passaggio è valutabile in una quindicina di metri ma solo due placche presentano problemi poiché le altre sono camminabili. La prima l'abbiamo sorpassata da seduti allargando una gamba in spaccata per intercettare un intaglio dove almeno il piede potesse star fermo (stile discutibile ma efficace e soprattutto sicuro!!); la seconda ad un primo impatto ci è parsa insuperabile perché ad ogni tentativo, da seduti o in piedi, la sensazione era quella di scivolare giù, cosa assai poco raccomandabile perché, a nostro avviso, un volo equivale ad una sentenza. Complice una fittissima nebbia che si è alzata all'improvviso portando vento freddo e umido, siamo stati sul punto di desistere quando mi è venuto i mente di affacciarmi sul dirupatissimo versante opposto e dove ho potuto scorgere una agevole cengia. Scesi con molta attenzione sulla stessa, è stato poi banale percorrerla ed uscire sul pendio finale dove una buona e ripida traccia ci ha condotti velocemente in cima.
Panorama purtroppo "va e vieni" (più "va" a dire il vero) sulla vallata con il lago di Larecchio e qualche veloce sguardo sul monte Leone. Ambiente tuttavia eccezionale che abbiamo potuto godere in esclusiva soffermando le nostre attenzioni sulle numerose pecore e sulla fantastica piodata che sorregge, per centinaia di metri, l'intero edificio del monte.
Discesa per la stessa via, con le dovute attenzioni sul suddetto passaggio e poi giù, veloci dove possibile, sino all'auto che ci attende da cinque ore e mezzo, affacciata su un terrazzo vista Pioda e Scheggia che tuttavia si sono nascoste per la quasi interezza della gita.
Il passaggio chiave non è raccomandabile ad escursionisti privi di esperienza e comunque fortemente sconsigliabile in caso di bagnato anche ad escursionisti di medie capacità, gruppo nel quale ci inseriamo.
Viste le numerose catene e ferraglie che si vedono sui monti, una piccola protezione qui non avrebbe guastato o, in sua assenza, si sarebbe dovuto apporre un segno di vernice nel punto in cui è possibile (e non banalmente intuibile) scendere sulla cengia.
Tempi comprensivi di pause valutabili attorno ai quarantacinque minuti complessivi.
Sviluppo: circa 11 km; SE: circa 23 km.

Scopro ora, mentre scrivo questa relazione, che giusto ieri un bel gruppo di hikriani ci ha preceduti sul terreno e li ringrazio per aver in qualche modo fatto da apripista.
Già al comodo ed ampio parcheggio di Arvogno, una palina indica la via per la meta. Discendiamo dunque su strada asfaltata ad attraversare un ponte che supera delle meravigliose piscine naturali e, sempre con ottime indicazioni, prendiamo una scorciatoia sulla vecchia mulattiera che in breve si alza verso l'alpe Verzasco. Qui, dove c'è l'ultimo rifornimento d'acqua, comincia la salita vera e propria. Dapprima si arranca su prati a raggiungere l'alpe Borca. All'alpe, poi, il sentiero si dirama: prendere a sinistra e proprio dietro la baita, una palina conferma la via.
Ci addentriamo nel bosco di larici e lo risaliamo su buon tracciato che procede a tornanti. All'uscita del bosco, la cresta è visibile e la si raggiunge arrancando su prati sino ad intercettarla ed affrontarla mantenendosi alla sua sinistra, qualche metro sotto il filo. Sempre senza respiro, quando il sentiero sembra sparire, occorre rimontare il filo e camminare sullo stesso che si presenta adeguatamente largo. A destra sono ora ben visibili le impressionanti piodate levigate che danno il nome alla montagna, sulle quali greggi di pecore e capre saltellano come se nulla fosse.
Giunti ad un bastione, la traccia ritorna a sinistra e lo supera con un traverso per poi rimontar decisa per prati a pervenire al famoso passaggio chiave, un traverso molto esposto su piode molto lisce ed inclinate.
La lunghezza del passaggio è valutabile in una quindicina di metri ma solo due placche presentano problemi poiché le altre sono camminabili. La prima l'abbiamo sorpassata da seduti allargando una gamba in spaccata per intercettare un intaglio dove almeno il piede potesse star fermo (stile discutibile ma efficace e soprattutto sicuro!!); la seconda ad un primo impatto ci è parsa insuperabile perché ad ogni tentativo, da seduti o in piedi, la sensazione era quella di scivolare giù, cosa assai poco raccomandabile perché, a nostro avviso, un volo equivale ad una sentenza. Complice una fittissima nebbia che si è alzata all'improvviso portando vento freddo e umido, siamo stati sul punto di desistere quando mi è venuto i mente di affacciarmi sul dirupatissimo versante opposto e dove ho potuto scorgere una agevole cengia. Scesi con molta attenzione sulla stessa, è stato poi banale percorrerla ed uscire sul pendio finale dove una buona e ripida traccia ci ha condotti velocemente in cima.
Panorama purtroppo "va e vieni" (più "va" a dire il vero) sulla vallata con il lago di Larecchio e qualche veloce sguardo sul monte Leone. Ambiente tuttavia eccezionale che abbiamo potuto godere in esclusiva soffermando le nostre attenzioni sulle numerose pecore e sulla fantastica piodata che sorregge, per centinaia di metri, l'intero edificio del monte.
Discesa per la stessa via, con le dovute attenzioni sul suddetto passaggio e poi giù, veloci dove possibile, sino all'auto che ci attende da cinque ore e mezzo, affacciata su un terrazzo vista Pioda e Scheggia che tuttavia si sono nascoste per la quasi interezza della gita.
Il passaggio chiave non è raccomandabile ad escursionisti privi di esperienza e comunque fortemente sconsigliabile in caso di bagnato anche ad escursionisti di medie capacità, gruppo nel quale ci inseriamo.
Viste le numerose catene e ferraglie che si vedono sui monti, una piccola protezione qui non avrebbe guastato o, in sua assenza, si sarebbe dovuto apporre un segno di vernice nel punto in cui è possibile (e non banalmente intuibile) scendere sulla cengia.
Tempi comprensivi di pause valutabili attorno ai quarantacinque minuti complessivi.
Sviluppo: circa 11 km; SE: circa 23 km.
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