Madone “di Cerentino” (2477 m) e Camino (2489 m)
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tapio: Chiusa la precedente relazione sul Pizzo d’Orsalietta con le parole del Brenna, apro la successiva con le medesime parole: “Chi avrà modo di esplorare a fondo il gruppo, non potrà che esserne sempre più entusiasta”. Mai asserzione si rivelò più vera e profetica. Infatti, prima ancora di concludere quella gita, mi ripropongo di tornare da queste parti e portare a compimento l’opera. Nel progetto coinvolgo anche Paolo, che si dimostra da subito entusiasta.
Per la salita da Camanói alla Bocchetta del Madone, dopo aver raggiunto Corte Antico seguiamo la traccia, debole ma presente, che sale nel rado bosco verso Süi l’Alp. Nella parte alta traversiamo su scivoli erbosi e placche affioranti, e raggiungiamo così la Bocchetta del Madone.
Ora, bisogna precisare che forse per la circostanza di essere in due (ognuno pensa che all’altro sia tutto ben chiaro e non approfondisce), oppure, più semplicemente, perché doveva andare così, comunque mal interpretiamo la guida del Brenna e saliamo verso il Madone dalla sua cresta NE.
A questo proposito il Brenna quota PD, IV e recita “Dalla Bocchetta del Madone si segue il filo della cresta a blocchi e con placche. In particolare si deve superare poco prima della vetta un muro verticale di circa 4 metri, a sinistra di un camino (IV).”
Chiaramente, se avessimo avuto le idee un po’ meno confuse, saremmo saliti subito dalla parte opposta, cioè dalla sella 2394 e dalla cresta SW (dove comunque il secco PD va un po’ preso con le molle in quanto la via va cercata, ed integrata nelle scarne parole del Brenna).
Comunque saliamo dalla cresta NE: la via si dimostra subito ripida ed impegnativa. Dopo un primo tratto di arrampicata su blocchi, superiamo una bella placca inclinata ed arrivati ad un grosso torrione che ci blocca il passaggio, intravediamo sul lato N un’alternativa attraverso un buco prodottosi dal provvidenziale incastro di grossi massi.
Scendiamo nel buco sul versante N della cresta NE e proseguiamo la salita in un tratto delicato: la via è quasi verticale (II-III) e ci sono pietre pronte al distacco, quindi bisogna tenere la soglia di attenzione al massimo. Le mani si appoggiano sulla gelida roccia per procedere e non vediamo l’ora di portarci nuovamente sulla soleggiata cresta.
La cosa avviene regolarmente poco più tardi; completiamo così l’ascensione al Madone su grossi blocchi inclinati, prima di guadagnare il piccolo ma ben congegnato ometto di vetta.
Mentre decidiamo sulla prosecuzione dell’itinerario, capiamo di essere saliti dalla parte alla quale Giuseppe Brenna assegna il passaggio di IV°. Di quel passaggio neanche l’ombra – non oso pensare che l’abbiamo superato senza accorgercene – ma comunque, anche a causa della ripida ascesa sulla parte ombrosa (che ci ha forse evitato il passaggio di IV consegnandocene uno di III), rimane una via da salire con i guanti di velluto. Anzi, senza guanti, per sentire il polso della roccia...
Per la discesa, chiarito l’equivoco, decidiamo di scendere dalla parte opposta, valutata dal Brenna PD, cioè come la prima, ma senza picchi di difficoltà che vadano oltre il tenore generale della cresta stessa.
Dopo un primo tratto di facili blocchi, la cresta SW ci presenta un salto di roccia che giudichiamo troppo rischioso da passare in discesa. Una successiva osservazione ci dirà che forse, in salita, lo si potrebbe affrontare; ma per la discesa sarebbe più sicura una calata in corda doppia, che non abbiamo. Ritorniamo allora leggermente sui nostri passi e troviamo una ripida cengia erbosa sul versante sud che ci permette di aggirare l’ostacolo ed arrivare alla base del salto di cui sopra. La cengia non è citata da Giuseppe Brenna, che parla solo di “aggirare a destra un torrione” (salendo). Da qui riprendiamo la cresta SW che seguiamo fino alla fine, cioè alla sella 2394.
Inizialmente sul filo e successivamente aggirandolo dal basso, superiamo tutta la cresta di collegamento tra Madone e Camino e ci presentiamo davanti alla sua solenne parete ENE.
Dopo alcuni infruttuosi tentativi di salita da questa cresta (roccia fessurata strapiombante e/o parete verticale senza appigli), aggiriamo tutta la parete S del Camino e arriviamo finalmente davanti ”all’evidente canalino-camino che discende verso S dalla cresta W”.
Per non avere problemi conviene stare sulla parte destra del canale fin da subito, in modo da trovare una più facile via di salita (anche se qui, di facile, non c’è niente) e di arrivare allo sbocco del canale dalla parte giusta, cioè quella che fronteggia l’aerea cresta W da risalire.
Arrivati dunque all’uscita del canale - c’è posto per una sola persona alla volta - risaliamo la rocciosa cresta W del Camino prima sullo spigolo; poi, per un breve tratto, su una specie di cengetta rocciosa posizionata sul freddo versante N. Successivamente (questo è il passaggio chiave, valutabile attorno al III°) ancora sullo spigolo, affilato ed aereo (ma comunque appigliato). Poi, nuovo passaggio sul versante N, dal quale sbuchiamo a due passi dalla vetta, localizzata su di un gigantesco blocco spiovente verso W. L’ometto di vetta, a parte i due-tre metri di roccia sul quale siede, ha sotto di sé un vuoto di parecchie decine di metri. Le entrate sul libro di vetta sono pochissime: la nostra è le prima (e probabilmente sarà anche l’ultima) del 2014.
Per la discesa, passato il tratto delicato ed usciti dal canalino, scendiamo prima su ampi pascoli e poi su terreno selvaggio (ginepri e rododendri) in direzione dell’Alpe Màter. Da qui seguiamo il sentiero per Corte Antico e proseguiamo poi sulla via già percorsa al mattino alla volta di Camanói. Brindisi finale con birra weiss per suggellare un’altra grande giornata di montagna. Grazie a Paolo per la condivisione delle emozioni che oggi non sono assolutamente mancate.
pm1996: Esplorazione, roccia, sole colori caldi e forme fantastiche che non ti fanno mai fermare un mix perfetto, il solo dispiacere è che arrivi l’ inverno, mah …
Tempi:
Camanói – Madone : 3 ore e 45’
Madone - Camino: 2 ore e 30’
Camino – Camanói : 2 ore e 15’
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