Valgrosina: Sasso di Castro e Laghi di Verva
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Da Eita fino al Passo di Verva ci eravamo già stati, ma il meteo trovato era tale (nebbia, pioggia, nuvole) che, fra esserci stati e non averci mai messo piede, per quanto riguarda visibilità e vedute, è stata la medesima cosa: quindi, per questa volta, la regola inderogabile che ripetere un'escursione in tempi ravvicinati mi ingenera una noia opprimente, non ha trovato applicabilità.
Nella consultazione delle mie fonti - ormai sempre d'epoca - ho trovato qualche indicazione, peraltro solo come espediente ulteriore di visita ad una zona sconosciuta, della presenza, attorno al Passo di Verva, di qualche reperto di un appostamento militare di importanza secondaria risalente alla Grande Guerra. Si trovano infatti qualche trincea, un paio di ricoveri in galleria attorno al passo e la piattaforma di un baraccamento nei pressi del Sasso di Castro; ulteriore motivo di interesse (e sempre in deroga alla non ripetizione...) sarebbe scoprire qualcosa di più circa la percorribilità dei numerosi sentieri militari ancora riconoscibili sui vari versanti affacciati su questo valico, primo fra tutti quello che aggira in quota il Monte Maurignino.
In realtà mi rendo conto che tutto quanto detto non è formalmente riferibile al ramo orientale della Valgrosina, bensì ad un estremo e remotamente semisconosciuto angolo della Val Viola: infatti i frequenti e veloci passaggi limitati alla sterrata di fondovalle sono praticamente esclusivi dei bikers lungo la traversata Val Viola-Valgrosina o viceversa.
Al Passo di Verva è indicata la protezione del territorio da parte di un SIC di interesse floristico (con l'illustrazione di un banale itinerario incredibilmente definito come "vegetazionale"), ma, aggirandosi sulle rupi circostanti, si può verificare come vari microambienti di vero interesse siano ben lontani dalla carrozzabile.
Da notare, peraltro, che questa pur bruttissima ed impattante strada bianca ha avuto - dopo inevitabile e ben organizzato riassetto d'urgenza - un'importanza vitale durante l'alluvione della Valtellina nel 1987, essendo rimasta l'unica via di comunicazione terrestre fra alta e media valle ad uso dei mezzi di soccorso militari.
Dal piazzale di Eita alle spalle della chiesa si dipartono due strade precluse al traffico non autorizzato (il pedaggio pagato le esclude): si sale per la sterrata di sinistra che va a percorrere tutta la valle fino all'ampio valico del Passo di Verva; il tracciato segue, con successivi adattamenti, passaggi tradizionali di pastori e, dal 1500, di vie di comunicazione fra la Repubblica Veneta e le regioni germaniche a nord di Livigno. Si tratta di un lungo spostamento con solo qualche largo curvone per guadagnare quota, che dopo aver accostato il Lago Acque Sparse e la deviazione (esclusivamente turistica) per il Lago Calosso (denominazione localmente sconosciuta, ma ormai praticamente ufficiale; in realtà Lago Turchino), raggiunge un moderno cippo - ricordo di un raduno di mezzi militari avvenuto nel 2010 a propria volta in ricordo della Guerra 1915-18 - in corrispondenza del valico. Si prosegue sulla carrozzabile scendendo per qualche centinaio di metri in comune di Valdidentro fino all'altezza dei pascoli paludosi e di un laghetto senza nome della Val Verva: qui si trova, sulla sinistra e segnalata da due minimi ometti di pietre, la partenza di una vecchia e disusata mulattiera militare; la traccia, ridotta a sentiero (e spesso nemmeno a quello), intraprende un lungo traverso ascendente della solita regolarissima pendenza militare che, aggirando una dorsale erbosa, si porta a raggiungere una sorta di bocchetta affacciata sulla parte iniziale della Val Viola, con vista fino all'imbocco presso il tornante di Arnoga. Appena sotto la sella si possono ancora individuare i basamenti in muro a secco di un edificio logistico. Salendo per alcuni metri sulla sponda di sinistra, fra roccette e poche erbe, si raggiunge l'ometto di vetta del Sasso di Castro: grandissimo ed esauriente il panorama verso il gruppo della Cima Piazzi. Da qui, seguendo qualche rarissimo ometto, si prosegue in saliscendi sul crinale che per lungo tratto presenta il versante meridionale mite e praticabile, mentre a nord precipita per più di un centinaio di metri una parete verticale e talora aggettante. Nella conca morenica alla nostra sinistra, alla base del Pizzo Dosdè, si presenta una serie di laghetti più o meno vasti in base al grado di siccità, ma sempre presenti e più o meno precisamente cartografati. [A questo proposito c'è da dire che la zona è piuttosto confusa: è difficile trovare concordanza sulle diverse mappe a disposizione circa quote, toponimi e localizzazioni...]. Dopo aver visitato alcune delle pozze (pulite e limpide, ma apparentemente sterili di fauna) decidiamo di seguire una traccia di sentiero che sembra avviarsi alla quota e nella direzione del Lago Turchino: si procede abbastanza speditamente nonostante l'esposizione e la franosità di alcuni tratti. Quando però, nell'approcciare la traversata di una colata di detriti rossi, l'instabilità del fondo si accentua, decidiamo di evitare difficoltà non essenziali e scendiamo lungo un canalone erboso e ghiaioso (rivelatosi altrettanto instabile - motivo del T3+) fino a ritrovare gli appoggiati pascoli che si vanno a smorzare nella strada bianca. Torniamo lungo la carrozzabile fino al Lago Acque Sparse, dove, per introdurre una variante, andiamo a seguire le indicazioni per Cassavrolo ed Eita. Lasciato alle spalle il suggestivo specchio d'acqua ci troviamo a percorrere quello che rimane del vecchio sentiero: una deplorevole traccia spianata con la ruspa attraverso un bosco di mughi a favore di un nuovo tracciato "inclusivo" per le e-bike, fra sassi smossi, radici estirpate e pozze di fango. Bene o male si raggiunge, dopo aver lasciato a destra la bella torbiera del Rifugio Falk, il dosso erboso che ospita i due nuclei di Cassavrolo; da qui poi non rimane che seguire la carrozzabile sterrata-asfaltata fino ad Eita. Questa alternativa alla via di salita non vale la pena: amareggia e basta.
Nella consultazione delle mie fonti - ormai sempre d'epoca - ho trovato qualche indicazione, peraltro solo come espediente ulteriore di visita ad una zona sconosciuta, della presenza, attorno al Passo di Verva, di qualche reperto di un appostamento militare di importanza secondaria risalente alla Grande Guerra. Si trovano infatti qualche trincea, un paio di ricoveri in galleria attorno al passo e la piattaforma di un baraccamento nei pressi del Sasso di Castro; ulteriore motivo di interesse (e sempre in deroga alla non ripetizione...) sarebbe scoprire qualcosa di più circa la percorribilità dei numerosi sentieri militari ancora riconoscibili sui vari versanti affacciati su questo valico, primo fra tutti quello che aggira in quota il Monte Maurignino.
In realtà mi rendo conto che tutto quanto detto non è formalmente riferibile al ramo orientale della Valgrosina, bensì ad un estremo e remotamente semisconosciuto angolo della Val Viola: infatti i frequenti e veloci passaggi limitati alla sterrata di fondovalle sono praticamente esclusivi dei bikers lungo la traversata Val Viola-Valgrosina o viceversa.
Al Passo di Verva è indicata la protezione del territorio da parte di un SIC di interesse floristico (con l'illustrazione di un banale itinerario incredibilmente definito come "vegetazionale"), ma, aggirandosi sulle rupi circostanti, si può verificare come vari microambienti di vero interesse siano ben lontani dalla carrozzabile.
Da notare, peraltro, che questa pur bruttissima ed impattante strada bianca ha avuto - dopo inevitabile e ben organizzato riassetto d'urgenza - un'importanza vitale durante l'alluvione della Valtellina nel 1987, essendo rimasta l'unica via di comunicazione terrestre fra alta e media valle ad uso dei mezzi di soccorso militari.
Dal piazzale di Eita alle spalle della chiesa si dipartono due strade precluse al traffico non autorizzato (il pedaggio pagato le esclude): si sale per la sterrata di sinistra che va a percorrere tutta la valle fino all'ampio valico del Passo di Verva; il tracciato segue, con successivi adattamenti, passaggi tradizionali di pastori e, dal 1500, di vie di comunicazione fra la Repubblica Veneta e le regioni germaniche a nord di Livigno. Si tratta di un lungo spostamento con solo qualche largo curvone per guadagnare quota, che dopo aver accostato il Lago Acque Sparse e la deviazione (esclusivamente turistica) per il Lago Calosso (denominazione localmente sconosciuta, ma ormai praticamente ufficiale; in realtà Lago Turchino), raggiunge un moderno cippo - ricordo di un raduno di mezzi militari avvenuto nel 2010 a propria volta in ricordo della Guerra 1915-18 - in corrispondenza del valico. Si prosegue sulla carrozzabile scendendo per qualche centinaio di metri in comune di Valdidentro fino all'altezza dei pascoli paludosi e di un laghetto senza nome della Val Verva: qui si trova, sulla sinistra e segnalata da due minimi ometti di pietre, la partenza di una vecchia e disusata mulattiera militare; la traccia, ridotta a sentiero (e spesso nemmeno a quello), intraprende un lungo traverso ascendente della solita regolarissima pendenza militare che, aggirando una dorsale erbosa, si porta a raggiungere una sorta di bocchetta affacciata sulla parte iniziale della Val Viola, con vista fino all'imbocco presso il tornante di Arnoga. Appena sotto la sella si possono ancora individuare i basamenti in muro a secco di un edificio logistico. Salendo per alcuni metri sulla sponda di sinistra, fra roccette e poche erbe, si raggiunge l'ometto di vetta del Sasso di Castro: grandissimo ed esauriente il panorama verso il gruppo della Cima Piazzi. Da qui, seguendo qualche rarissimo ometto, si prosegue in saliscendi sul crinale che per lungo tratto presenta il versante meridionale mite e praticabile, mentre a nord precipita per più di un centinaio di metri una parete verticale e talora aggettante. Nella conca morenica alla nostra sinistra, alla base del Pizzo Dosdè, si presenta una serie di laghetti più o meno vasti in base al grado di siccità, ma sempre presenti e più o meno precisamente cartografati. [A questo proposito c'è da dire che la zona è piuttosto confusa: è difficile trovare concordanza sulle diverse mappe a disposizione circa quote, toponimi e localizzazioni...]. Dopo aver visitato alcune delle pozze (pulite e limpide, ma apparentemente sterili di fauna) decidiamo di seguire una traccia di sentiero che sembra avviarsi alla quota e nella direzione del Lago Turchino: si procede abbastanza speditamente nonostante l'esposizione e la franosità di alcuni tratti. Quando però, nell'approcciare la traversata di una colata di detriti rossi, l'instabilità del fondo si accentua, decidiamo di evitare difficoltà non essenziali e scendiamo lungo un canalone erboso e ghiaioso (rivelatosi altrettanto instabile - motivo del T3+) fino a ritrovare gli appoggiati pascoli che si vanno a smorzare nella strada bianca. Torniamo lungo la carrozzabile fino al Lago Acque Sparse, dove, per introdurre una variante, andiamo a seguire le indicazioni per Cassavrolo ed Eita. Lasciato alle spalle il suggestivo specchio d'acqua ci troviamo a percorrere quello che rimane del vecchio sentiero: una deplorevole traccia spianata con la ruspa attraverso un bosco di mughi a favore di un nuovo tracciato "inclusivo" per le e-bike, fra sassi smossi, radici estirpate e pozze di fango. Bene o male si raggiunge, dopo aver lasciato a destra la bella torbiera del Rifugio Falk, il dosso erboso che ospita i due nuclei di Cassavrolo; da qui poi non rimane che seguire la carrozzabile sterrata-asfaltata fino ad Eita. Questa alternativa alla via di salita non vale la pena: amareggia e basta.
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