Anello del Cimone dalla Val Mastallone
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Per la prima volta descrivo una gita escursionistica in Valsesia. Comitiva di 5 persone, splendida giornata autunnale non fredda e con cielo limpido quasi sgombro da nuvole per tutto il giorno.
Alla frazione La Gazza i cartelli indicano le due direttrici principali che si possono seguire, nel nostro caso una all’andata e l’altra al ritorno. La prima parte del sentiero per il Colle Baranca alterna salite a svolte e tratti in falsopiano finché un lungo traverso pianeggiante conduce all’Alpe Baranca, dove dovrebbe esserci un rifugio al quale non facciamo caso. Da qui il sentiero ricomincia a salire, entra nella forra con cascata percorsa dal torrente Mastallone e sbuca nella conca del lago di Baranca, ormai in buona parte interrato, ai piedi di una “spalla” del Cimone per nulla toccata dalla via di salita. Saliti in breve all’Alpe Selle sul Colle Baranca siamo a 5 minuti dal visibile rifugio Alpe Selle, che però lasciamo sulla destra.
Continuiamo verso sinistra e dopo pochi passi passiamo accanto a un casolare con la scritta “Albergo” e in cui non pernotta più nessuno da decenni. “E chi doveva venire a soggiornare in questo posto isolato per giustificare un albergo e perché proprio qui?” mi chiedo. Pochi metri avanti una freccia indica le rovine di “Villa Lancia”, proprio la famiglia della nota casa automobilistica, i cui fondatori erano di Fobello. Ecco che mi spiego la presenza dell’albergo.
Ripreso il sentiero, un lungo tratto in leggera salita continua verso ovest, aggira i contrafforti del Cimone rivelando la vetta e la cresta di salita e conduce ad una serie di tornanti che superano lo strappo per il Colle d’Egua. E qui la giornata limpida ci regala la vista di due pareti del Monte Rosa: il versante Est e quello valsesiano, che anche se conosciuti rimangono uno degli spettacoli più imponenti delle Alpi. Noto oramai poca neve sulla Est della Punta Nordend, neve che resiste sotto le Punte Gnifetti e Zumstein dove la parete rimane più in ombra. Fino a qui il sentiero è tutto segnato dalle striscie bianco-rosse con il numero 517.
Sul’altro versante un sentiero scende a Carcoforo, a sinistra si trova subito il bivacco Volpone-Sesone, poi la traccia continua stretta ma marcata e quasi orizzontale verso la Bocchetta degli Strienghi. La abbandoniamo quasi subito salendo a sinistra: alcune tracce e qualche sbiadito segno “158” ci guidano sulla cresta che scende dal Cimone e da una sua anticima.
Continuiamo sul versante di Fobello, un po' sotto il filo di cresta, sempre su traccia ora più marcata e con qualche ometto. Senza vere difficoltà di arrampicata ma su erba, terriccio e passando tra le rocce affioranti arriviamo in vetta al Cimone. Siamo partiti alla 10.10, sono le 13.55 e abbiamo fatto circa 15 minuti di sosta all’Alpe Selle. Il panorama si è aperto su altre famose montagne quali Stralhorn, Dom e Weissmies.
Sostiamo in cima fino alle 14.30. Scartata l’idea di tornare al Colle d’Egua per la via di salita e da lì percorrere la traccia che taglia il pendio fino alla Bocchetta degli Strienghi, decidiamo di raggiungere quest’ultima lungo la cresta sud cercando di aggirare i tratti rocciosi. Uno di noi compie questo tragitto, gli altri si lasciano tentare dallo scendere il pendio erboso verso la ben visibile Alpe Addiaccio (ricordiamo che oggi la visibilità è perfetta), non appena il versante sembra addolcirsi. Invece si rivela infido per via della scivolosa copertura erbosa unita alla pendenza. Personalmente faccio poca presa sull’erba, mi aiuto con i bastoncini e con le mani guantate (perché l’erba punge), faccio due scivolate di troppo comunque sotto controllo. Raggiungiamo una vaga traccia che taglia orizzontalmente il pendio circa 100 metri sotto la cima guidandoci, con un po' di attenzione nei tratti più inerbati, poco sotto la Bocchetta degli Strienghi.
Qui ricompaiono i segni bianco-rossi, di aspetto recente e talvolta con il numero 515, che aiutano a identificare tra l’erba una talora vaga traccia che porta all’Alpe Strienghi (in muratura e ben mimetizzata nell’ambiente) descrivendo curve molto ampie ma almeno si evita di scivolare. Superato il torrente si arriva all’Alpe Addiaccio da dove a sinistra si scende dapprima abbastanza vicini al torrente. Man mano che la discesa procede il sentiero si fa via via migliore, scende all’Alpe Piane superiore, percorre un tratto a mezzacosta e ormai ben marcato scende al punto di partenza percorrendo la valletta del Rio delle Piane. Sono quasi le 18, siamo stati in giro 7h40 con soste per circa un’ora.
L’impegno T3 l’ho messo per il tratto fuori sentiero.
Alla frazione La Gazza i cartelli indicano le due direttrici principali che si possono seguire, nel nostro caso una all’andata e l’altra al ritorno. La prima parte del sentiero per il Colle Baranca alterna salite a svolte e tratti in falsopiano finché un lungo traverso pianeggiante conduce all’Alpe Baranca, dove dovrebbe esserci un rifugio al quale non facciamo caso. Da qui il sentiero ricomincia a salire, entra nella forra con cascata percorsa dal torrente Mastallone e sbuca nella conca del lago di Baranca, ormai in buona parte interrato, ai piedi di una “spalla” del Cimone per nulla toccata dalla via di salita. Saliti in breve all’Alpe Selle sul Colle Baranca siamo a 5 minuti dal visibile rifugio Alpe Selle, che però lasciamo sulla destra.
Continuiamo verso sinistra e dopo pochi passi passiamo accanto a un casolare con la scritta “Albergo” e in cui non pernotta più nessuno da decenni. “E chi doveva venire a soggiornare in questo posto isolato per giustificare un albergo e perché proprio qui?” mi chiedo. Pochi metri avanti una freccia indica le rovine di “Villa Lancia”, proprio la famiglia della nota casa automobilistica, i cui fondatori erano di Fobello. Ecco che mi spiego la presenza dell’albergo.
Ripreso il sentiero, un lungo tratto in leggera salita continua verso ovest, aggira i contrafforti del Cimone rivelando la vetta e la cresta di salita e conduce ad una serie di tornanti che superano lo strappo per il Colle d’Egua. E qui la giornata limpida ci regala la vista di due pareti del Monte Rosa: il versante Est e quello valsesiano, che anche se conosciuti rimangono uno degli spettacoli più imponenti delle Alpi. Noto oramai poca neve sulla Est della Punta Nordend, neve che resiste sotto le Punte Gnifetti e Zumstein dove la parete rimane più in ombra. Fino a qui il sentiero è tutto segnato dalle striscie bianco-rosse con il numero 517.
Sul’altro versante un sentiero scende a Carcoforo, a sinistra si trova subito il bivacco Volpone-Sesone, poi la traccia continua stretta ma marcata e quasi orizzontale verso la Bocchetta degli Strienghi. La abbandoniamo quasi subito salendo a sinistra: alcune tracce e qualche sbiadito segno “158” ci guidano sulla cresta che scende dal Cimone e da una sua anticima.
Continuiamo sul versante di Fobello, un po' sotto il filo di cresta, sempre su traccia ora più marcata e con qualche ometto. Senza vere difficoltà di arrampicata ma su erba, terriccio e passando tra le rocce affioranti arriviamo in vetta al Cimone. Siamo partiti alla 10.10, sono le 13.55 e abbiamo fatto circa 15 minuti di sosta all’Alpe Selle. Il panorama si è aperto su altre famose montagne quali Stralhorn, Dom e Weissmies.
Sostiamo in cima fino alle 14.30. Scartata l’idea di tornare al Colle d’Egua per la via di salita e da lì percorrere la traccia che taglia il pendio fino alla Bocchetta degli Strienghi, decidiamo di raggiungere quest’ultima lungo la cresta sud cercando di aggirare i tratti rocciosi. Uno di noi compie questo tragitto, gli altri si lasciano tentare dallo scendere il pendio erboso verso la ben visibile Alpe Addiaccio (ricordiamo che oggi la visibilità è perfetta), non appena il versante sembra addolcirsi. Invece si rivela infido per via della scivolosa copertura erbosa unita alla pendenza. Personalmente faccio poca presa sull’erba, mi aiuto con i bastoncini e con le mani guantate (perché l’erba punge), faccio due scivolate di troppo comunque sotto controllo. Raggiungiamo una vaga traccia che taglia orizzontalmente il pendio circa 100 metri sotto la cima guidandoci, con un po' di attenzione nei tratti più inerbati, poco sotto la Bocchetta degli Strienghi.
Qui ricompaiono i segni bianco-rossi, di aspetto recente e talvolta con il numero 515, che aiutano a identificare tra l’erba una talora vaga traccia che porta all’Alpe Strienghi (in muratura e ben mimetizzata nell’ambiente) descrivendo curve molto ampie ma almeno si evita di scivolare. Superato il torrente si arriva all’Alpe Addiaccio da dove a sinistra si scende dapprima abbastanza vicini al torrente. Man mano che la discesa procede il sentiero si fa via via migliore, scende all’Alpe Piane superiore, percorre un tratto a mezzacosta e ormai ben marcato scende al punto di partenza percorrendo la valletta del Rio delle Piane. Sono quasi le 18, siamo stati in giro 7h40 con soste per circa un’ora.
L’impegno T3 l’ho messo per il tratto fuori sentiero.
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