Pizzo del Moro, Tre Pizzi e Pizzo Nona - Valle Anzasca
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Entusiasmante traversata tra terra e cielo dal Colle di Baranca al Colle Dorchetta.
Annotazioni
Percorso lungo e faticoso, per lo più senza traccia, su terreno erboso, spesso ripido e con tratti esposti. Consigliabile nel senso descritto in modo da superare in salita i tratti più impegnativi.
Per l'accesso alla cresta, mi risulta che normalmente venga percorso il Croso del Lattaio, il canale che scende dalla cresta tra l'Alpe Oreto e il Colle di Baranca. In questa occasione ho salito invece il canale che scende immediatamente a Est dell'Alpe Oreto. In questo modo si giunge in cresta senza oltrepassare l'Alpe Oreto.
Dall'Alpe Giavine all'Alpe Oreto
Lascio la macchina all'Alpe Giavine, al termine della strada asfaltata che, uscendo da Bannio, passa da Valpiana e Case Rovazzi.
Imbocco il sentiero segnalato che in breve porta all'Alpe Castelletto e proseguo seguendo le indicazioni per il Colle Dorchetta. Superato un ponte di cemento, proseguo a Ovest seguendo le indicazioni per la Val Baranca. Superato l'Alpe Mundà, il sentiero attraversa un bel bosco di faggi fino ad arrivare ad un ponte di metallo, in prossimità di alcuni ruderi, con cui si supera il torrente Olocchia e si raggiunge la strada asfaltata, che percorro fino al suo termine, Piè di Baranca. Salgo quindi sulla mulattiera per Baranca fino all'Alpe Oreto.
Fino qui 1:45
Dall'Alpe Oreto al Colle Dorchetta
Alzo gli occhi e per pochi secondi mi sorvola la maestà di un'aquila.
Nella prosecuzione del percorso mi trovo ad aggirare qualche tratto roccioso con spostamenti di pochi metri sul versante Sud.
Sceso al Passo di Drocaccia (2097 m), risalgo su una cresta erbosa che, per effetto della stanchezza, sembra molto più lunga di quello che in realtà è (sono 150 m di dislivello), fino alla grande croce di vetta. La scritta "Pizzo Nona della Benna" sulla targa di metallo sembra una combinazione dei due nomi (presumibilmente alternativi) di questa montagna...
Mi riposo e mangio ancora qualcosa prima della discesa.
Annotazioni
Percorso lungo e faticoso, per lo più senza traccia, su terreno erboso, spesso ripido e con tratti esposti. Consigliabile nel senso descritto in modo da superare in salita i tratti più impegnativi.
Per l'accesso alla cresta, mi risulta che normalmente venga percorso il Croso del Lattaio, il canale che scende dalla cresta tra l'Alpe Oreto e il Colle di Baranca. In questa occasione ho salito invece il canale che scende immediatamente a Est dell'Alpe Oreto. In questo modo si giunge in cresta senza oltrepassare l'Alpe Oreto.
Dall'Alpe Giavine all'Alpe Oreto
Lascio la macchina all'Alpe Giavine, al termine della strada asfaltata che, uscendo da Bannio, passa da Valpiana e Case Rovazzi.
Imbocco il sentiero segnalato che in breve porta all'Alpe Castelletto e proseguo seguendo le indicazioni per il Colle Dorchetta. Superato un ponte di cemento, proseguo a Ovest seguendo le indicazioni per la Val Baranca. Superato l'Alpe Mundà, il sentiero attraversa un bel bosco di faggi fino ad arrivare ad un ponte di metallo, in prossimità di alcuni ruderi, con cui si supera il torrente Olocchia e si raggiunge la strada asfaltata, che percorro fino al suo termine, Piè di Baranca. Salgo quindi sulla mulattiera per Baranca fino all'Alpe Oreto.
Fino qui 1:45
Dall'Alpe Oreto al Colle Dorchetta
Incuriosito dalle numerose tracce che traversano il versante, mi porto sul conoide a sinistra (Est) delle baite e lo risalgo. Da notare che le tracce di animali si limitano a traversare, senza salire verso la cresta... Risalgo con molta cautela il canalino sovrastante, decisamente infido, a dispetto di quello che si può immaginare guardando le foto. Si incontrano dei piccoli salti su rocce scivolose e poco solide, con pochi appigli. Gli ontani vengono in aiuto solo nella parte terminale. Esco in cresta, dove splende il sole.
Alzo gli occhi e per pochi secondi mi sorvola la maestà di un'aquila.
Per proseguire versa la meta si deve risalire una ripida cresta ricoperta d'erba pungente, in cui il corpo affonda come tra le setole di un gigantesco animale. Salgo a quattro zampe, constatando fin dai primi movimenti che la tenuta delle suole su questo tipo di erba è eccezionale. E' una grande fortuna, perché siamo su pendenze assassine.
Ad un certo punto il terreno concede una tregua: la pendenza diminuisce, il colmo della dorsale si allarga per fare posto ad una sorta di altopiano, al cospetto della sommità di Ul Tignùs (quota 2174 m CNS). Mi fermo per allentare la tensione e mangiare qualcosa in vista della salita finale.
Superata una zona con grossi massi che precede un colletto, affacciato su un pianoro esposto a Nord dove vagano indisturbati i camosci, la cresta diviene per un tratto nuovamente ripida ma l'esposizione è minore rispetto al tratto iniziale. Procedendo sempre sul filo, raggiungo la cima del Pizzo del Moro, dove trovo solo un mucchio di sassi a segnalare la cima, come si conviene ad un luogo selvatico e poco frequentato come questo.
Ad un certo punto il terreno concede una tregua: la pendenza diminuisce, il colmo della dorsale si allarga per fare posto ad una sorta di altopiano, al cospetto della sommità di Ul Tignùs (quota 2174 m CNS). Mi fermo per allentare la tensione e mangiare qualcosa in vista della salita finale.
Superata una zona con grossi massi che precede un colletto, affacciato su un pianoro esposto a Nord dove vagano indisturbati i camosci, la cresta diviene per un tratto nuovamente ripida ma l'esposizione è minore rispetto al tratto iniziale. Procedendo sempre sul filo, raggiungo la cima del Pizzo del Moro, dove trovo solo un mucchio di sassi a segnalare la cima, come si conviene ad un luogo selvatico e poco frequentato come questo.
Sensazione impagabile di libertà. Una cima che mi ha emozionato come pochissime altre.
Proseguo lungo la verdissima cresta e, senza incontrare difficoltà particolari, scavalco le cime dei Tre Pizzi, dove non c'è nemmeno un ometto. E' il punto più lontano da casa: da qui inizia il ritorno.
Nella prosecuzione del percorso mi trovo ad aggirare qualche tratto roccioso con spostamenti di pochi metri sul versante Sud.
Sceso al Passo di Drocaccia (2097 m), risalgo su una cresta erbosa che, per effetto della stanchezza, sembra molto più lunga di quello che in realtà è (sono 150 m di dislivello), fino alla grande croce di vetta. La scritta "Pizzo Nona della Benna" sulla targa di metallo sembra una combinazione dei due nomi (presumibilmente alternativi) di questa montagna...
Mi riposo e mangio ancora qualcosa prima della discesa.
Mi calo direttamente sotto la croce di vetta, con le baite dell'Alpe Helo 500 m sotto di me, quindi mi sposto sullo spigolo della cresta Est, che discendo con una mano costantemente stretta ad un ciuffo d'erba...
Ormai quasi al termine della cresta, un salto di roccia pochi metri sopra il Colle Dorchetta mi porta a traversare a destra (S) per scendere l'ultimo tratto in un canalino la cui uscita è alle spalle di un grande rudere nelle immediate vicinanze del valico.
Tempi
Alpe Oreto - Pizzo del Moro 2 ore
Pizzo del Moro - Pizzo Nona 1,5 ore
Pizzo Nona - Colle Dorchetta 1 ora
Dal Colle Dorchetta all'Alpe Giavine
Seguendo un sentiero ben segnato, raggiungo l'Alpe Dorchetta, ancora utilizzato, e quindi il bivio segnalato situato a Est dell'Alpe Mundà, da dove ero passato al mattino. Supero nuovamente il ponte di cemento e in breve sono al parcheggio dell'Alpe Giavine dove si chiude questa bellissima avventura.
Tempi: 1:10
Tempi
Alpe Oreto - Pizzo del Moro 2 ore
Pizzo del Moro - Pizzo Nona 1,5 ore
Pizzo Nona - Colle Dorchetta 1 ora
Dal Colle Dorchetta all'Alpe Giavine
Seguendo un sentiero ben segnato, raggiungo l'Alpe Dorchetta, ancora utilizzato, e quindi il bivio segnalato situato a Est dell'Alpe Mundà, da dove ero passato al mattino. Supero nuovamente il ponte di cemento e in breve sono al parcheggio dell'Alpe Giavine dove si chiude questa bellissima avventura.
Tempi: 1:10
Tourengänger:
atal

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Kommentare (6)