Pizzo Bianco (3215m) da Rosareccio - ATTENZIONE, CANE SOSPETTO
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Anche stavolta mi dilungo. Oggi avrei voluto solo condividere la soddisfazione per aver salito per la prima volta il Pizzo Bianco, dopo l’accantonamento last-minute della cresta Ovest del Pizzo Nero grazie ai preziosissimi consigli di Atal e di Bruno (i-mei-muntagn), e invece mi è rimasto un po’ di amaro in bocca.
La prendo un po’ alla larga: anni fa in settembre, arrivando da Rosareccio (esposizione Nord) sotto il Colletto del Pizzo Nero, avevo rinunciato sulle lisce placche completamente ricoperte da verglas. Stavolta confido nel global warming e parto deciso da Pecetto alle 7:15, con l’intenzione di arrivare al Colletto, salire al Pizzo Bianco per la famigerata cresta di sfasciumi, tornare giù ai Piani Alti e da lì percorrere il sentiero Saglio fino alla Zamboni, dove ho appuntamento con moglie e figlie per pranzo.
Arrivato ai Burki, imbocco la salita per Rosareccio e subito noto il recente cartello che avvisa della presenza in zona di “cani da protezione” a tutela delle greggi di pecore, ed elenca una serie di regole di prudenza per evitare problemi. Passo oltre pensando che è tutto normale, ma anche che se c’è quel cartello forse significa che qualcosa di spiacevole in passato magari è successo davvero. Incontro il gregge vicino all’Alpe Rosareccio, ma i cani sono troppo impegnati nel loro lavoro per curarsi di me.
Il sentiero, un po’ scivoloso ma redditizio, in poco tempo porta ai Piani Alti e ai ruderi della funivia dismessa. Poco sopra, superato uno stambecco per nulla impaurito, raggiungo le placche (bagnate anche stavolta, ma non ghiacciate) che supero anche con l’aiuto di una corda fissa, che non ricordavo e che a mio avviso è molto utile. In realtà probabilmente il passaggio è aggirabile sulla destra salendo liberamente il vallone tenendosi in mezzo, ma bisogna iniziare a farlo molto più in basso, indicativamente dove il sentiero lambisce una piccola sorgente di acqua per poi piegare decisamente a sinistra.
La traccia è davvero molto ripida e in un attimo si raggiunge la cresta ovest del Pizzo Nero. Da qui il percorso è molto intuitivo: prima si aggirano sul lato Val Quarazza le ultime propaggini occidentali della cresta, poi si raggiunge il Colletto del Pizzo Nero vero e proprio (palina colorata) e da qui… basta stare sulla dorsale e salire. Gli ometti sono numerosi e con buona visibilità non ci sono dubbi, e comunque il crestone è davvero largo e si può scegliere il percorso a piacimento. Superata la zona delle due anticime, dove si intuisce a destra lo sbocco superiore del Canalone Chiovenda, appare la vera cima con la madonnina che si raggiunge per cresta o con facile arrampicata su blocchi (dipende da dove si arriva al tratto finale). Persone incontrate: zero.
Nota a margine: nelle condizioni attuali, per salire da Rosareccio non servono né piccozza né ramponi. I pochi nevai sono ai minimi termini e tutti aggirabili. Ho rimpianto di non essere in assetto leggero. Magari è utile il caschetto per qualche punto se ci sono persone davanti, ma c’è spazio per tutti e quindi il rischio e minimo. Certo che se poi si vuole scendere dal Chiovenda o dalla Punta Battisti la musica cambia…
Sono molto soddisfatto, anche per il tempo impiegato (3h20min), e poi il Rosa visto da qui è indescrivibile. In cinque minuti sento almeno tre crolli dalla parete Est, segno che i ghiacciai sono davvero al limite.
Inizio la discesa e per me iniziano anche i problemi. Arrivato ai Piani Alti alle 12:15, imbocco l’evidente sentiero Saglio verso la Zamboni, e alla fine della prima salita incontro un cane. E’ una femmina, una specie di maremmano abruzzese incrociato. Rimane ferma a bordo sentiero, una decina di metri davanti a me, nel punto in cui il sentiero sembra scollinare, e ogni tanto si volta all’indietro. Penso quindi che stia aspettando i padroni, e allora attendo un po’ anche io. Non arriva nessuno e deduco che sia un cane pastore. Non si muove. Allora mi muovo io, e le arrivo a circa 3 metri. Inizia a ringhiarmi contro e non abbandona la posizione dominante. Senza voltarmi scendo qualche metro, poi riprovo a salire, e quando sono a tiro ricomincia a ringhiare. Ci provo ancora e la musica non cambia. Visto anche il cartello di cui sopra, non forzo il passaggio e, guardando il cane negli occhi, indietreggio parlandogli con calma. Poi mi volto a valle e mi incammino in discesa come per tornare ai Piani Alti, e il cane inizia a seguirmi. Continuo a parlare, con tono pacato, per tranquillizzarlo. Quando mi fermo, si ferma anche il cane sempre standomi alle spalle. Tornato in zona pianeggiante, dove lo spazio si apre e non c’è più il passaggio obbligato sul sentiero, provo a farmi da parte: magari infatti quando ci siamo incontrati il cane voleva solo scendere, e io gli stavo sbarrando il passaggio, quindi mi immagino che spostandomi a lato tutto sarebbe finito lì: il cane cioè passi, e io riprendo a salire. Invece non vuole scendere affatto, tanto che mi supera e poi si ferma senza perdermi di vista un attimo: ora sono io a starle qualche metro al di sopra. Mi giro a monte e inizio a salire di nuovo, ma mi segue. Non voglio portarmela fino al punto in cui mi ringhiava, e non capisco quali siano le sue intenzioni: essendo poi da solo e non volendo problemi, mi rassegno all’idea che, per arrivare alla Zamboni, mi toccherà scendere ai Burki e ricominciare a salire via Belvedere (altri quasi 500m di dislivello dopo averne fatti 1860+60…). D’accordo, ma ora il cane è fermo davanti a me sulla via della discesa, cosa fare? Provo ad affiancarlo e superarlo e qui me lo lascia fare, allora capisco che proprio non voleva che salissi verso la Zamboni, mentre nulla osta per la mia discesa a valle. Capisco che devo solamente levarmi di mezzo perché non sono gradito. Mi viene in mente però che nel percorso verso valle dovrò ripassare dall’Alpe Rosareccio e quindi dal gregge e dai suoi cani pastore, e nella paranoia inizio a pensare che il cane stia cercando di portarmi “a casa sua”, da altri cani. Ma non ho molta scelta. Il cane mi segue e mi molla solamente ai ruderi della funivia, sempre però controllandomi dall’alto. Ogni tanto mi giro per vedere se mi segue ancora, ma non sarà così.
Arrivato all’Alpe Rosareccio trovo il pastore, che al mattino era in giro, e dopo aver saputo che il cane è suo gli faccio presente che è potenzialmente pericoloso. Mi risponde che non ha mai dato problemi, dicendomi che per risalire alla Zamboni posso ormai anche passare dall’Alpe Crosa evitando così di scendere al Burki: , ma il sentiero è “per escursionisti esperti” (aggiunta a penna sul cartello) e non ho voglia di incasinarmi, e poi chi mi assicura che non incontrerei ancora il cane?
Dai Burki raggiungo faticosamente il Belvedere, buttando di continuo un occhio alla seggiovia perché ormai sono quasi le 14 e non è detto (il cellulare non ha campo) che le donne non stiano già scendendo a valle visto che nel pomeriggio minaccia pioggia. Al Belvedere, dopo la solitudine quasi totale interrotta solo da cani e pastori, quasi mi fa piacere immettermi nella processione di gente che percorre la morena. Alla Zamboni oltre alle mie donne, un po’ preoccupate perché tardavo a raggiungerle, trovo un carabiniere a cui racconto l’accaduto: è giusto uno sfogo, anche se mi dice che “ho fatto bene a parlarne”. Scopro dal rifugista che il giorno prima quel cane, proprio percorrendo il sentiero Saglio, aveva raggiunto da solo la Zamboni. Nel riposarmi vedo almeno tre gruppetti di escursionisti che si incamminano dalla capanna verso il sentiero Saglio, e mi domando se quel cane riserverà loro lo stesso trattamento quando passano dalla zona in cui ha ringhiato a me… Non voglio credere che sia così, e quindi a maggior ragione mi chiedo che cosa in me lo abbia disturbato così tanto. Forse che ero solo? O che avevo in mano i bastoncini?
Dopo un ultimo sguardo al Pizzo Bianco, da qui davvero lontano, stacco il cervello e spengo i brutti pensieri, e la tensione si stempera in un sereno pomeriggio “in famiglia”. Mi restano però dentro qualche dubbio, un po’ di incazzatura e una domanda un po’ inquietante: se fossi passato con le mie bambine, cosa sarebbe successo?
La prendo un po’ alla larga: anni fa in settembre, arrivando da Rosareccio (esposizione Nord) sotto il Colletto del Pizzo Nero, avevo rinunciato sulle lisce placche completamente ricoperte da verglas. Stavolta confido nel global warming e parto deciso da Pecetto alle 7:15, con l’intenzione di arrivare al Colletto, salire al Pizzo Bianco per la famigerata cresta di sfasciumi, tornare giù ai Piani Alti e da lì percorrere il sentiero Saglio fino alla Zamboni, dove ho appuntamento con moglie e figlie per pranzo.
Arrivato ai Burki, imbocco la salita per Rosareccio e subito noto il recente cartello che avvisa della presenza in zona di “cani da protezione” a tutela delle greggi di pecore, ed elenca una serie di regole di prudenza per evitare problemi. Passo oltre pensando che è tutto normale, ma anche che se c’è quel cartello forse significa che qualcosa di spiacevole in passato magari è successo davvero. Incontro il gregge vicino all’Alpe Rosareccio, ma i cani sono troppo impegnati nel loro lavoro per curarsi di me.
Il sentiero, un po’ scivoloso ma redditizio, in poco tempo porta ai Piani Alti e ai ruderi della funivia dismessa. Poco sopra, superato uno stambecco per nulla impaurito, raggiungo le placche (bagnate anche stavolta, ma non ghiacciate) che supero anche con l’aiuto di una corda fissa, che non ricordavo e che a mio avviso è molto utile. In realtà probabilmente il passaggio è aggirabile sulla destra salendo liberamente il vallone tenendosi in mezzo, ma bisogna iniziare a farlo molto più in basso, indicativamente dove il sentiero lambisce una piccola sorgente di acqua per poi piegare decisamente a sinistra.
La traccia è davvero molto ripida e in un attimo si raggiunge la cresta ovest del Pizzo Nero. Da qui il percorso è molto intuitivo: prima si aggirano sul lato Val Quarazza le ultime propaggini occidentali della cresta, poi si raggiunge il Colletto del Pizzo Nero vero e proprio (palina colorata) e da qui… basta stare sulla dorsale e salire. Gli ometti sono numerosi e con buona visibilità non ci sono dubbi, e comunque il crestone è davvero largo e si può scegliere il percorso a piacimento. Superata la zona delle due anticime, dove si intuisce a destra lo sbocco superiore del Canalone Chiovenda, appare la vera cima con la madonnina che si raggiunge per cresta o con facile arrampicata su blocchi (dipende da dove si arriva al tratto finale). Persone incontrate: zero.
Nota a margine: nelle condizioni attuali, per salire da Rosareccio non servono né piccozza né ramponi. I pochi nevai sono ai minimi termini e tutti aggirabili. Ho rimpianto di non essere in assetto leggero. Magari è utile il caschetto per qualche punto se ci sono persone davanti, ma c’è spazio per tutti e quindi il rischio e minimo. Certo che se poi si vuole scendere dal Chiovenda o dalla Punta Battisti la musica cambia…
Sono molto soddisfatto, anche per il tempo impiegato (3h20min), e poi il Rosa visto da qui è indescrivibile. In cinque minuti sento almeno tre crolli dalla parete Est, segno che i ghiacciai sono davvero al limite.
Inizio la discesa e per me iniziano anche i problemi. Arrivato ai Piani Alti alle 12:15, imbocco l’evidente sentiero Saglio verso la Zamboni, e alla fine della prima salita incontro un cane. E’ una femmina, una specie di maremmano abruzzese incrociato. Rimane ferma a bordo sentiero, una decina di metri davanti a me, nel punto in cui il sentiero sembra scollinare, e ogni tanto si volta all’indietro. Penso quindi che stia aspettando i padroni, e allora attendo un po’ anche io. Non arriva nessuno e deduco che sia un cane pastore. Non si muove. Allora mi muovo io, e le arrivo a circa 3 metri. Inizia a ringhiarmi contro e non abbandona la posizione dominante. Senza voltarmi scendo qualche metro, poi riprovo a salire, e quando sono a tiro ricomincia a ringhiare. Ci provo ancora e la musica non cambia. Visto anche il cartello di cui sopra, non forzo il passaggio e, guardando il cane negli occhi, indietreggio parlandogli con calma. Poi mi volto a valle e mi incammino in discesa come per tornare ai Piani Alti, e il cane inizia a seguirmi. Continuo a parlare, con tono pacato, per tranquillizzarlo. Quando mi fermo, si ferma anche il cane sempre standomi alle spalle. Tornato in zona pianeggiante, dove lo spazio si apre e non c’è più il passaggio obbligato sul sentiero, provo a farmi da parte: magari infatti quando ci siamo incontrati il cane voleva solo scendere, e io gli stavo sbarrando il passaggio, quindi mi immagino che spostandomi a lato tutto sarebbe finito lì: il cane cioè passi, e io riprendo a salire. Invece non vuole scendere affatto, tanto che mi supera e poi si ferma senza perdermi di vista un attimo: ora sono io a starle qualche metro al di sopra. Mi giro a monte e inizio a salire di nuovo, ma mi segue. Non voglio portarmela fino al punto in cui mi ringhiava, e non capisco quali siano le sue intenzioni: essendo poi da solo e non volendo problemi, mi rassegno all’idea che, per arrivare alla Zamboni, mi toccherà scendere ai Burki e ricominciare a salire via Belvedere (altri quasi 500m di dislivello dopo averne fatti 1860+60…). D’accordo, ma ora il cane è fermo davanti a me sulla via della discesa, cosa fare? Provo ad affiancarlo e superarlo e qui me lo lascia fare, allora capisco che proprio non voleva che salissi verso la Zamboni, mentre nulla osta per la mia discesa a valle. Capisco che devo solamente levarmi di mezzo perché non sono gradito. Mi viene in mente però che nel percorso verso valle dovrò ripassare dall’Alpe Rosareccio e quindi dal gregge e dai suoi cani pastore, e nella paranoia inizio a pensare che il cane stia cercando di portarmi “a casa sua”, da altri cani. Ma non ho molta scelta. Il cane mi segue e mi molla solamente ai ruderi della funivia, sempre però controllandomi dall’alto. Ogni tanto mi giro per vedere se mi segue ancora, ma non sarà così.
Arrivato all’Alpe Rosareccio trovo il pastore, che al mattino era in giro, e dopo aver saputo che il cane è suo gli faccio presente che è potenzialmente pericoloso. Mi risponde che non ha mai dato problemi, dicendomi che per risalire alla Zamboni posso ormai anche passare dall’Alpe Crosa evitando così di scendere al Burki: , ma il sentiero è “per escursionisti esperti” (aggiunta a penna sul cartello) e non ho voglia di incasinarmi, e poi chi mi assicura che non incontrerei ancora il cane?
Dai Burki raggiungo faticosamente il Belvedere, buttando di continuo un occhio alla seggiovia perché ormai sono quasi le 14 e non è detto (il cellulare non ha campo) che le donne non stiano già scendendo a valle visto che nel pomeriggio minaccia pioggia. Al Belvedere, dopo la solitudine quasi totale interrotta solo da cani e pastori, quasi mi fa piacere immettermi nella processione di gente che percorre la morena. Alla Zamboni oltre alle mie donne, un po’ preoccupate perché tardavo a raggiungerle, trovo un carabiniere a cui racconto l’accaduto: è giusto uno sfogo, anche se mi dice che “ho fatto bene a parlarne”. Scopro dal rifugista che il giorno prima quel cane, proprio percorrendo il sentiero Saglio, aveva raggiunto da solo la Zamboni. Nel riposarmi vedo almeno tre gruppetti di escursionisti che si incamminano dalla capanna verso il sentiero Saglio, e mi domando se quel cane riserverà loro lo stesso trattamento quando passano dalla zona in cui ha ringhiato a me… Non voglio credere che sia così, e quindi a maggior ragione mi chiedo che cosa in me lo abbia disturbato così tanto. Forse che ero solo? O che avevo in mano i bastoncini?
Dopo un ultimo sguardo al Pizzo Bianco, da qui davvero lontano, stacco il cervello e spengo i brutti pensieri, e la tensione si stempera in un sereno pomeriggio “in famiglia”. Mi restano però dentro qualche dubbio, un po’ di incazzatura e una domanda un po’ inquietante: se fossi passato con le mie bambine, cosa sarebbe successo?
Tourengänger:
Serzo

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