Palù. Ma un po' più giù.
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Bisognava andare al venerdì.
Sabato, Meteos, che già le previsioni davano un po' meno sorridente, si presenta scostante all'appuntamento.
Ma, a rovinar la festa, non è lui ma il cuginetto Eolo che tenta di buttarci giù dalla sella a quota 3730, senza lasciarci neppure prendere in considerazione l'idea di finire il lavoro.
Esordio duro; durissimo... Alle 5 e 30 parto da Como raccontando con nostalgia a Pancho la spettacolare scialpinistica della domenica precedente, quando con Schiep, calzati gli sci a Parco San Primo, poco prima di mezzogiorno e scavalcata rapidamente la vetta eravamo piombati come falchi sul Rifugio Martina, per infilare le gambe sotto ad una leggendaria polenta uncia.
Due ore e mezza di macchina, una vita; agganciato per strada il Capitano, che vuole andare all'Aprica passando per il Palù.
Nuvole ovunque, al Diavolezza, ma non dovevano arrivare stasera?
Beh, la visibilità è buona: andiamo.
Per soli 14 franchi a sci, la prima corsa della gigantesca funivia ci scodella ai 2973 metri della stazione superiore dove, a freddo, affrontiamo subito la parte più difficile dell'escursione: la discesa, circa 200 metri su marmo plissettato, fino ai piedi della parete ovest del Piz Trovat, da dove la via breve per il Piz Palù, inizia, dolcemente, a salire.
Ascesa semplice, già ben tracciata e sicura.

Certo, qualche buco c'è.
Ma è più un problema che riguarda la discesa, che andrà fatta con la dovuta prudenza: per ora si viaggia tranquilli.
Ogni tanto, un po’ di vento; qua e là, una spruzzata di sole; in un paio di brevi tratti, calma e grande caldo; davanti a noi, tre germanofoni in cordata fanno strada.
A parte una decina di telefonate per problemi di lavoro, la salita scorre senza intoppi fino intorno alla quota 3600, dove il vento comincia a farla da padrone e la neve, su un tratto ripido, è particolarmente dura: le pelli un po’ undersize mi danno qualche problema. Alla prossima inversione metto i rampanti; no, alla prossima....
Sul traverso un po’ bastardo, una scivolata brusca; lo sci a valle si sgancia e saluta: noooooo..! “Magari i laccetti, eh!” “Sì, sì, hai ragione.... voi andate, eventualmente ci vediamo alla sella.”
La cosa è meno drammatica di quanto apparsa di primo acchito: una sessantina di metri più giù (parola di Geo Patacca) lo sci, mi aspetta coricato su un fianco. E gli ultimi metri me li risparmia un gentile componente di un gruppetto di sette che chiude la pattuglia dei salitori odierni.
Altra telefonata, altro smistamento ordini, metti i rampanti, fai un paio di foto, gira e vai: i soci sono ormai su.
In balia di un vento già furioso, risalgo il gruppo e, dopo un antipatico traverso, con una lunga anche se superficiale frattura, l’ultimo pendio. Sulla sella Pancho e il Capitano sono già apparecchiati per la discesa; i tre in cordata hanno ripiegato; del gruppo dei sette ne arriva solo uno. Sulla rinuncia non ho dubbi, anche se sette ore di bilancio finale tra auto funivia e trenino fanno a pugni con le due ore e mezza scarse di salita, la cima mancata, le scarse fotografie ed un dislivello che arriva ai mille metri solo grazie alla disavventura dello sci.
Eppure, un paio di ardimentosi, stanno scendendo il salto finale, debitamente aggrappati al pendio; dovrebbero far parte di un gruppo che era già in alto al momento del nostro sbarco dalla funivia. Hanno dormito al rifugio? Son partiti presto dal basso con gli sci?
In ogni caso, giocare d’anticipo ha pagato.
Adesso, invece, sembra che il vento possa solo rinforzare; ci accontentiamo di rubare qualche immagine su quella che il Capitano battezza “cima sciistica” e che io, più prosaicamente, “nomo” Sella 3730.
Abbandonarla non è facile: il vento, ora, esagera e sembra non volerci lasciar superare il gradino che immette sul pendio, tempestandoci con milioni di aghi di neve ghiacciata. Ci “stringiamo a coorte” e con uno sforzo comune saltiam giù dal gradino ed espugnamo la postazione!
Dieci rapide curve su bella neve e la situazione subito migliora: Eolo lasca subito e, gradatamente s’accheta. Così, anche se, inizialmente, la quota, poco avvertita durante la salita, tiranneggia un po’ i quadricipiti con una pesante accisa sull’ossigeno, la discesa può dipanarsi sciolta e divertente.
Orientandoci con le numerose scie, ci destreggiamo senza particolari problemi fra i non troppi crepacci della Vadret Pers per andare ad infilare la comoda via “palinata” che discende il Ghiacciaio del Morteratsch fino all’omonima stazione del Trenino Rosso del Bernina.
Mancano venticinque minuti alle 14 e 18: la birra ci sta comoda. Poi saliamo sul treno e in pochi minuti siamo di nuovo al Diavolezza.
Salutiamo il Capitano che s’avvia verso il Passo del Bernina e l’Aprica e ci mettiamo in macchina per il viaggio di ritorno.
Troooppo lungo...! San Primo for ever!

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