Monte Vadà (1836 m) - SKT
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Dieci chilometri con gli sci sulle spalle: mi aspettavo qualcosa di meno in realtà… ma anche conoscendo in anticipo queste condizioni, sarei partito ugualmente! Perché solo l’idea di essere lì, fa dimenticare tutto. Fa dimenticare anche che la seconda montagna è rimasta a guardarmi dall’alto, troppo carica per donarsi in sicurezza. Ma già l’idea di discendere quei pendii, percorsi tante volte a piedi, stavolta con i legni ai metatarsi… come gustare un cioccolatino al buio, assaporandone il gusto, il profumo, la forma, la superficie e l’interno, facendo defluire quella sensazione di magia a poco a poco… con il Verbano scintillante davanti a sé, in una corrispondenza d’amorosi sensi con la sua Regina, lì davanti, bianca, immacolata, attraente…
Parto da Scareno e via Piaggia raggiungo le due baite alte di Corte Bavarone (1240 m) dove tolgo finalmente gli sci dallo zaino e me li metto ai piedi, due ore dopo la partenza. Evito il Passo Folungo e sbuco sulla Strada Cadorna un po’ più in alto. La seguo a tratti, e, ove possibile, taglio i lunghi tornanti con salita diretta. Molto spesso la neve fa scomparire totalmente la seppur larga mulattiera, ricoprendola con una crosta gonfia non del tutto rassicurante. Di scarichi se ne vedono, qua e là, già scesi qualche giorno prima: buon segno, ma forse influenzato dalle cattive notizie degli ultimi giorni in merito alle valanghe, rimango guardingo. Salendo, la quantità di neve aumenta esponenzialmente. Arrivo al bivacco del Pian Vadà e decido che la vetta che la sormonta, spesso ignorata, sarà la mia cima. Il pendio richiede parecchie inversioni, ma comunque, sempre senza ausilio di ferri, guadagno la cima del Monte Vadà.
Tra le due quote che le carte riportano (1814 m e 1836 m), immagino che la vetta vera e propria del Monte Vadà sia la più alta (come riporta la Cartina Zanetti): non avrebbe senso l’opposto… o mi sbaglio? La quota 1814, situata a NW, ha tutta l’aria di un’anticima…
Comunque, a parte questa divagazione, provo ad avvicinarmi al Monte Zeda, sempre con le pelli sotto gli sci. Un po’ di discesa, qualche metro di risalita, un po’ sul versante della Valle Intrasca, e un po’ su quello della Cannobina, visto che la cresta presenta alcune cornici “orizzontali”, da evitare scegliendo il versante appropriato. Arrivo al Piè di Zeda (in hikr chiamato Pian Vadà 1829 m) e monto i rampanti. Comincio la salita ma ben presto la interrompo: pendii carichi e cornici di cui non si vede l’inizio (ma solo la fine, sull’arcigno versante NE della Zeda) mi fanno riflettere sull’opportunità di continuare. La mia bella cima oggi l’ho già raggiunta, la mia bella traccia l’ho battuta solo soletto e lì sotto mi aspetta la discesa che tanto sognavo: inutile forzare la mano al destino.
Ritorno al Piè di Zeda (chiamiamolo pure Pian Vadà, va bene comunque), tolgo i rampanti che oggi hanno preso ben poca aria e toccato ben poca neve, e dopo un sorso di Guinness mi preparo alla discesa. C’è anche un po’ di polvere, ma il grosso è costituito da neve trasformata: in ogni caso uno splendore! Tra l’altro i pendii sono abbastanza sostenuti, per cui all’arrivo alle due cascine alte di Corte Bavarone mi rammarico che sia già finita. Tolgo con dispiacere gli sci: mi aspettano quasi due ore di portage… ma questa giornata mi resterà a lungo negli occhi!
Mangiamo pane e castagne, come una poesia,
perduta nella memoria dai tempi di scuola.
Domani ce lo diranno, cosa vorranno che sia,
ce lo diranno domani, prima di andare via.
(F. De Gregori)

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