Pizzo San Martino, 2733
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Devo, prima di tutto, un grazie a gebre ed alla sua Musa Ispiratrice,
bigblue, per la “preview” della settimana precedente e un altro a Meteos, che, questa volta, ha arricchito di una gran giornata, senza “Se” e senza “Ma” un settembre già, di per sé più che soddisfacente.
Da tempo mi proponevo di provare una montagna nelle valli ossolane, senza finire, come al solito, al Devero.
Così, imbattutomi nella relazione di Alberto, con ottime referenze per un sentiero senza mai problemi, arricchita dai confortevoli commenti di BB (buona esposizione, gradevole sensazione, splendida visione), mi son detto: buona questa! E il dislivello, poi, lo digeriamo.
... lo digerisco: sono ancora solo.
Mi presento al “comodo parcheggio” di Vanzone verso le nove e quarantacinque e, cinque minuti prima delle dieci, sono partito.
Il sentiero, mantiene le promesse: bello, ben disegnato, ben tenuto, ti spara su verso Pianezzo di Dentro con remunerativa pendenza; appena più morbido, ma con qualche soprassalto e bei panorami, ti accompagna, attraverso l’ Alpe Briga e l’Alpe Motto, verso il Rio Lasino dalle cristalline, invitanti pozze; lo segue brevemente, per poi lasciarlo, aggiungere l’apostrofo e sbarcarti all’Asinello, 1831 metri di quota, 1156 di dislivello fatti, 900 grassi da fare.
L’Asinello, è un’amena località che già da sola vale l’uscita; ci trovo i primi incontri di giornata, che, sull’uscio di una baita, sgranano un panino; forse già di ritorno, forse contenti così: non li vedrò più.
Supero l’ alpe e, riattraversando il torrente, bevo e mi rifornisco d’acqua; la fatica comincia a mandare qualche segnale e, da qui, il percorso fa veramente sul serio: per coprire i detti novecento metri, gli bastano tre, duri chilometri.
Al riapparire del Monte Rosa, nascostosi subito dopo l’Alpe di Briga, entra in scena anche la grande croce di vetta.
Il ritmo è calato un po’, ma l’andatura è sempre buona, il tempo è splendido e le foto aiutano a rifiatare.
Il Rosa, lentamente si innalza sempre più sopra le creste e la croce si fa sempre più grande. Guadagna in bruttezza, man mano che mi avvicino, ma è un bel ristoro alla fatica.
Raggiungo la bocchetta 2560 e vedo in lontananza il Monte Leone www.hikr.org/tour/post48410.html; le cime che frastagliano la cresta di fronte a me, non so cosa siano, ma sono di selvaggia bellezza.
Come bello da premio è l’ultimo tratto di sentiero, incanalato nella cresta, quasi lastricato, corredato, in alcuni punti, da autentiche scale di pietra. In prossimità della vetta, lo abbandono per un tratto: risalgo un breve canale di sfasciumi; la via corretta, occupata da un escursionista in discesa, scorre a fianco, protetta da una non indispensabile corda fissa. La riprendo, supero un raro, forse l’unico, passaggio dove tocca usare le mani, poi pochi metri ancora di cresta e sono su.
Promesse mantenute dal sentiero, promesse mantenute dalla cima: il Rosa e i Mischabel sono lì, da accarezzare con il tele.
Altri due escursionisti, comodamente sdraiati al sole, discorrono di un tizio che “ha messo su internet delle tabelle pazzesche con tempi, dislivelli e pendenze, per spiegare come varia la velocità di salita a seconda di quanto è ripida” ...
Meteos sorride: mi asciugo al sole, accumulando megabite di fotografie, con l’ultracentenaria croce del 1901 a scrutare severa la mia semiadamitica tenuta di vetta.
Se ne va quasi mezz’ora: passa la una ed è ora di scendere. Non ho fretta, ma sarà lunga.
Supero quasi subito i due di vetta, partiti pochi minuti prima; mi attardo con un branco di capre, poco sotto la bocchetta e, più avanti raggiungo anche il primo escursionista incontrato sotto la cima. Scendiamo insieme, chiacchierando un po’: mi complimento per la giovanile baldanza che a sessantasette anni lo ha messo in pista, da solo, per oltre duemila metri di dislivello. “Sono solo millenovecentocinquanta, son partito dalla strada che porta su a quel paese, come si chiama ...” Ronchi di Dentro, risponderà, poi, la carta.
All’ Asinello, (già un viaggio arrivarci), decide di fermarsi per mangiare qualcosa. Lo saluto e proseguo per la seconda metà della discesa: un altro viaggio anche più lungo del primo. Il terreno è un po’ meno ripido, ma, da piedi e giunture, cominciano ad arrivare borbottii di malumore. Al guado del Rio Lasino, la pozza è troppo invitante. Vien giù un’arietta ... ma il sole, anche se sfiora la cima dei pini di cresta, scalda ancora: bagno! Solo più tardi, scoprirò di aver profanato acque care alla Musa Ispiratrice, ma ... panta rei; l’acqua in particolar modo.
Un po’ meno, scorre il rimanente sentiero, (dall’alpe Briga, sembra davvero non finire mai), che, lentamente, mi porta giù, a caricare in macchina piccoli acciacchi e tanta soddisfazione.
Grazie ragazzi! Alla prossima dritta.
P.S.: Geo Patacca ha registrato tempi e distanze regolarmente, ma non ne vuol sapere di mollare la traccia. Misteri della scienza.

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