Pizzo San Martino (q 2733) da Vanzone
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Il Pizzo San Martino si erge sulla cresta che divide la Valle Anzasca dalla Valle Antrona e le vie normali di salita possono avvenire da ambedue i versanti. Siamo alla corte della parete est del Monte Rosa che dalla vetta è ben visibile, quasi a portata di mano (nuvole permettendo). Scegliamo la salita da Vanzone perchè il notevole dislivello distribuito su uno sviluppo chilometrico tutto sommato modesto ci affascina. Insomma, c'è da far fatica!
Appena dietro la parrocchiale di Vanzone c'è molto posto per lasciare l'auto. Si attraversa la strada, si cammina verso valle per cento metri ed ecco sulla sinistra i cartelli segnavia. Il pizzo è segnalato a sei ore di cammino; la speranza è che, come al solito, i cartelli siano molto generosi. Non c'è possibilità di scaldare i muscoli su percorso pianeggiante, dall'attacco, il sentiero si esprime in tutta la sua crudeltà. La prima ora di marcia si svolge interamente in uno splendido bosco e si cammina su ampia mulattiera sempre molto ben segnalata, a volta dotata di scalini. Le pendenze sono notevoli, la fine del bosco sembra non arrivare mai.
Invece arriva e concede qualche metro di respiro in falsopiano prima di affacciarsi su una balconata naturale con splendida visione sulla Est Monterosa priva di nuvole. Le quattro cime principali sono molto visibili e con un p' di fantasia si coglie la costruzione nera della Capanna Margherita sulla Punta Gnifetti.
Siamo a quota 1370, in un bell'alpeggio detto Briga, non caricato ma abitato perchè, probabilmente, alcune case sono state ristrutturate a fini turistici. Qui si trova acqua e conviene rifornirsi perchè più in là le possibilità vanno diminuendo anche se, un ruscello si trova sempre.
Dall'alpe Briga ci si alza per prati all'alpe Motto, più diroccata e quindi si entra in una valletta che si percorre in falsopiano per qualche centinaio di metri. Nemmeno il tempo di godere di questa passeggiata ed ecco, su un altopiano, in vista l'alpe Asinelli che si raggiunge arrancando in salita su splendido costone pervaso di rododendri e mirtilli.
Giunti agli Asinelli vale la pena di concedersi una sosta per ammirare lo splendido anfiteatro alpino che la domina in cui è evidente la cresta che dovremo raggiungere anche se il Pizzo è ancora nascosto.
Nel contesto di un sentiero ampiamente segnalato, il tratto successivo all'abitato dell'alpe è probabilmente quello in cui è possibile fare un po' di confusione, forse a causa dei prati che celano i segnavia. Per non perdere quindici minuti di tempo come è capitato a noi, consiglio dunque di attraversare il torrente e puntare alla costruzione diroccata con il tetto in lamiera. Da qui, aiutandosi con labili tracce si risale il costone e con l'avvento delle pietre i bolli tornano ad essere evidentissimi, rendendo impossibile perdersi, anche in caso di scarsa visibiltà.
Ben altri sono i problemi ora e si chiamano pendenze senza respiro su un versante infinito per almeno un ora (senza fermarsi o cincischiare) di cammino. L'arrivo al pianoro del Lago Sfondato appare dunque come una manna dal cielo. Il paesaggio è idilliaco: attorno al lago mille fiorellini bianchi fanno capolino. Sono fiori strani, hanno la consistenza del cotone. Su un costone, cinquanta metri più in alto si vede il bivacco Lamè che tuttavia decidiamo di ignorare volendo procedere diretti per i prossimi trecento metri di dislivello che ci separano dal Pizzo, la cui croce di vetta è finalmente visibile.
Un'ulteriore impennata per prati ci conduce ad una bochetta dalla quale è visibile la Valle Antrona con il lago di Campliccioli ed altri bacini più piccoli tutti sbarrati da dighe di contenimento.
Il versante Antronese precipita a valle con parete inclinatissime e ci chiediamo (dicendoci fortunati di aver scelto questo, di versante) come possa correre un sentiero su tali pendenze. Proseguiamo a destra con la percezione di avercela quasi fatta ed attacchiamo l'elementare cresta finale prima per erba, poi per rocce molto sicure e messe in sicurezza da interventi umani. Abbondata la cresta si risale un ripido canale dotato di corda fissa e riagguantato il filo spartiacque lo si percorre per un centinaio di metri a toccare il crocione.
Finalmente in cima guardiamo l'orologio: 4 ore esatte dalla partenza. Considerando che abbiamo mantenuto un passo regolare e ci siamo concessi diverse soste, direi che non siamo tanto fenomeni noi, quanto "molto" turistici i cartelli segnavia. Purtroppo con il nostro arrivo coincide l'ascensione da valle di nuvolacci neri che liberano il panorama solo di tanto in tanto, negandoci una visione veramente aperta di quello che ci circonda. Poco male, siamo contenti lo stesso, godendo dell'incredibile silenzio e della misticità di questo posto in cui la grande croce è solo un punto esclamativo.
Il tempo per mangiare, fare foto e firmare il malandato quaderno di vetta e siamo sulla via del ritorno. Non mi impensieriscono queste roccette la cui discensione appare davvero elementare e azzardo addirittura un ritmo sostenuto che modifico immediatamente dopo la prima derapata su bagnato.
Di nuovo all'altezza del lago Sfondato, optiamo per una deviazione al Bivacco Lamè, raggiungibile in una decina di minuti che servono per superare 50 metri circa di dislivello. Il rifugio è un bel posto: molto solido all'esterno, ordinato all'interno con disponibili sei posti letto e tutti i generi di prima necessità tipici di un bivacco ben gestito. Una eccezione, la mancanza d'acqua che si recupera tuttavia da un ruscello in uscita dal lago Lamè, non senza scomodità.
Ritornati sui nostri passi, ci avviamo di nuovo in discesa che si rivela, come al solito, lunga, noiosa e spaccaginocchia, cosicchè, l'arrivo alle 16.00 all'automobile, ci fa tirare un sospiro di sollievo.
Gita estremamente faticosa da consigliare a chi ben allenato, può tuttavia essere molto remunerativa per paesaggi ammirati, vicini e lontani e per quel poco descrivibile senso della montagna che dona, che, solo chi frequenta la montagna con passione e tenacia, può comprendere.
Appena dietro la parrocchiale di Vanzone c'è molto posto per lasciare l'auto. Si attraversa la strada, si cammina verso valle per cento metri ed ecco sulla sinistra i cartelli segnavia. Il pizzo è segnalato a sei ore di cammino; la speranza è che, come al solito, i cartelli siano molto generosi. Non c'è possibilità di scaldare i muscoli su percorso pianeggiante, dall'attacco, il sentiero si esprime in tutta la sua crudeltà. La prima ora di marcia si svolge interamente in uno splendido bosco e si cammina su ampia mulattiera sempre molto ben segnalata, a volta dotata di scalini. Le pendenze sono notevoli, la fine del bosco sembra non arrivare mai.
Invece arriva e concede qualche metro di respiro in falsopiano prima di affacciarsi su una balconata naturale con splendida visione sulla Est Monterosa priva di nuvole. Le quattro cime principali sono molto visibili e con un p' di fantasia si coglie la costruzione nera della Capanna Margherita sulla Punta Gnifetti.
Siamo a quota 1370, in un bell'alpeggio detto Briga, non caricato ma abitato perchè, probabilmente, alcune case sono state ristrutturate a fini turistici. Qui si trova acqua e conviene rifornirsi perchè più in là le possibilità vanno diminuendo anche se, un ruscello si trova sempre.
Dall'alpe Briga ci si alza per prati all'alpe Motto, più diroccata e quindi si entra in una valletta che si percorre in falsopiano per qualche centinaio di metri. Nemmeno il tempo di godere di questa passeggiata ed ecco, su un altopiano, in vista l'alpe Asinelli che si raggiunge arrancando in salita su splendido costone pervaso di rododendri e mirtilli.
Giunti agli Asinelli vale la pena di concedersi una sosta per ammirare lo splendido anfiteatro alpino che la domina in cui è evidente la cresta che dovremo raggiungere anche se il Pizzo è ancora nascosto.
Nel contesto di un sentiero ampiamente segnalato, il tratto successivo all'abitato dell'alpe è probabilmente quello in cui è possibile fare un po' di confusione, forse a causa dei prati che celano i segnavia. Per non perdere quindici minuti di tempo come è capitato a noi, consiglio dunque di attraversare il torrente e puntare alla costruzione diroccata con il tetto in lamiera. Da qui, aiutandosi con labili tracce si risale il costone e con l'avvento delle pietre i bolli tornano ad essere evidentissimi, rendendo impossibile perdersi, anche in caso di scarsa visibiltà.
Ben altri sono i problemi ora e si chiamano pendenze senza respiro su un versante infinito per almeno un ora (senza fermarsi o cincischiare) di cammino. L'arrivo al pianoro del Lago Sfondato appare dunque come una manna dal cielo. Il paesaggio è idilliaco: attorno al lago mille fiorellini bianchi fanno capolino. Sono fiori strani, hanno la consistenza del cotone. Su un costone, cinquanta metri più in alto si vede il bivacco Lamè che tuttavia decidiamo di ignorare volendo procedere diretti per i prossimi trecento metri di dislivello che ci separano dal Pizzo, la cui croce di vetta è finalmente visibile.
Un'ulteriore impennata per prati ci conduce ad una bochetta dalla quale è visibile la Valle Antrona con il lago di Campliccioli ed altri bacini più piccoli tutti sbarrati da dighe di contenimento.
Il versante Antronese precipita a valle con parete inclinatissime e ci chiediamo (dicendoci fortunati di aver scelto questo, di versante) come possa correre un sentiero su tali pendenze. Proseguiamo a destra con la percezione di avercela quasi fatta ed attacchiamo l'elementare cresta finale prima per erba, poi per rocce molto sicure e messe in sicurezza da interventi umani. Abbondata la cresta si risale un ripido canale dotato di corda fissa e riagguantato il filo spartiacque lo si percorre per un centinaio di metri a toccare il crocione.
Finalmente in cima guardiamo l'orologio: 4 ore esatte dalla partenza. Considerando che abbiamo mantenuto un passo regolare e ci siamo concessi diverse soste, direi che non siamo tanto fenomeni noi, quanto "molto" turistici i cartelli segnavia. Purtroppo con il nostro arrivo coincide l'ascensione da valle di nuvolacci neri che liberano il panorama solo di tanto in tanto, negandoci una visione veramente aperta di quello che ci circonda. Poco male, siamo contenti lo stesso, godendo dell'incredibile silenzio e della misticità di questo posto in cui la grande croce è solo un punto esclamativo.
Il tempo per mangiare, fare foto e firmare il malandato quaderno di vetta e siamo sulla via del ritorno. Non mi impensieriscono queste roccette la cui discensione appare davvero elementare e azzardo addirittura un ritmo sostenuto che modifico immediatamente dopo la prima derapata su bagnato.
Di nuovo all'altezza del lago Sfondato, optiamo per una deviazione al Bivacco Lamè, raggiungibile in una decina di minuti che servono per superare 50 metri circa di dislivello. Il rifugio è un bel posto: molto solido all'esterno, ordinato all'interno con disponibili sei posti letto e tutti i generi di prima necessità tipici di un bivacco ben gestito. Una eccezione, la mancanza d'acqua che si recupera tuttavia da un ruscello in uscita dal lago Lamè, non senza scomodità.
Ritornati sui nostri passi, ci avviamo di nuovo in discesa che si rivela, come al solito, lunga, noiosa e spaccaginocchia, cosicchè, l'arrivo alle 16.00 all'automobile, ci fa tirare un sospiro di sollievo.
Gita estremamente faticosa da consigliare a chi ben allenato, può tuttavia essere molto remunerativa per paesaggi ammirati, vicini e lontani e per quel poco descrivibile senso della montagna che dona, che, solo chi frequenta la montagna con passione e tenacia, può comprendere.
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