Punta Gerla, 3087 - No Cervandone - Punta Marani, 3108
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Pancho, il guru del Devero, doveva portarci al Cervandone; era da giugno che gli rompevo le scatole.
Partiamo da Como sulla potente ammiraglia dello Schiep e alle 7 e 40, con un po' di ritardo sui propositi, arriviamo al parcheggio, anzi al garage, (un guru non può non avere un garage in loco).
Cinque minuti e siamo in marcia. La piana ci accoglie con un mare di verde e l'acqua cristallina del torrente che scorre a fianco della strada che l'attraversa; realizzo all'improvviso che è la prima volta che la vedo senza neve.
Tanta magia, ma gli occhi si posano anche su un po' troppe "ristrutturazioni", poco condivise dal guru che vede il pericolo di una deriva verso una "valorizzazione" dell'area, anche se, per ora, di danni gravi non se ne vedono.
Superato Cantone, cominciamo a salire rapidamente verso i Piani della Rossa sul comodo e ripido sentiero che risale il torrente, accompagnati da un vento freddo e fastidioso che rovina un po' la magnifica giornata.
Poco sopra i Piani, una splendida volpe rossa, schizza fuori da un masso a meno di quindici metri e sparisce in pochi secondi irridendo i goffi tentativi di puntare l'obiettivo.
Il verde ha già lasciato spazio ad una sterminata pietraia che non ci abbandonerà fino al ritorno.
I massi, gettati alla rinfusa da qualche distratto gigante sono spesso instabili, ma, con un po’ di attenzione, si procede comunque spediti.
Con Pancho, ripasso uno ad uno i punti salienti che, pochi mesi fa, hanno caratterizzato la nostra salita con gli sci.
Sassi su pietra, i numerosi ometti, più che indicarci la strada, ci vengono incontro all’improvviso, confermando nel giusto il nostro intuitivo avanzare; ne ricostruiamo alcuni, ne perfezioniamo altri e continuiamo a salire.
Superiamo un paio di esigui nevai, rinfrescati dalla recente nevicata e attacchiamo il canale. Ora il sentiero è una traccia scura tra i sassi, quasi terra battuta che offre maggiori certezze al piede. Si sale rapidi, senza i problemi a suo tempo incontrati con gli sci; anche il vento ci ha dato tregua, ma...
Dopo tre ore esatte di marcia, Pancho ed io sbuchiamo al colle e retrocediamo subito per metterci al riparo dall’agguato del vento che ci aspettava al colle: pochi metri tra la pace e l’inferno.
Arriva anche Schiep, lamentando la fatica accumulata per l’instabilità dei sassi, che, evidentemente, sollecitati dai cento chili, si devono essere rivelati oltremodo ballerini.
Gli mostriamo la cima a pochi passi, senza dirgli che non è il Cervandone e in pochi minuti lo portiamo in vetta alla Punta Gerla, dove, a metà festeggiamenti gli diciamo: “Ma non è questa la cima; andiamo!”
Invece, era quella la cima, perché, dopo un tratto di cresta, quando siamo sotto la punta 3112, il nostro amico mostra segni di malessere piuttosto marcato.
Una combinazione di fattori, direi: il vento, l’insicurezza su un percorso fra sfasciumi instabili e, adesso, innevati, un piccolo incidente che gli procura una ferita alla mano, la quota, soprattutto.
Memore di un precedente al Tresero, prendo la cosa sul serio. Non sono un fanatico della cima; Pancho c’è già stato una mezza dozzina di volte; mi dico che, comunque, per il mio ginocchio son tutti metri di discesa in meno: sia pure a malincuore, concordo per il dietrofront.
Rientriamo al passo e ci mettiamo al riparo dal vento.
Quantunque fredde, le mezze penne in aglio e olio che ho nello zaino, rinfrancano il nostro amico, per cui, con Pancho decidiamo di mollarlo lì a finirsele e andare sulla cima di consolazione: dieci minuti più tardi, superate le divertenti roccette della cresta, siamo in vetta alla Punta Marani (o Schwarzhorn, of course).
Dopo la consueta overdose di foto, ridiscendiamo rapidamente a riparaci dal vento, due metri sotto il passo Marani, dove ci attende uno Schiep che, fatta eccezione per la leggera ferita alla mano, appare pienamente ristabilito.
Discesa con deviazione per visita ad una vecchia cava di amianto con un accesso che fa pensare.
Prima di avvelenarsi con l’amianto, rischiavano la vita per raggiungere il posto di lavoro.
E quanto valeva questo amianto per venire a prenderselo qui?
A me, le discese senza sci sembrano sempre interminabili; ringrazio Schiep per il prestito dei bastoncini (e, mentalmente, per la riduzione dell’itinerario), apprezzo l’idea di Pancho di spezzare la fatica con un bagno nel torrente e calo a valle con un pensiero fisso.
Raggiungiamo il garage dopo otto ore e mezza di fatiche e ci fiondiamo a Croveo dalla Strega Bacheca. “Ciao, cosa prendete?” “Una birra; la più grossa che c’è.”
P.S.: Non sapendo se lo posso e nemmeno come fare, pregherei gli amministratori di cancellare il Way Point Punta Marani (3087), (segnato sulla Hikr Map leggermente a nordovest del Cervandone), che non si capisce a cosa si riferisca ed è, quantomeno, indicato in un punto sbagliato.

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