Punta Marani (3108): quando la montagna dice no
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Quando la montagna dice no e si manca una cima, è sempre una brutta faccenda.
E lo so anche io che il coraggio di rinunciare è forse più apprezzabile che quello di andare avanti senza buon senso; che l'importante è non farsi male, che prima o poi capita a tutti e che ci sarà un'altra volta e magari sarà ancora più bello: le so tutte quelle cose lì, so anche che certi no ti salvano la vita (al pari di quelli di una donna o di una mamma) ma tutti questi no sono sempre una feroce delusione.
E' andata così: obiettivo Punta Marani (e magari concatenamento con la vicinissima Punta Gerla, di pochi metri più bassa), zona grande nord di Devero, tra le più celebrate (e difficili) punta Cervandone e della Rossa.
Pur avendo frequentato a lungo Devero in passato, quell'area mi è abbastanza ignota, dunque leggo una moltitudine di relazioni ed una (con foto), la porto con me.
Partenza dallo slargo sulla strada che sale alla piana, prima del parcheggio al pagamento, subito dopo la galleria (q 1400). A sinistra, un cartello indica la strada. Si scende ad attraversare un torrente su ponte, si risale la costa con ampi tornanti e in breve si giunge ad un largo sentiero che in falsopiano porta all'abitato di Devero. Sempre in piano, si attraversa il pianoro verso nord e si giunge ad un nucleo di baite dove ha sede il rifugio CAI di Gallarate. Altri cartelli indicano la direzione per i piani della Rossa che un sentiero marcato raggiunge prima per prati, poi risalendo un costone. Si perviene pertanto ad una zona disseminata di grandi massi erratici di colore rosso (uno dei quali funge da bivacco).
Un centinaio di metri prima di tale masso, spostarsi a sinistra su stretto sentiero a volte celato dalla vegetazione e, tra abbondanti massi e ruscelli da guadare, ricominciare a salire. Si giunge ad un secondo bivio dove occorre abbandonare la traccia a sinistra (bollo giallo n° 44 per la via dei camosci) e proseguire a destra. Si esce infine su uno stupendo altopiano erboso caratterizzato da una roccia con croce.
Nella nebbia, cerchiamo di orientarci ma l'unica possibilità è seguire gli ometti e il sentiero non segnalato. Continuiamo dunque e cominciamo a risalire una cresta che separa due canali. Qualche varco che si apre velocemente e raramente nella nebbia ci conforta sul fatto che si stia procedendo nella direzione giusta. Dopo aver superato tale cresta (a volte molto ripida, a a volte molto esposta e franosa) si giunge ad un'avvallamento dove ci fermiamo per contemplare questo luogo che pare extraterrestre: silenzio assoluto, vento, nebbia, rocce rosse disseminate ovunque, eco da film, probabilmente dovuta alla vicinanza con una parete (bastioni della Rossa?) che tuttavia non vediamo. Dopo breve pausa, contenti per la velocità di progressione (poco più di due ore dalla partenza e siamo già a quota 2400) e per la certezza di essere, nonostante la totale assenza di riferimenti, sulla buona via, ripartiamo, traversando su un ripidissimo ed instabile pendio verso nord.
A questo punto l'errore: sul traverso spariscono le tracce verso nord e la progressione si fa via via più complessa. D'altra parte, la risalita del pendio sembra più agevole e pur senza ometti o segni di vernice, pare di intravvedere qualche traccia. Un rapido consulto ci determina quindi a stimare in cima a quel pendio (500 mt più in alto) il colle Marani che divide le due vette obiettivo di giornata.
Comincia la risalita del pendio sul terreno più instabile che abbia mai visto. L'inclinazione è notevole, a fatica si rimane in piedi e non c'è nulla, ma proprio nulla, che stia fermo. Ad ogni passo è una scarica che rischia di trascinarci giù, siamo in due e procediamo paralleli con la sola speranza che dietro di noi non vi sia nessuno.
Intanto la nebbia non da tregua: saliamo verso l'ignoto e ci diciamo che anche le montagne, prima o poi, finiscono. Ciò per tentare di darci vicendevole conforto mentre il freddo si acuisce e con esso la sensazione di scoramento che a volte basta un piccolo segnale per superarla.Questa volta non ci sono segnali. A un certo punto (quota 2650 circa) il canale si restringe, in mezzo c'è un nevaio e appena sopra un muro di roccia pare sbarrare la via. Proviamo a sinistra e finiamo su sottilissime cenge che calano nel nulla. A destra l'attraversamento del nevaio (forse 45 gradi) ci scoraggia ulteriormente.
Non servono consulti: questo non è il colle Marani ( un'idea di dove siamo mi viene, tuttavia) e occorre inesorabilmente tornare indietro.
Vuoi per le mie scarse doti di equilibrio, vuoi per il misto di stanchezza/delusione, la velocità con cui discendo il pendio provocando frane su frane è imbarazzante e, al ritorno al colletto lunare sopracitato, è mezzogiorno.
Mangiamo un panino di malavoglia, alziamo gli occhi e il diradarsi per un minuto della nebbia ci rende tutto chiaro: la giusta via che avremmo dovuto seguire (il colle Marani è là, a nord e sembra dirci: "son qui son qui e voi siete due bamba") e il luogo dove ci siamo venuti a trovare. Con tutta probabilità, infatti, abbiamo seguito la normale alla Rossa e siamo giunti all'intaglio sotto la cresta, vale a dire a poca strada dalla vetta. Sarebbe bastato provare a traversare il nevaio e avremmo trovato, su facili cenge, il mondo di superare la bancata rocciosa e attaccare con elementari passi di arrampicata la vetta (che peraltro ho sempre desiderato scalare).
Poi di nuovo la nebbia, che a questo punto, se non si alzava sarebbe stato meglio perchè quell'attimo di visibilità ha rinforzato la mia delusione.
Sulla via del ritorno (la stessa dell'andata), altre difficoltà sulla cresta che divide i due canali, poi è una passeggiata assolata sin quasi alla piana di Devero. Prima di scendere completamente, scoviamo un bivio segnalato che per boschi porta alla località Crampiolo (attraversando il Vallaro) che decidiamo di visitare per acquistare del buon formaggio. Dal bivio a Crampiolo in circa mezz'ora. La località è affollata da famiglie festanti e colorata dai soliti bellissimi cromi estivi. Non par vero che qualche ora prima ci si trovasse in mezzo al desolato nulla. Da Crampiolo, passando a est da Corte d'Ardui, in altri trenta minuti giungiamo su magnifico sentiero a Devero.
Una birra, un altro sguardo verso nord per constatare che da quelle parti c'è ancora nebbia, e giù, ognuno con i pensieri suoi verso l'auto per il ritorno.
Due osservazioni finali: adesso credo di avere un'idea definitiva della strada da seguire per il colle Marani ma non la scrivo per non creare ulteriore confusione, essendo solo un'idea.
Va bene poi che si vuole preservare l'alpinismo a pochi eletti e che la demarcazione dei sentieri è opera molto onerosa, ma una (una sola) scritta su un sasso nel punto di maggior disorientamento avrebbe risolto ogni problema. Mi chiedo e chiedo a chi è preposto a tale attività: perchè su sentieri senza bivii ci sono mille e inutili cartelli segnavia e su alcune vie d'alta quota dove è oggettivamente facile sbagliare neanche un segnale?
Ecco, quando la montagna dice no, si pensa di non scrivere il solito rapporto su hikr e alla fine ci si accorge di essere stati più prolissi (e polemici) del solito.
E lo so anche io che il coraggio di rinunciare è forse più apprezzabile che quello di andare avanti senza buon senso; che l'importante è non farsi male, che prima o poi capita a tutti e che ci sarà un'altra volta e magari sarà ancora più bello: le so tutte quelle cose lì, so anche che certi no ti salvano la vita (al pari di quelli di una donna o di una mamma) ma tutti questi no sono sempre una feroce delusione.
E' andata così: obiettivo Punta Marani (e magari concatenamento con la vicinissima Punta Gerla, di pochi metri più bassa), zona grande nord di Devero, tra le più celebrate (e difficili) punta Cervandone e della Rossa.
Pur avendo frequentato a lungo Devero in passato, quell'area mi è abbastanza ignota, dunque leggo una moltitudine di relazioni ed una (con foto), la porto con me.
Partenza dallo slargo sulla strada che sale alla piana, prima del parcheggio al pagamento, subito dopo la galleria (q 1400). A sinistra, un cartello indica la strada. Si scende ad attraversare un torrente su ponte, si risale la costa con ampi tornanti e in breve si giunge ad un largo sentiero che in falsopiano porta all'abitato di Devero. Sempre in piano, si attraversa il pianoro verso nord e si giunge ad un nucleo di baite dove ha sede il rifugio CAI di Gallarate. Altri cartelli indicano la direzione per i piani della Rossa che un sentiero marcato raggiunge prima per prati, poi risalendo un costone. Si perviene pertanto ad una zona disseminata di grandi massi erratici di colore rosso (uno dei quali funge da bivacco).
Un centinaio di metri prima di tale masso, spostarsi a sinistra su stretto sentiero a volte celato dalla vegetazione e, tra abbondanti massi e ruscelli da guadare, ricominciare a salire. Si giunge ad un secondo bivio dove occorre abbandonare la traccia a sinistra (bollo giallo n° 44 per la via dei camosci) e proseguire a destra. Si esce infine su uno stupendo altopiano erboso caratterizzato da una roccia con croce.
Nella nebbia, cerchiamo di orientarci ma l'unica possibilità è seguire gli ometti e il sentiero non segnalato. Continuiamo dunque e cominciamo a risalire una cresta che separa due canali. Qualche varco che si apre velocemente e raramente nella nebbia ci conforta sul fatto che si stia procedendo nella direzione giusta. Dopo aver superato tale cresta (a volte molto ripida, a a volte molto esposta e franosa) si giunge ad un'avvallamento dove ci fermiamo per contemplare questo luogo che pare extraterrestre: silenzio assoluto, vento, nebbia, rocce rosse disseminate ovunque, eco da film, probabilmente dovuta alla vicinanza con una parete (bastioni della Rossa?) che tuttavia non vediamo. Dopo breve pausa, contenti per la velocità di progressione (poco più di due ore dalla partenza e siamo già a quota 2400) e per la certezza di essere, nonostante la totale assenza di riferimenti, sulla buona via, ripartiamo, traversando su un ripidissimo ed instabile pendio verso nord.
A questo punto l'errore: sul traverso spariscono le tracce verso nord e la progressione si fa via via più complessa. D'altra parte, la risalita del pendio sembra più agevole e pur senza ometti o segni di vernice, pare di intravvedere qualche traccia. Un rapido consulto ci determina quindi a stimare in cima a quel pendio (500 mt più in alto) il colle Marani che divide le due vette obiettivo di giornata.
Comincia la risalita del pendio sul terreno più instabile che abbia mai visto. L'inclinazione è notevole, a fatica si rimane in piedi e non c'è nulla, ma proprio nulla, che stia fermo. Ad ogni passo è una scarica che rischia di trascinarci giù, siamo in due e procediamo paralleli con la sola speranza che dietro di noi non vi sia nessuno.
Intanto la nebbia non da tregua: saliamo verso l'ignoto e ci diciamo che anche le montagne, prima o poi, finiscono. Ciò per tentare di darci vicendevole conforto mentre il freddo si acuisce e con esso la sensazione di scoramento che a volte basta un piccolo segnale per superarla.Questa volta non ci sono segnali. A un certo punto (quota 2650 circa) il canale si restringe, in mezzo c'è un nevaio e appena sopra un muro di roccia pare sbarrare la via. Proviamo a sinistra e finiamo su sottilissime cenge che calano nel nulla. A destra l'attraversamento del nevaio (forse 45 gradi) ci scoraggia ulteriormente.
Non servono consulti: questo non è il colle Marani ( un'idea di dove siamo mi viene, tuttavia) e occorre inesorabilmente tornare indietro.
Vuoi per le mie scarse doti di equilibrio, vuoi per il misto di stanchezza/delusione, la velocità con cui discendo il pendio provocando frane su frane è imbarazzante e, al ritorno al colletto lunare sopracitato, è mezzogiorno.
Mangiamo un panino di malavoglia, alziamo gli occhi e il diradarsi per un minuto della nebbia ci rende tutto chiaro: la giusta via che avremmo dovuto seguire (il colle Marani è là, a nord e sembra dirci: "son qui son qui e voi siete due bamba") e il luogo dove ci siamo venuti a trovare. Con tutta probabilità, infatti, abbiamo seguito la normale alla Rossa e siamo giunti all'intaglio sotto la cresta, vale a dire a poca strada dalla vetta. Sarebbe bastato provare a traversare il nevaio e avremmo trovato, su facili cenge, il mondo di superare la bancata rocciosa e attaccare con elementari passi di arrampicata la vetta (che peraltro ho sempre desiderato scalare).
Poi di nuovo la nebbia, che a questo punto, se non si alzava sarebbe stato meglio perchè quell'attimo di visibilità ha rinforzato la mia delusione.
Sulla via del ritorno (la stessa dell'andata), altre difficoltà sulla cresta che divide i due canali, poi è una passeggiata assolata sin quasi alla piana di Devero. Prima di scendere completamente, scoviamo un bivio segnalato che per boschi porta alla località Crampiolo (attraversando il Vallaro) che decidiamo di visitare per acquistare del buon formaggio. Dal bivio a Crampiolo in circa mezz'ora. La località è affollata da famiglie festanti e colorata dai soliti bellissimi cromi estivi. Non par vero che qualche ora prima ci si trovasse in mezzo al desolato nulla. Da Crampiolo, passando a est da Corte d'Ardui, in altri trenta minuti giungiamo su magnifico sentiero a Devero.
Una birra, un altro sguardo verso nord per constatare che da quelle parti c'è ancora nebbia, e giù, ognuno con i pensieri suoi verso l'auto per il ritorno.
Due osservazioni finali: adesso credo di avere un'idea definitiva della strada da seguire per il colle Marani ma non la scrivo per non creare ulteriore confusione, essendo solo un'idea.
Va bene poi che si vuole preservare l'alpinismo a pochi eletti e che la demarcazione dei sentieri è opera molto onerosa, ma una (una sola) scritta su un sasso nel punto di maggior disorientamento avrebbe risolto ogni problema. Mi chiedo e chiedo a chi è preposto a tale attività: perchè su sentieri senza bivii ci sono mille e inutili cartelli segnavia e su alcune vie d'alta quota dove è oggettivamente facile sbagliare neanche un segnale?
Ecco, quando la montagna dice no, si pensa di non scrivere il solito rapporto su hikr e alla fine ci si accorge di essere stati più prolissi (e polemici) del solito.
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