Pizzo Rotondo (3192 m) via Poncione di Ruino (2965 m)
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Una fatica così, soprattutto mentale, non l’avevo mai fatta. Ore e ore, tra andata e ritorno, di cresta integrale, più l’ultimo tratto del canale franoso che porta al Passo, più la lunga pietraia infinita fatta al ritorno, più l’inutile andirivieni sui sentieri dell’andata e il conseguente “ampio giro” prima su prati e poi su pietre per raggiungere il passo: ad un certo punto mi si è addirittura insinuato il sospetto di essere salito in cresta prima della cima del Poncione di Ruino (*leggere l'integrazione qui di seguito), e di aver quindi superato anche questo da SE, prima di giungere al Passo. Lo so, il Brenna è il Brenna, ma com’è possibile dare 40 minuti dal Passo di Ruino alla cima del Rotondo mentre io ho impiegato due ore e mezza all’andata e due ore al ritorno? La spiegazione è semplice: se invece di salire direttamente al Passo di Ruino (come dice il Brenna) si arriva in cresta dalla parte opposta rispetto alla cima e si deve superare anche il Poncione di Ruino prima di arrivare al Passo di Ruino, ecco che si giustificano i tempi biblici da me impiegati. Ma adesso che la fatica si è smaterializzata, posso dire di essere contento di aver fatto questa via.
* INTEGRAZIONE del 19/12/2011:
dopo un'attenta ri-valutazione della salita, del tempo impiegato, di questa foto (è uno dei tanti esempi possibili che ben evidenzia la struttura della montagna), concludo che il canale di salita che mi ha portato in cresta era quello a sinistra (avendo alle spalle il Pizzo Pesciora) rispetto al Poncione di Ruino. Quindi, la "prima imponente cima" di cui parlo qui di seguito non è altro che il Poncione di Ruino stesso. La cresta integrale che ha richiesto due ore e mezza (anzichè i quaranta minuti previsti dal Brenna) per arrivare al Rotondo è dunque cominciata, nel mio caso, con l'ascesa alla sella a quota 2760, con la successiva ascensione al Poncione di Ruino (il tratto dove ho trovato le maggiori difficoltà), con la successiva breve discesa al Passo di Ruino, per finire poi sulla vetta del Pizzo Rotondo. Tutto scorre... e ora anche... tutto torna!
Ripresa della narrazione riveduta e corretta: dunque, parto presto da Ronco Bedretto e mi inerpico sul sentiero che sale verso l’Alpe di Pesciora. In prossimità della Cassina Nuova di Pesciora, e anche poco sopra, il sentiero spiana e fa un po’ di andirivieni. Mi dirigo verso Pesciora e poco prima dell’incrocio con il sentiero che sale da Bedretto, e che poi prosegue verso Cassina dei Sterli, salgo su di un sentierino non segnalato: anch’esso fa un po’ di andirivieni e conduce verso le Löite dei Piani. Già più di due ore se ne sono andate e ho fatto solo 600 metri di dislivello: urge recuperare il terreno perduto! Abbandono ogni sentiero e salgo tra prati e cascate verso le Piode Borel: lungo traverso in diagonale verso ovest, e poi mi dirigo verso il Ghiacciaio di Pesciora, quasi completamente sommerso dai blocchi di pietra franati da tutte le vette soprastanti (le varie cime minori del Pizzo Rotondo). La salita sul ghiacciaio, almeno all’inizio, non è difficile. È solo nella parte finale del canalino, quando ormai il ghiaccio è scomparso del tutto, che il terreno si fa via via più franoso. In un modo o nell’altro arrivo in cresta presso la sella quotata 2760 m. Giusto per perdere ancora un po’ di tempo faccio una breve esplorazione all’indietro, in direzione della cima 2789 del P. di Ruino, ma ritorno presto sui miei passi, visto che il Rotondo mi aspetta. La cresta è composta da una prima imponente cima (che altro non è che la vetta del Poncione di Ruino), seguita da vari altri saliscendi, prima dell’attacco alla torre che precede la torre di vetta del Pizzo Rotondo. Talvolta si evitano dei blocchi a destra o a sinistra, e proprio in una di queste manovre su terreno franoso rischio una pericolosa scivolata, ma me la cavo grazie alle mani ben abbrancate alla solida roccia (al ritorno evito questo rischioso passaggio grazie ad una discesa in un camino praticamente verticale ma con sufficienti appigli). La cresta è infinita, oltrepasso senza saperlo la vetta del Poncione di Ruino (un misero ometto non ne svela l’identità). Continuo con brevissima discesa e giunto su quella che da lontano sembrerebbe la cima, riconosco davanti a me l’evidente torre su cui c’è la vetta. A est e a sud la roccia è verticale, per cui mi dirigo dalla parte opposta e passando più o meno a NO, in breve (qui sì, finalmente!) sono in cima al Pizzo Rotondo (3192 m).
Dalla sella 2760 che precede il Poncione di Ruino non avevo più guardato l’orario, essendo in ben altre faccende affaccendato; comunque mi accorgo che sono passate 7 ore dalla partenza (di cui, come detto, 2 e mezza sulla cresta dalla sella alla cima). Mi rifocillo molto in fretta, restando estasiato dal panorama e da tutti i ghiacciai attorno, e riparto.
La cresta è sempre arcigna, ma forse l’esperienza dell’andata mi alleggerisce alcuni passaggi. In prossimità della sella 2760 sento delle voci lontane: sono due alpinisti che stanno affrontando l’Obelisco, nei pressi della Torre di Ruino.
Dalla sella 2760 scendo facendo sempre estrema attenzione (specialmente in cima al canalone il terreno è molto franoso); dalla base del ghiacciaio rimonto il terrapieno che ho davanti e poi, differentemente dall’andata, scendo per direttissima le Piode Borel in direzione dell’Alpe di Pesciora, valicando il fiume (che porta l’acqua di fusione del ghiacciaio) solo molto in basso, verso la quota 2023 del Ganone. Per aiutarsi nella direzione basta puntare al muraglione (2010-2040 m) poco sopra il sentiero ufficiale. Finita l’interminabile ganna, continuo la discesa direttamente tra ginepri, rododendri e mirtilli e così raggiungo il cartello giallo all’Alpe di Pesciora. Dopo aver ripulito gli scarponi dai detriti minerali e vegetali, riprendo il sentiero del mattino che in mezz’ora mi riporta a Ronco.
Il Rotondo (così come il Ruino!!!) mi ha fatto sudare (4 magliette e alcuni litri di sudore), ma, come dice il Brenna, è davvero “una montagna di classe”! La sua cresta SSE la ricorderò a lungo, molto a lungo.
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