Pizzo Bello
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Dopo uno stop di un mesetto per impegni vari, si riprende l'attività escursionistica con Francy in veste ormai totalmente autunnale.
L'idea è quella di provare a salire sul Pizzo Bello, a quota 2.743 m, sperando che il tempo regga.
La giornata infatti è decisamente uggiosa ma per fortuna rimaniamo asciutti fino alla fine.
Dopo aver acquistato presso un bar il permesso per salire in località Prato Maslino, affrontiamo i numerosi tornanti che permettono di superare i 1300 metri di dislivello che separano questa località dal fondovalle valtellinese.
Il nucleo di case di Prato Maslino è posto in invidiabile posizione panoramica sulle Orobie, ma oggi l'orizzonte non si apre e di fronte a noi c'è solo un mare di nubi.
Sono gli ultimi giorni di alpeggio, ma vediamo ancora parecchio bestiame in giro. Superiamo la piana retrostante e imbocchiamo subito il sentiero nr. 401 che sin dall'inizio riporta la nostra destinazione finale con un tempo di percorrenza di 2h50, che si rivelerà tra l'altro corretto.
Il primo tratto si svolge nel bosco. Incrociamo un po' di persone, sono tutti fungiatt all'opera. Risaliamo il bosco guadagnando quota dapprima molto lentamente, poi in maniera decisamente più ripida lungo il lato orografico sinistro della Val Vignone.
Attorno a quota 1.900 m approdiamo al nucleo dell'Alpe Vignone, in fondo al quale, sulla destra, si parte a salire in maniera decisa in direzione di una piana piuttosto estesa nella quale qui e lì notiamo diverse pecore al pascolo.
Transitiamo nei pressi di un alpeggio con un laghetto, sarà l'ultima traccia umana che incontreremo lungo il percorso.
L'ambiente è molto bello nonostante il grigiore del cielo. Attorno a noi si stagliano le irte sagome di montagne totalmente sconosciute.
Seguiamo la traccia, sempre ben evidente e probabilmente anche ripassata di recente (bolli freschi) e ci inerpichiamo verso la testa della vallata, al termine della quale troviamo una palina segnaletica. Siamo a quota 2.610 m, le indicazioni riportano 20 minuti per il raggiungimento della vetta. Abbiamo tenuto un ottimo ritmo finora.
Davanti a noi si prospetta la risalita degli ultimi metri di cresta. Finalmente si appoggiano le mani su un po' di roccia.
Immersi totalmente in una umidissima nebbia, con attenzione risaliamo, sempre seguendo i bolli, il facile itinerario che ci porta all'omone di vetta. Camminando sulla piatta sommità, con attenzione all'esposizione, si raggiunge in brevissimo tempo anche alla croce riportante il nome e l'altezza del monte.
Il panorama è purtroppo totalmente precluso. Un vero peccato, dicono che da qui la vista del Disgrazia sia mozzafiato. Noi ci dobbiamo accontentare di un minuscolo squarcio che ci permette di osservare, per pochissimo tempo, la sottostante Val Terzana e la terra rossa dei Corni Bruciati.
Davanti a noi il percorso sembra proseguire, vediamo un altro omone di vetta poco distante, ma la cresta mi sembra decisamente affilata per poter essere percorribile.
Immersi nella nebbia a 2.700 metri il freddo è pungente. Ci copriamo, pranziamo e decidiamo di scendere di lì a poco.
Ricalchiamo totalmente l'itinerario di salita, ottimamente segnato e visibile. Ritornati alla bocchetta, e giù per la conca, notiamo diverse sagome di stambecchi stagliarsi sulle creste dei monti circostanti. Intravediamo anche diversi ometti e ci chiediamo se la cresta sia effettivamente percorribile in toto.
Nella conca il silenzio più totale è rotto solo dal belare delle pecore, presenti un po' in ogni dove.
La discesa ci regala qualche schiarita in più, attorno alle 15 il cielo comincia ad aprirsi un po' e verso Sud cominciamo a vedere gli stretti solchi vallivi orobici. Il fondovalle valtellinese è invece totalmente coperto.
Ritorniamo all'auto attorno alle 16 senza, fortunatamente, aver beccato pioggia.
La bellezza di questo luogo merita sicuramente di essere rivissuta in condizioni meteorologiche differenti.
L'idea è quella di provare a salire sul Pizzo Bello, a quota 2.743 m, sperando che il tempo regga.
La giornata infatti è decisamente uggiosa ma per fortuna rimaniamo asciutti fino alla fine.
Dopo aver acquistato presso un bar il permesso per salire in località Prato Maslino, affrontiamo i numerosi tornanti che permettono di superare i 1300 metri di dislivello che separano questa località dal fondovalle valtellinese.
Il nucleo di case di Prato Maslino è posto in invidiabile posizione panoramica sulle Orobie, ma oggi l'orizzonte non si apre e di fronte a noi c'è solo un mare di nubi.
Sono gli ultimi giorni di alpeggio, ma vediamo ancora parecchio bestiame in giro. Superiamo la piana retrostante e imbocchiamo subito il sentiero nr. 401 che sin dall'inizio riporta la nostra destinazione finale con un tempo di percorrenza di 2h50, che si rivelerà tra l'altro corretto.
Il primo tratto si svolge nel bosco. Incrociamo un po' di persone, sono tutti fungiatt all'opera. Risaliamo il bosco guadagnando quota dapprima molto lentamente, poi in maniera decisamente più ripida lungo il lato orografico sinistro della Val Vignone.
Attorno a quota 1.900 m approdiamo al nucleo dell'Alpe Vignone, in fondo al quale, sulla destra, si parte a salire in maniera decisa in direzione di una piana piuttosto estesa nella quale qui e lì notiamo diverse pecore al pascolo.
Transitiamo nei pressi di un alpeggio con un laghetto, sarà l'ultima traccia umana che incontreremo lungo il percorso.
L'ambiente è molto bello nonostante il grigiore del cielo. Attorno a noi si stagliano le irte sagome di montagne totalmente sconosciute.
Seguiamo la traccia, sempre ben evidente e probabilmente anche ripassata di recente (bolli freschi) e ci inerpichiamo verso la testa della vallata, al termine della quale troviamo una palina segnaletica. Siamo a quota 2.610 m, le indicazioni riportano 20 minuti per il raggiungimento della vetta. Abbiamo tenuto un ottimo ritmo finora.
Davanti a noi si prospetta la risalita degli ultimi metri di cresta. Finalmente si appoggiano le mani su un po' di roccia.
Immersi totalmente in una umidissima nebbia, con attenzione risaliamo, sempre seguendo i bolli, il facile itinerario che ci porta all'omone di vetta. Camminando sulla piatta sommità, con attenzione all'esposizione, si raggiunge in brevissimo tempo anche alla croce riportante il nome e l'altezza del monte.
Il panorama è purtroppo totalmente precluso. Un vero peccato, dicono che da qui la vista del Disgrazia sia mozzafiato. Noi ci dobbiamo accontentare di un minuscolo squarcio che ci permette di osservare, per pochissimo tempo, la sottostante Val Terzana e la terra rossa dei Corni Bruciati.
Davanti a noi il percorso sembra proseguire, vediamo un altro omone di vetta poco distante, ma la cresta mi sembra decisamente affilata per poter essere percorribile.
Immersi nella nebbia a 2.700 metri il freddo è pungente. Ci copriamo, pranziamo e decidiamo di scendere di lì a poco.
Ricalchiamo totalmente l'itinerario di salita, ottimamente segnato e visibile. Ritornati alla bocchetta, e giù per la conca, notiamo diverse sagome di stambecchi stagliarsi sulle creste dei monti circostanti. Intravediamo anche diversi ometti e ci chiediamo se la cresta sia effettivamente percorribile in toto.
Nella conca il silenzio più totale è rotto solo dal belare delle pecore, presenti un po' in ogni dove.
La discesa ci regala qualche schiarita in più, attorno alle 15 il cielo comincia ad aprirsi un po' e verso Sud cominciamo a vedere gli stretti solchi vallivi orobici. Il fondovalle valtellinese è invece totalmente coperto.
Ritorniamo all'auto attorno alle 16 senza, fortunatamente, aver beccato pioggia.
La bellezza di questo luogo merita sicuramente di essere rivissuta in condizioni meteorologiche differenti.
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