Grignone, 2410 da Pasturo
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Dopo una nevicata così, con una giornata così, Grignone.
Certo, 1800 metri di dislivello, per testare bicipite femorale e forma fisica, sono un bell'impegno; ma, visti i meteo sempre incerti dei week end e i casini vari che mi frenano, meglio approfittare della giornata favorevole.
Pancho accetta di buon grado; il Capitano, alla sua prima Grigna, ignaro, si accoda.
Con comodo, poco dopo le nove e mezza, calziamo gli sci al bivio della Provinciale 62, all'entrata di Pasturo.
Caldo. Parto da subito in maglietta, sfidando la consueta scottatura primaverile agli avambracci.
Non ero mai salito, per questa via, con gli sci. Il percorso si dipana per pratoni innevati, incrociando ripetutamente la strada che ho avuto modo di conoscere nella salita in bicicletta di ottobre. “Potevamo farcela in macchina, col 4x4 non avremmo avuto problemi; milleottocento sono un po’ tantini...” mormora qualcuno.
Dopo circa un’ora e mezza, approdiamo al balcone del Rifugio Antonietta al Pialleral. Il Capitano, impegnato in misteriose telefonate, si fa un po’ aspettare. “Dai, che da qui comincia la salita!”
Contrappunto scherzoso che cela una mezza verità: mancano ancora oltre mille metri di dislivello e la pendenza media che, fin qui, si è mantenuta attorno al 20%, passerà ora ad oltre il 30, fino all’uscita in cresta.
Il caldo si fa sentire e la traccia, massacrata dai “pedoni” in discesa, peggiora notevolmente. Fortunatamente, fuori traccia si procede bene, senza affondare più di tanto nella neve già parecchio frollata, ma arrivare all’affollato pianoro del bivacco Riva Girani ai Comolli è comunque affare che richiede un pesante contributo di sudore.
Se il bicipite femorale se la passa bene, la forma fisica ha conosciuto tempi migliori. Ma si va.
Un quarto d’ora di pausa ai Comolli e si riparte.
Adesso viene il bello: il “Muro del Pianto”. Le condizioni della neve, permettono di risalirlo completamente con gli sci, ma, d’altra parte, gli infiniti segmenti, disegnati tra una “forchetta” e l’altra, si intersecano continuamente con la traccia pedestre ricca di profondi buchi e di scivoli disegnati dai lati B di chi ha adottato l’antica tecnica di discesa rapida su natiche. L’andatura, già appesantita dal caldo e dallo scoppiamento, ne risente ulteriormente.
Un’ora e un quarto per poco più di quattrocento metri di dislivello. Raggiungo Pancho sulla cresta. Altra sosta.
“Capitanooo!”
“Quel ragazzo lì, mangia troppo poco! Non vedi come è magro... non gli fa mica bene!”
Un leggero refolo mi da l’occasione di infilarmi un pile: non che serva, ma meglio approfittare per mettere in salvo le braccia dalla rosolatura finale.
Quando Piero ci raggiunge, ne respingiamo con fermezza i propositi di ritiro: “Da qui è un attimo; poi una bella mangiata in rifugio e sei come nuovo”
Lasciamo gli sci, per affrontare l’ultimo tratto a piedi. Si scivola un po’, senza ramponi; ma niente di pericoloso. Solo supplemento di fatica.
Finalmente la croce di vetta.
Dopo, a tavola, Capitan Piero ci confesserà di aver fatto tutto l’ultimo tratto roso dal dubbio che lo avessimo preso in giro sulla presenza del rifugio!
L’unico scialpinista italiano che non sa che sulla cima del Grignone c’è il Brioschi. E, se glielo dici, non ci crede!
Ci rifocilliamo adeguatamente e ci perdiamo in chiacchiere e fotografie: quando ci rimettiamo in moto sono le quattro!
Errore.
Il caldo e la neve molle ci prospettavano una discesa magari un po’ faticosa, ma ragionevolmente divertente; ora, invece, il freddo, preso il sopravvento, ha confezionato un infame, infido, insciabile crostone che impedisce qualsiasi manovra e rende la discesa un calvario memorabile.
Giusta punizione per la nostra disdicevole e dissipata condotta che, ancora una volta ci ha portato a non tenere nella giusta considerazione il “timing”. Così lo chiamano quelli bravi.
Arriviamo alle auto che è quasi buio e tutti, a questo punto, hanno fretta di tornare a casa.
Mi secca un po’ per la birra finale...
Sarà per la prossima.

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