Monte Venturosa (1999 m)
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Sulle Orobie c’è pericolo marcato, quindi devo stare basso. Scelgo la bassa Val Brembana. Sono stato da queste parti qualche giorno fa, con Silvia, per una gara. Non conosco nulla, come in quasi tutte le Orobie, quindi vado a caso. Per raggiungere il punto di partenza c’è da percorrere una stradina con la macchina. Si può arrivare da due parti. Scelgo quella che viene da Nord, ma, dopo qualche centinaio di metri, mi trovo su una strada che, oltre che stretta (questo lo immaginavo già) è anche sempre più innevata. Ho le gomme invernali, ma la macchina è nuova (e poco da montagna) quindi vado con molta prudenza. La strada si inerpica su un versante della montagna sfruttato da cave di marmo, poi attraversa un borgo di qualche case. Nel punto in cui avevo previsto di partire incrocio alcune macchine di scialpinisti che, proprio in quel momento, stavano partendo. Nello spiazzo adibito a parcheggio la neve e profonda, preferisco andare avanti, nella speranza di trovare qualche altro punto in cui lasciare la macchina. La strada però è innevata da ambo i lati e non c’è modo di farlo, se non in un altro spiazzo (questa volta, pulito), un paio di chilometri più avanti. Lì parte una sterrata che, in falsopiano, si ricongiunge al sentiero che sale diretto dall’altro parcheggio. C’è un signore che sta, come me, incamminandosi su quella stradina. Ci salutiamo ed incominciamo a chiacchierare. Mi racconta che ha una baita da queste parti e sta andando a dargli un’occhiata. Arriva da Trezzo sull’Adda. Mi descrive la zona, con i suoi abitati, le attività del passato e mi parla della sua baita. Ipotizza le condizioni che troverò, salendo. Poco prima di noi deve essere passato qualcun altro, ci sono le sue impronte fresche. Parliamo di CoViD, di amici che non ci sono più e dei segni che la malattia ha lasciato in ognuno di loro. Finita la stradina, il mio amico prosegue verso la sua baita, circa in orizzontale, io incomincio a salire. La neve è fresca, ma le tracce mi aiutano nella progressione. Con me ho comunque le ciaspole che, sebbene non mi garantiscano di farcela (mi sono trovato a volte in condizioni in cui sprofondavo fino al ginocchio anche con quelle!) mi permettono sicuramente di provarci! Oggi il mio GPS, fido compagno di tante avventure, ha esalato il suo ultimo respiro. Prestissimo, ne comprerò un altro, identico. Pur essendo un modello che risale al 2011, il Garmin 910xt, è esattamente quello che mi serve per orientarmi in montagna, dove le informazioni devono essere ridotte all’essenziale. Nonostante non abbia, dunque, alcun riferimento topografico, ho grossomodo chiaro dove devo andare, nonché una buona dose di tracce! Ad un certo punto incrocio il giovanotto che era salito prima di me e che stava scendendo: diretto al Venturosa, era tornato indietro alla Baita del Giacom per la troppa neve, e la voglia di tornare a casa presto, ma io con le ciaspole e nessuna fretta, se non quella per non trovare traffico al rientro, ce l’avrei fatta senz’altro. Arrivo al colletto, il Passo Grialeggio, immerso in una foresta resa incantata dal ghiaccio sugli alberi. Da lì, la mia cima sulla destra sembrava tranquilla da raggiungere. Giusto qualche sprofondamento dove la traccia si faceva più ripida, ed eccomi in vetta. Lì incontro un gruppone di scialpinisti saliti dal versante della Val Taleggio. Mi fermo giusto il tempo di mangiare un po’ e di fare le foto. Soffia un po’ di vento, qui. Il ritorno è tranquillo e divertente, a balzelloni nel bosco.
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