Bocchetta Chiaro: ricerca di un vecchio sentiero
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Progetto e gita un po' complessi da spiegare, molto in divenire durante il percorso e con la leggerezza di una errata valutazione stagionale. L'idea iniziale era quella di salire per l'ennesima volta sul Monte Berlinghera, ma questa volta non dal solito versante lariano (asceso, negli anni, a piedi, con gli sci, con le racchette da neve, di giorno e di notte), bensì dal poco frequentato lato valchiavennasco. Sarebbe comodo, pagando pochi euro di pedaggio, partire direttamente dal maggengo di Paiedo, ma, per aggiungere un po' di distanza e dislivello, decidiamo di partire da San Pietro di Samolaco e percorrere un tratto di Strada Francisca. Arrivati a Paiedo le indicazioni escursionistiche terminano e si procede per intuizione: le mappe indicano univocamente un evidente sentiero e un sito web descrive addirittura il passaggio in discesa con MBK. In realtà, un poco evidente sentiero si biforca subito in due livelli poco meno che paralleli attraverso il pendio: quale scegliere? Noi dovremmo salire alla Bocchetta Chiaro, il ramo di sinistra tende a scendere e quello di destra invece sale e sembra più battuto: quasi senza incertezze andiamo a destra, facendo una scelta sbagliata, ma, in qualche modo, anche giusta e più interessante. Saliamo per questo antico sentiero, con tratti scavati nella roccia, qualche modesta gradinata, lunghe sezioni con sole vaghe tracce di passaggio animale e attraversamenti di numerosi canaloni: al quarto solco si frappone l'errore stagionale. L'accumulo metrico della neve di valanga, per cause climatiche, risulta quasi inconsistente nella sua non-portanza, con segni di cedimento spontaneo in corrispondenza del torrente di fusione sottostante: spiace - e molto - ma bisogna fermarsi, visto che anche l'aggiramento non sembra agevole.
Inutile dirlo, ma si ritornerà : è solo questione di tempo.
Dalla curva ad angolo della Via Peremonte, dove a malapena si possono parcheggiare 2 o 3 auto, si diparte una carrareccia che si addentra subito nel bosco: qua e là - lungo il percorso - si noteranno ancora i vecchi cartelli metallici della "Via Francisca", ma è meglio fare affidamento sui tratti di vernice gialla e sulle nuove indicazioni "Ippovia". Dopo poche decine di metri si devia a sinistra imboccando una bellissima mulattiera che, con continui saliscendi, attraversa la fitta fascia boscosa sparsa di antiche baite, ruderi e poche abitazioni recentemente restaurate, testimonianza del fatto che un tempo il fondovalle era paludoso e non stabilmente vivibile. Si passano quindi le case di Schenone e il guado della Bolgadregna, trascurando la discesa a Nogaredo; si sale brevemente a Sasel (bella costruzione restaurata nel 1995 con ornamenti nello stile degli "sgraffiti" engadinesi) e si raggiunge Luoghi (notare sulla destra, semimmerso dalla vegetazione, un piatto da torchio usato per la produzione dell'olio di noci). Dopo aver oltrepassato un incrocio di sentieri (a destra la mulattiera-via crucis per la vecchia chiesa di Sant'Andrea), si raggiungono i rustici di Surlera (letteralmente "sopra Era", frazione al piano di Samolaco) e le case di Montenuovo: da qui, in pochi passi, si raggiunge una carrozzabile asfaltata da seguire verso destra; in corrispondenza del primo tornante ci si addentra fra i suggestivi ruderi di Ronco. Fra le baite si reperisce a fatica l'inizio dell'antica mulattiera per Cusciago: attualmente è semi-impraticabile per disuso e trascurati abbattimenti forestali. Fortunatamente al primo attraversamento della strada precedentemente abbandonata a Ronco, la situazione migliora e compaiono anche segnalazioni: si va a seguire una bella mulattiera - ancora frequentata e ben tenuta - che sale decisamente nella selva castanile intersecando numerose volte la carrozzabile a pedaggio per Paiedo. L'antica importanza del collegamento col maggengo in quota è testimoniata anche dalle numerose cappelle ("gesaöö") costruite a distanze regolari sul percorso per offrire tregua riposo e spiritualità ai passanti. Con un'ultima svolta sul crinale della Val Casenda, si raggiunge il punto più basso di Paiedo ("Paèe"), corrispondente al sagrato erboso della chiesa; salendo al vicino agglomerato - tuttora abitato nei giorni festivi - se ne va a risalire la curiosa via acciottolata principale fino a trovare sulla sinistra una grossa fontana monolitica. Procedendo a sinistra, si entra subito fra ripidi prati, dove in breve si può trovare (senza alcuna indicazione) un malagevole sentierino che subito si sdoppia, come detto precedentemente. [All'ingresso automobilistico di Paiedo è posizionata una bacheca escursionistica con una coreografica e inutile mappa fotografica dei sentieri del comune di Samolaco: grossolana e massimamente imprecisa]. La traccia più evidente sembra essere quella di destra e, in effetti, dopo poche decine di metri, si trasforma in un'ottima mulattiera, con protezioni a valle, dove il pendio si fa esposto in prossimità della imponente cascata di Val Casenda; traversato il soprastante guado (difficile non bagnarsi) si sale ripidamente fino ad un poggio erboso caratterizzato dalla presenza di un'antica cappella. Fin qui nessun problema di percorso né di orientamento, ma l'ingresso in un meraviglioso bosco di faggi (molti esemplari plurisecolari) richiede maggiore attenzione nella ricerca del passaggio: fondamentalmente occorre salire sul largo dosso compreso fra la Val Casenda e l'adiacente canalone; avvicinandosi a questo secondo solco, fra le rocce i segni di adattamento al passaggio risultano più evidenti. Qui il guado è agevole, mentre richiede più attenzione la salita sull'altro versante, interessato da un piccolo smottamento; il prosieguo si ripete con caratteristiche simili al tratto precedente fino al terzo vallone: sicuramente in assenza di neve non si presenterebbero difficoltà, ma oggi la neve inconsistente e il rischio di sfondamento nel torrente sottostante ci obbligano a risalire la sponda per alcune decine di metri fino ad un punto di attraversamento sicuro (passaggi in roccia di I grado e arrampicata vegetale fra rododendri e ontanelli). Ritrovato il sentiero, qui di nuovo piuttosto buono, ci si comincia ad illudere di poter salirere comodamente alla bocchetta, ma...la traccia traversa in piano verso una nuova valletta, la peggiore: larga e ripida, l'attraversamento diretto non è consigliabile e le pareti rocciose sono lisce e bagnate.
Per oggi ci si ferma qui: in fin dei conti è sufficiente lasciar passare il tempo utile a che la neve si fonda.
Ritorno per la via di salita; sotto Paiedo è possibile trovare un sentiero (rusticamente segnalato) analogo a quello di andata, che permette di accorciare di un breve tratto la Via Francisca.
Inutile dirlo, ma si ritornerà : è solo questione di tempo.
Dalla curva ad angolo della Via Peremonte, dove a malapena si possono parcheggiare 2 o 3 auto, si diparte una carrareccia che si addentra subito nel bosco: qua e là - lungo il percorso - si noteranno ancora i vecchi cartelli metallici della "Via Francisca", ma è meglio fare affidamento sui tratti di vernice gialla e sulle nuove indicazioni "Ippovia". Dopo poche decine di metri si devia a sinistra imboccando una bellissima mulattiera che, con continui saliscendi, attraversa la fitta fascia boscosa sparsa di antiche baite, ruderi e poche abitazioni recentemente restaurate, testimonianza del fatto che un tempo il fondovalle era paludoso e non stabilmente vivibile. Si passano quindi le case di Schenone e il guado della Bolgadregna, trascurando la discesa a Nogaredo; si sale brevemente a Sasel (bella costruzione restaurata nel 1995 con ornamenti nello stile degli "sgraffiti" engadinesi) e si raggiunge Luoghi (notare sulla destra, semimmerso dalla vegetazione, un piatto da torchio usato per la produzione dell'olio di noci). Dopo aver oltrepassato un incrocio di sentieri (a destra la mulattiera-via crucis per la vecchia chiesa di Sant'Andrea), si raggiungono i rustici di Surlera (letteralmente "sopra Era", frazione al piano di Samolaco) e le case di Montenuovo: da qui, in pochi passi, si raggiunge una carrozzabile asfaltata da seguire verso destra; in corrispondenza del primo tornante ci si addentra fra i suggestivi ruderi di Ronco. Fra le baite si reperisce a fatica l'inizio dell'antica mulattiera per Cusciago: attualmente è semi-impraticabile per disuso e trascurati abbattimenti forestali. Fortunatamente al primo attraversamento della strada precedentemente abbandonata a Ronco, la situazione migliora e compaiono anche segnalazioni: si va a seguire una bella mulattiera - ancora frequentata e ben tenuta - che sale decisamente nella selva castanile intersecando numerose volte la carrozzabile a pedaggio per Paiedo. L'antica importanza del collegamento col maggengo in quota è testimoniata anche dalle numerose cappelle ("gesaöö") costruite a distanze regolari sul percorso per offrire tregua riposo e spiritualità ai passanti. Con un'ultima svolta sul crinale della Val Casenda, si raggiunge il punto più basso di Paiedo ("Paèe"), corrispondente al sagrato erboso della chiesa; salendo al vicino agglomerato - tuttora abitato nei giorni festivi - se ne va a risalire la curiosa via acciottolata principale fino a trovare sulla sinistra una grossa fontana monolitica. Procedendo a sinistra, si entra subito fra ripidi prati, dove in breve si può trovare (senza alcuna indicazione) un malagevole sentierino che subito si sdoppia, come detto precedentemente. [All'ingresso automobilistico di Paiedo è posizionata una bacheca escursionistica con una coreografica e inutile mappa fotografica dei sentieri del comune di Samolaco: grossolana e massimamente imprecisa]. La traccia più evidente sembra essere quella di destra e, in effetti, dopo poche decine di metri, si trasforma in un'ottima mulattiera, con protezioni a valle, dove il pendio si fa esposto in prossimità della imponente cascata di Val Casenda; traversato il soprastante guado (difficile non bagnarsi) si sale ripidamente fino ad un poggio erboso caratterizzato dalla presenza di un'antica cappella. Fin qui nessun problema di percorso né di orientamento, ma l'ingresso in un meraviglioso bosco di faggi (molti esemplari plurisecolari) richiede maggiore attenzione nella ricerca del passaggio: fondamentalmente occorre salire sul largo dosso compreso fra la Val Casenda e l'adiacente canalone; avvicinandosi a questo secondo solco, fra le rocce i segni di adattamento al passaggio risultano più evidenti. Qui il guado è agevole, mentre richiede più attenzione la salita sull'altro versante, interessato da un piccolo smottamento; il prosieguo si ripete con caratteristiche simili al tratto precedente fino al terzo vallone: sicuramente in assenza di neve non si presenterebbero difficoltà, ma oggi la neve inconsistente e il rischio di sfondamento nel torrente sottostante ci obbligano a risalire la sponda per alcune decine di metri fino ad un punto di attraversamento sicuro (passaggi in roccia di I grado e arrampicata vegetale fra rododendri e ontanelli). Ritrovato il sentiero, qui di nuovo piuttosto buono, ci si comincia ad illudere di poter salirere comodamente alla bocchetta, ma...la traccia traversa in piano verso una nuova valletta, la peggiore: larga e ripida, l'attraversamento diretto non è consigliabile e le pareti rocciose sono lisce e bagnate.
Per oggi ci si ferma qui: in fin dei conti è sufficiente lasciar passare il tempo utile a che la neve si fonda.
Ritorno per la via di salita; sotto Paiedo è possibile trovare un sentiero (rusticamente segnalato) analogo a quello di andata, che permette di accorciare di un breve tratto la Via Francisca.
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