Pizzo di Rodes (per me quasi)
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Escursione di stampo “occidentale” nel solitario ambiente delle Orobie valtellinesi con sullo sfondo le massime cime delle Retiche, su terreno scistoso e vegetazione conseguente che mi hanno ricordato l’ambiente delle valli valdostane e del dirimpettaio Bernina, piuttosto che quello in genere calcareo delle Alpi Orobie sulle quali ci troviamo.
La valutazione F è stata messa per il tratto finale con l’innevamento di oggi, senza neve dovrebbe essere un EE.
Difficile resistere all’invito di tre persone di provata esperienza, anche se la nevicata di mercoledì aveva molto smorzato il mio entusiasmo, poi ha prevalso la filosofia del tentare puntando ad arrivare il più in alto possibile. Questa estate non ho ancora superato i 3000 metri ma l’altezza rispettabile per le Orobie, la zona nuova per me e l’invito degli amici mi hanno spinto a camminare qua piuttosto che altrove. Partiamo in quattro con il materiale alpinistico negli zaini, nessuno vuole rinunciare alla cima per non essersi portato piccozza, imbrago e ramponi. Due persone di buona volontà hanno nello zaino una corda ciascuno. I miei amici fanno parte della SEM, alla quale mi sono iscritto come aggregato, e sono particolarmente interessati a ispezionare il percorso in vista di una gita sociale di settembre. Tre su quattro ci chiamiamo Andrea e non è raro chiamarci per cognome.
Dal bel terrazzo erboso dell’Alpe Le Piane dove sorge il Rifugio Alpini (m.1550), il Pizzo di Rodes è appena visibile. Il primo tratto del sentiero è a saliscendi. Poi “un’altra” passerella, meno famosa di quella sul Lago d’Iseo ma qui da molto tempo prima, attraversa una zona paludosa e conduce al ponte sul torrente in vista della bella baita dell’Alpe Armisola (m.1629). Passati sulla destra idrografica della valle, sinistra salendo, la traccia si inerpica nel bosco fino al casolare dell’Alpe Piateda di Sotto (m.1729). Qui il prato è stato invaso dalla vegetazione, davanti a noi c’è un affioramento roccioso con ometto: lo raggiungiamo e lo aggiriamo. Una vaga traccia si inoltra in una valletta, tenendosi a ridosso del pendio e a una certa distanza dal torrente. Ognuno di noi fa la sua parte nell’individuare ometti e rari segni bianco-rossi finché dopo alcuni minuti un ometto posto in alto a sinistra ci indica che è il momento di salire decisamente. Vediamo un altro ometto situato un po’ più in basso e un po’ spostato a destra e troviamo una traccia che li raccorda descrivendo una diagonale. Raggiunto l’ometto in alto, la traccia sale talvolta poco evidente fino a un ampio canale erboso dove si trovano dei ruderi di muretti a secco. Devono essere i ruderi dell’Alpe Piateda di Sopra, a 2048 metri. Da qui il sentierino, ora ben evidente, sale a stretti tornanti su un costone alberato ed erboso e sbuca in un luogo prativo. Dietro di noi sono ora ben visibili le cime principali del Bernina, mentre da tempo erano visibili prima il Disgrazia e poi anche il Roseg. La traccia di nuovo si perde, saliamo seguendo il costone erboso finché il sentierino ricompare e ci porta a guadare un torrente sulla sinistra. Saliamo così per prati, lasciando a destra il torrente con cascata, alla Bocchetta di Santo Stefano (m.2378) dove in una giornata limpida come oggi compare verso est l’Alta Valtellina con Ortles, Gran Zebrù e Cevedale mentre più spostato è visibile il gruppo dell’Adamello.
Sopra di noi si trova l’aguzza Punta Santo Stefano e sotto di noi, sul versante opposto, gli omonimi laghi. Dalla Bocchetta la traccia guida verso la testata della valle tra la Punta di Santo Stefano e il Rodes, ancora non visibile. A 2400 metri circa comincia la neve. Qualcuno preferisce salire sulla sinistra su pietraia con ometti, qualcun altro sceglie di salire per nevai, ci riuniamo poco sotto la Bocchetta di Reguzzo. Qui compare finalmente la cima del Rodes: il percorso oggi è su neve e descrive un traverso verso il centro della valle per poi girare a sinistra e puntare alla vetta. Metto i ramponi e metto piede sul nevaio. La neve non è dura ma al momento non si affonda, comunque con i ramponi mi trovo meglio. Dopo il traverso segue una rampa, poi un breve traverso e poi la rampa finale, stimata sui 40 gradi. E qui mi fermo, a quota 2755 secondo l’altimetro, 75 metri sotto la vetta.
Mi viene garantito che in discesa saremo in cordata tuttavia non intendo rallentare troppo la comitiva sentendomi a corto di fiato. “Tecnicamente” non dubito che ci sarei riuscito come non dubito che sarei salito se questa rampa si fosse presentata un’ora prima. Ho trovato questi 1300 metri di dislivello nettamente più impegnativi di altri che ho percorso di recente su sentieri che al confronto mi sembrano delle autostrade. Faccio allora una sosta, mangiando anche qualcosa, mentre i tre salgono in vetta e scendono. Per salire in vetta si sono impiegate 6 ore, contro le 4.30 di tabella, investendo però una mezz’ora per le soste e rallentati dalla neve almeno un’altra mezz’ora.
La discesa, che immaginavo faticosa su nevai e pietraie, va invece via abbastanza liscia fino alla Bocchetta di Santo Stefano, sulla neve mi aiuta l’inserirmi nella cordata e forse la sosta mi ha fatto bene.
Scendendo dalla Bocchetta, mentre dà un pò fastidio la calura del pomeriggio inoltrato, faccio attenzione ai punti più significativi in vista del futuro resoconto. So che per qualcuno queste escursioni sono la regola, io arrivo all’auto “un po’ stanchino” ma non uno “straccio”. Ed è ormai piuttosto tardi quando scendo dall’auto al ritrovo di partenza, percorrendo in bicicletta l’ultimo tratto per rientrare a casa …. come Hermann Buhl, scherza qualcuno. Solo che lui, di solito, le vie le finiva : )
La valutazione F è stata messa per il tratto finale con l’innevamento di oggi, senza neve dovrebbe essere un EE.
Difficile resistere all’invito di tre persone di provata esperienza, anche se la nevicata di mercoledì aveva molto smorzato il mio entusiasmo, poi ha prevalso la filosofia del tentare puntando ad arrivare il più in alto possibile. Questa estate non ho ancora superato i 3000 metri ma l’altezza rispettabile per le Orobie, la zona nuova per me e l’invito degli amici mi hanno spinto a camminare qua piuttosto che altrove. Partiamo in quattro con il materiale alpinistico negli zaini, nessuno vuole rinunciare alla cima per non essersi portato piccozza, imbrago e ramponi. Due persone di buona volontà hanno nello zaino una corda ciascuno. I miei amici fanno parte della SEM, alla quale mi sono iscritto come aggregato, e sono particolarmente interessati a ispezionare il percorso in vista di una gita sociale di settembre. Tre su quattro ci chiamiamo Andrea e non è raro chiamarci per cognome.
Dal bel terrazzo erboso dell’Alpe Le Piane dove sorge il Rifugio Alpini (m.1550), il Pizzo di Rodes è appena visibile. Il primo tratto del sentiero è a saliscendi. Poi “un’altra” passerella, meno famosa di quella sul Lago d’Iseo ma qui da molto tempo prima, attraversa una zona paludosa e conduce al ponte sul torrente in vista della bella baita dell’Alpe Armisola (m.1629). Passati sulla destra idrografica della valle, sinistra salendo, la traccia si inerpica nel bosco fino al casolare dell’Alpe Piateda di Sotto (m.1729). Qui il prato è stato invaso dalla vegetazione, davanti a noi c’è un affioramento roccioso con ometto: lo raggiungiamo e lo aggiriamo. Una vaga traccia si inoltra in una valletta, tenendosi a ridosso del pendio e a una certa distanza dal torrente. Ognuno di noi fa la sua parte nell’individuare ometti e rari segni bianco-rossi finché dopo alcuni minuti un ometto posto in alto a sinistra ci indica che è il momento di salire decisamente. Vediamo un altro ometto situato un po’ più in basso e un po’ spostato a destra e troviamo una traccia che li raccorda descrivendo una diagonale. Raggiunto l’ometto in alto, la traccia sale talvolta poco evidente fino a un ampio canale erboso dove si trovano dei ruderi di muretti a secco. Devono essere i ruderi dell’Alpe Piateda di Sopra, a 2048 metri. Da qui il sentierino, ora ben evidente, sale a stretti tornanti su un costone alberato ed erboso e sbuca in un luogo prativo. Dietro di noi sono ora ben visibili le cime principali del Bernina, mentre da tempo erano visibili prima il Disgrazia e poi anche il Roseg. La traccia di nuovo si perde, saliamo seguendo il costone erboso finché il sentierino ricompare e ci porta a guadare un torrente sulla sinistra. Saliamo così per prati, lasciando a destra il torrente con cascata, alla Bocchetta di Santo Stefano (m.2378) dove in una giornata limpida come oggi compare verso est l’Alta Valtellina con Ortles, Gran Zebrù e Cevedale mentre più spostato è visibile il gruppo dell’Adamello.
Sopra di noi si trova l’aguzza Punta Santo Stefano e sotto di noi, sul versante opposto, gli omonimi laghi. Dalla Bocchetta la traccia guida verso la testata della valle tra la Punta di Santo Stefano e il Rodes, ancora non visibile. A 2400 metri circa comincia la neve. Qualcuno preferisce salire sulla sinistra su pietraia con ometti, qualcun altro sceglie di salire per nevai, ci riuniamo poco sotto la Bocchetta di Reguzzo. Qui compare finalmente la cima del Rodes: il percorso oggi è su neve e descrive un traverso verso il centro della valle per poi girare a sinistra e puntare alla vetta. Metto i ramponi e metto piede sul nevaio. La neve non è dura ma al momento non si affonda, comunque con i ramponi mi trovo meglio. Dopo il traverso segue una rampa, poi un breve traverso e poi la rampa finale, stimata sui 40 gradi. E qui mi fermo, a quota 2755 secondo l’altimetro, 75 metri sotto la vetta.
Mi viene garantito che in discesa saremo in cordata tuttavia non intendo rallentare troppo la comitiva sentendomi a corto di fiato. “Tecnicamente” non dubito che ci sarei riuscito come non dubito che sarei salito se questa rampa si fosse presentata un’ora prima. Ho trovato questi 1300 metri di dislivello nettamente più impegnativi di altri che ho percorso di recente su sentieri che al confronto mi sembrano delle autostrade. Faccio allora una sosta, mangiando anche qualcosa, mentre i tre salgono in vetta e scendono. Per salire in vetta si sono impiegate 6 ore, contro le 4.30 di tabella, investendo però una mezz’ora per le soste e rallentati dalla neve almeno un’altra mezz’ora.
La discesa, che immaginavo faticosa su nevai e pietraie, va invece via abbastanza liscia fino alla Bocchetta di Santo Stefano, sulla neve mi aiuta l’inserirmi nella cordata e forse la sosta mi ha fatto bene.
Scendendo dalla Bocchetta, mentre dà un pò fastidio la calura del pomeriggio inoltrato, faccio attenzione ai punti più significativi in vista del futuro resoconto. So che per qualcuno queste escursioni sono la regola, io arrivo all’auto “un po’ stanchino” ma non uno “straccio”. Ed è ormai piuttosto tardi quando scendo dall’auto al ritrovo di partenza, percorrendo in bicicletta l’ultimo tratto per rientrare a casa …. come Hermann Buhl, scherza qualcuno. Solo che lui, di solito, le vie le finiva : )
Tourengänger:
andrea62

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