Al Passo di Belviso (by
grandemago)
Sabato nel gruppo aleggiava l’incertezza! Ormai la pioggia non è più un evento naturale, ma è come se dovesse arrivare l’apocalisse! D’altra parte siamo condizionati da un’informazione che non informa, che riempie il vuoto propinandoci amenità di personaggi che non si capisce bene cosa facciano nella vita, oltre ad apparire ovunque......e per quanto ci riguarda, trasformano tutto l’ovvio in evento: se piove, se nevica, se fà caldo, freddo, cosi cosi....ecc. ecc.
Per noi, che del tempo di sabato non ce ne frega nulla e sappiamo che oggi sarà una bella giornata, ci aspetta la Valle del Gleno, tristemente famosa per il crollo della diga avvenuto nel 1923, provocando centinaia di vittime.
Partiamo alle 6,30 per la Val di Scalve, un po tardi, ma il programma ufficiale (trattasi di gita Cai) dice “Escursione alla diga del Gleno”, tempo di salita 1h 30’.......ma chi ci crede? Se cosi fosse saremmo rimasti tutti nel nostro letto a dormire.
Oggi siamo “solo” in 15 ma ben assortiti: Messico, Usa e buona parte dell’ex impero Austro-Ungarico, compresi noi “saltafoss” della Bassa!
Beppe, il nostro capogita, parte subito “alla garibaldina”........è un farmacista, e siamo tutti convinti che per venire in montagna si spara delle “bombe” pazzesche! Anche a gennaio gira in canottiera.....come Mauro Corona!
Superati i ruderi della diga senza batter ciglio (ma non era la meta?), ci dirigiamo ad affrontare il secondo salto di questa valle di chiare origini glaciali, in direzione del Passo di Belviso, tacitamente eletto a nuova meta.
Giunti alla Baita di mezzo del Gleno, ci concediamo una breve sosta, poi, superato l’ampio pascolo quasi pianeggiante, affrontiamo con qualche difficoltà il guado del torrente, reso gonfio dalle piogge e subito dopo risaliamo lungo una cengia l’ennesimo salto che ci porta ai pascoli della Baita alta di Gleno.
Alcuni qui si fermano, mentre gli altri proseguono e in ordine sparso raggiungono il Passo.
L'ultimo ad arrivare sarò io, con la scusa che devo fotografare, ma la verità è che i miei tendini non si sono ancora ripresi dalla gita di mercoledi agli “Stradini”.......hanno una certa età......i tendini!
A valle intanto si sono formati addensamenti di vapore, ma nulla che preluda alla pioggia.
Al Passo splende il sole e seduti sottovento pranziamo tranquilli, finchè non parte la mia provocazione: “volendo, si potrebbe raggiungere il rifugio Tagliaferri e scendere per il Vallone del Vò”
......
lella entra subito in agitazione, è stato come accendere un fiammifero........convince Moreno e Luca (
lebowski) a seguirla e partono per il giro.......ma questa è un’altra storia!
La mia, con il resto del gruppo tornati per la via di salita, si conclude, come spesso accade, con torta, strudel e un ottimo bicchiere di bianco!
La discesa (by
lebowski)
Sono sulle vertebre del passo, nel punto esatto dove il vento, prepotente dio delle cime spinge il suo alito freddo per dominare le valli.
Viene voglia di calore, di accendere un fuoco anche se sarebbe inutile, sento l'odore secco della neve infilarsi nelle narici.Mentre il nostro gruppo inizia il ritorno, due ribelli Lella e Moreno decidono di tracciare la discesa nella valle opposta:
- Se non la conosci vieni con noi, ne vale la pena...
Pochi istanti dopo, sono tre i ribelli che lasciano i punti collegati con la fatica nel solco della Valle del Gleno per la misteriosa Valle del Vò; checkpoint Ronco di Schilpario.
Ieri quassù è scesa la neve, lo notiamo tagliando il versante nord ricoperto da una bucherelleta coltre bianca tipo buccia d'arancia, certo...a 2500 metri l'estate è breve come la corsa di un centometrista.
Getto uno sguardo svogliato al lago di Belviso, non mi piacciono i bacini artificiali, li considero degli intrusi, sono come donne vistose solo grazie a labbra e seni modificati chirurgicamente.
Mordiamo il sentiero rapidamente tra balze rocciose e austeri tornanti, senza esagerare visto che ci aspettano almeno tre ore di cammino.
Snobbiamo il Rifugio Tagliaferri passando appena sotto la bandiera che lo segnala poichè abbiamo acqua a sufficienza, per imboccare la mulattiera di origine militare ( prima guerra mondiale) che agirà da edulcorante per la discesa.
Un vero esercito di marmotte grassocce rivendica la difesa del territorio fischiando al cielo, niente paura piccoli roditori, i tre ribelli della montagna vengono in pace!
Se Rumiz ha chiamato le Alpi monti naviganti, perchè si immergono nel mediterraneo presso le coste della Dalmazia, questa è la valle dell'acqua; torrenti gorgoglianti e cascate fragorose ovunque, lo stesso sentiero muta spesso in un corso d'acqua mettendo a dura prova il goretex delle nostre calzature.
Siamo ora nel lungo fondovalle, vero abisso orizzontale dominato dal colore verde dell'erba mista ad ampie praterie di marice, la pianta che predilige i pascoli abbandonati.
La stanchezza inizia a farsi sentire, sono da molte ore tra le montagne e ciò mi riempie di energia emotiva e mi svuota di quella muscolare.
Scendiamo la valle del Vò seguendo gli ostinati slalom che il segnavia 413 ci suggerisce, in una perdita di quota lenta come una carezza contropelo.
Siamo tre alianti che planano leggeri verso la pista di atterraggio di Ronco.
Prima che il sentiero si infili tra le conifere, sulla destra una notevole cascata merita un momento di composta osservazione.
Copriamo l'ultimo tratto umido come una foresta del Borneo, ottimo per funghi e muschio che tappezzano il sottobosco, un po' meno per i ribelli che respirando acqua all'arrivo a Ronco segneranno tra le fibre muscolari la lunga discesa.
Un occhio all'altimetro mi rivela che abbiamo fatto quasi 1500 m in discesa...
Credo che chiederò al Capitano Lella la promozione a soldato scelto!
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