Kalberhorn (2805 m), Pizzo Mèdola (2957 m)
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Entusiasmante ascensione al Pizzo Mèdola, superba cima definita dal Brenna “un’isola di quarzite, dall’aspetto simile a quello di una montagna dolomitica”. Come dargli torto! Ovviamente una tale meraviglia merita un percorso di avvicinamento di tutto rispetto come la sua cresta SW e una nota aggiuntiva di merito non può che conferirla la natura incontaminata e solitaria del luogo, vero fascino di questi monti.
Giunto quindi a Canza, scendo brevemente per la strada e imbocco il sentiero nei pressi del Rio Stelli. La mulattiera sale con numerosi risvolti nella ripida abetaia; spostandosi in alto a destra esce dal bosco, attraversa il Rio Tamier nei pressi di una condotta e aggirato il dosso raggiunge il ripiano dell’Alpe Tamia. Qui abbandono il sentiero segnalato e mi dirigo verso la dorsale di prolungamento della cresta W del Kalberhorn, con l’intenzione di superarla al limite delle rocce che scendono ripide ed immettermi così nel vallone degli Sciolti. Oltrepassato questo punto, proseguo poi in direzione SE raggiungendo la base della conca pietrosa dove risulta evidente l’imbocco del canale a circa 2550 m di quota che permette di sconfinare in terra ticinese. Pensavo di trovarlo parzialmente innevato ed invece esso è interamente asciutto, salgo tra grossi blocchi e terriccio tenendomi frequentemente sulla destra con una pendenza fino ai 45° e superando poco meno di 150 m di dislivello fino allo sbocco. Qui scendo brevemente a sinistra per poi risalire il pendio soprastante che termina alla cima del Kalberhorn.
Da qui ho un assaggio di quello che mi aspetta: una lunga cresta rocciosa fino alla svettante sommità del Mèdola che si staglia al termine di un’innumerevole serie di elevazioni minori. Sul percorso per raggiungerla non c’è molto da dire: si tiene il filo di cresta e lo si percorre fino all’apice con brevi aggiramenti in qualche punto sul versante SE. Il tratto più impegnativo è sicuramente la prima parte di discesa fino alla sella quotata 2746 m in quanto i grossi blocchi affilati necessitano qualche passaggio d’arrampicata mentre successivamente il tutto diviene più “camminabile”. A volte appare qualche sentierino di capre sul versante d’Antabia ma è bene non allontanarsi mai troppo dalla cresta in quanto il suo culmine rimane il modo più sicuro e semplice di procedere. Tengo comunque alta la concentrazione e la pazienza in quanto ci sono passaggi esposti, la cresta è lunga più di un chilometro e non bisogna avere fretta di arrivare in cima.
E alle 12:30 raggiungo finalmente la croce in legno posata a picco sul Piano delle Creste. Dalla vetta, che si trova un paio di metri più sopra, si gode un eccezionale panorama sull’articolata conca SE del Basòdino e all’orizzonte posso distinguere tra le nuvole numerosi giganti ossolani e ticinesi in un ambiente selvaggio di rara bellezza. Sosto in cima poco più di mezz’ora e, poco prima di cominciare la discesa, ho la fortuna di assistere alle evoluzioni acrobatiche di alcune aquile: nel silenzio totale della montagna, le sferzate delle loro ali nell’aria suonano quasi assordanti, sono estasiato!
Purtroppo, però, è già ora di tornare. Percorsa inizialmente a ritroso la cresta SW, la abbandono in corrispondenza di due evidenti ometti e mi abbasso in discesa sul versante S puntando alla Bocchetta N di Fiorèra e al nevaio sottostante posto alle pendici del Kalberhorn. Sceso nella giavina proprio alla sinistra del nevaio, risalgo tra i roccioni e poi su erba fino al valico, dove si trova un cancello divelto. Dopo essermi concesso una meritata pausa sulle sponde del piccolo laghetto sottostante ancora parzialmente ghiacciato, inizio poi la discesa nel vallone (ometti) fino alla solitaria baita dell’Alpe Sciolti, dalla quale mi porto su labili tracce al pianoro dell’Alpe Sciara mediante un lungo traverso, oltrepassando altri ruderi e prendendo come riferimento i paravalanghe sottostanti. Qui giunto, mi riallaccio al sentiero segnato che mi riporta in breve all’Alpe Tamia e da qui a valle nel ricordo di questa indimenticabile giornata.

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